Yves Saint Laurent in museo

Yves Saint Laurent in museo L'omaggio di Parigi al grande stilista simbolo della seduzione e del rigore Yves Saint Laurent in museo PARIGI — «La sua vita è una leggenda. Il suo nome un impero. I suoi abiti, ancora esalanti il profumo delle donne che li hanno amati, entrano nei musei. E lui traversa tutto questo — gloria, omaggio, tumulto — con il muto distacco d'un grande dandy proustiano». Il più esplosivo dei «nouveaux philosophes», Bernard-Henry Lévy, inizia cosi la sua prefazione al sontuoso libro («Yves Saint Laurent par Yves Saint Laurent») pubblicato in occasione della rassegna che il Museo delle Arti della Moda e del Costume dedica fino al 26 ottobre prossimo al celebrato stilista. Un muto distacco, una distanza silenziosa, che è palpabile quelle quattro volte l'anno, in cui Saint Laurent appare in passerella al termine delle collezioni Alta Moda e Prèt-à-porter: quasi spinto in pasto agli applausi, svuotato dai mesi di tormenti, speranze, insonnie ed euforia per quegli abiti, che ora non sono già più suoi e incatenano a crearne altri fra poco, a temperare il proprio stile senza rinnegarlo mai in quei minimi mutamenti che dicono il tempo e la memoria. Un sorriso tirato, inchini rapidi, prima di essere fagocitato e difeso dall'alto drappello delle indossatrici: tanto tempo fa tutto poteva sembrare posa o timidezza nel giovane magro e dinoccolato, ma ora, nel Sain Laurent che ha appena compiuto cinquantanni, ha l'inequivocabile accento della verità. Nel 1982, quando festeggiò al Lido 1 ventanni della propria «griffe», furono in molti a parlare della confessata frustrazione di Saint Laurent di fronte a un lavoro, quello della moda, perituro per definizione. Oggi che la grande esposizione del suol modelli al Metropolitan Museum di New York (1983). poi a Pechino, tocca Parigi prima di esser trasferita a Mosca e a Leningrado, oggi che i musei importanti tengono alla sua retrospettiva come espressione d'arte, al di là della moda, lo si dice più che appagato ironico. Lui, parlando del suo mestiere, preferisce indicarlo come alto artigianato. Certo l'idea di un abito può essere suscitata da un gesto, che, come nell'opera d'arte, ne diviene il fulcro. E poi c'è il disegno del modello e i suoi, di rara efficacia, già lo fanno esistere in taglio e tessuto. Ma non è che un appunto per fermarlo, perché poi tutto verrà dal rapporto tessuto e indossatrice, dal movimento di lei che accende l'ispirazione e la matura In un attimo o in giorni e giorni di lavoro. E' vero però che fra la ricerca e l'abito che prende forma, l'arte, scultura, pittura, passione del melodramma o di Goya, dell'Oriente e della Spagna, i toni irripetibili di Picasso o di Matisse, cari a Saint Laurent, entreranno come nutrimento e catalizzatore di un modo di vestire che procuri alla donna la libertà di essere se stessa in linee suscettibili di durare perché pratiche e intramontabili. Yves Sam Laurent non può che essere allergico alla moda che muta ad ogni stagione. La sua già grande felicità, dice, è vedere una donna capace di accostare abiti di ieri con quelli dell'ultima sfilata, perché le sue creazioni, classiche o esotiche, vivono della stessa durata della memoria in cui tutto consente, arte e vita, mito e cronaca. Moderno al di là della moda. Saint Laurent è capace di reinventare per 11 nostro tempo stili di epoche e di pae¬ si diversi (la celebre collezione «Balletti Russi» del 1976, quella dell'82 ispirata all'India) e di stupire con la rivoluzionaria «robe pop». Eppure il vero godimento, nell'assistere ad una sua collezione, è quello di chi. avendolo seguito negli anni, attende ogni volta di capire quali sottili variazioni ha impresso ai capi base di sempre: i famosi blazer, le sahariane, le bluse semplici e preziose, le caban rubate ai marinai di Normandia o ai contadini, il tailleur pantaloni, gli smocking, ispirati a Marlene Dietrich. E' una storia che la mostra al Museo delle Arti della Moda e del Costume Illustra nel tragitto d'una carriera fulminea. Appena ventiduenne. 1958, la sua prima collezione da Dior e la linea trapezio; quattro anni dopo, 1962, la prima con il proprio nome, salutata come l'Insieme di tailleur più belli, dopo Chanel. E da allora collezioni superbe e costumi per 11 teatro, sua passione da sempre, costumi per Rolad Petit e Madeleine Renaud. la indimenticabile linea Mondrìan, 1965, i primi tailleur pantaloni dalla straordinaria femminilità, 1966 come gli smocking, gli abiti africani e quelli creati per Catherine Deneuvo in «Bella di giorno», e ancora l'humour della protesta alla moda sessantottesca. Fedeltà e innovazione, i capi base e l'audacia, le caban del 1962 rivisitate nel 1977, gli abiti da sera che sembrano usciti da un quadro di Velasquez. Nulla, al pari della vera bellezza, fuori moda. A spiegare perché il nome di Saint Laurent sia diventato nel mondo simbolo della seduzione e del rigore, in cui l'eleganza trova la sua difesa. Lucia sollazzo Sew e mistero di Saint Laurent nelle sfilate di un mese fa a Parigi