Africa, un mondo senza agosto

Africa, un mondo senza agosto Nel Continente della sopravvivenza la vacanza rimane un lusso per pochi privilegiati Africa, un mondo senza agosto In un'economia prevalentemente agricola i più non hanno ferie - Operai e impiegati dedicano tutto il tempo libero a un secondo lavoro, spesso più redditizio dello stipendio - Un popolo di viaggiatori, ma soltanto per necessità - B richiamo del villaggio natio NOSTRO SERVIZIO NAIROBI — «Vacanze»: quando esiste nelle lingue locali, questa parola nasconde una realtà estranea alla stragrande maggioranza degli africani. Né potrebbe essere altrimenti, in un Continente nel quale oltre la metà della popolazione attiva è disoccupata, l'agricoltura è l'attività dominante, e l'industria e 1 servizi danno lavoro soltanto a un'infima minoranza che conosce il concetto di «ferie retribuite». Per ora, gli africani non hanno altra scelta che quella di assistere da spettatori agli svaghi che la gente del Nord si concede a casa loro. Perché non si possono fare vere vacanze senza un posto di lavoro, anzi senza un posto retribuito come si deve. I lavoratori dipendenti africani, che pure formano la classe dei privilegiati, ncn riescono a mantenere se stessi e la famiglia con il solo stipendio. Cosi il tempo libero non è dedicato allo svago, ma viene utilizzato per procurarsi, con qualsiasi mezzo, un reddito supplementare. Una ricerca spasmodica che è responsabile dell'assenteismo dalle fabbriche e dagli uffici, perché operai e impiegati sono costretti a tenere i piedi in molte staffe. Mamma Dikkho. madre di otto figli, lavora in un'industria tessile alla periferia di Dar es-Salaam, e passa tutto il suo tempo libero a vendere bibite nel suo chiosco. Un piccolo commercio ben più redditizio del «primo lavoro», al quale però non rinuncerebbe mai, perché le assicura uno stipendio fisso. Appena ne hanno la possibilità — giorni di festa, weekend — molti abitanti della capitale tanzaniana vanno a lavorare il pezzetto di terra che possiedono nei dintorni. Identica la preoccupazione della gente di Kampala, in Uganda: rifornirsi di cibo in campagna per reggere in città, con stipendi da fame. Chi per necessità ha deciso di vivere in città non ha tagliato i ponti con il villaggio d'origine, dove spesso, anzi, ha lasciato moglie e figli. I grandi eventi familiari, ad esempio i lutti, danno l'occasione di andare a respirare l'aria di casa, del paese natio. E poi, l'abitante della città vittima di una fattura torna al villaggio per consultare lo stregone e farsi liberare dalla disgrazia. Gli africani sono viaggiatori nati, ma, contrariamente al popoli nordici, lo sono soprattutto per necessità, non per piacere. In fondo alla strada c'è sempre un dovere da assolvere, un rito da compiere. E non esitano a salire sul taxi collettivo, sull'autobus o sul treno, anche perché generalmente 1 mezzi di trasporto sono si imprevedibili e scomodi, ma a buon prezzo. Per questi africani le vacanze saranno un lusso inaccessibile ancora per molto tempo, anche se per chi ha un lavoro fisso nel settore moderno dell'economia sono ormai un diritto sancito dai contratti di lavoro. In Kenya, gli statali hanno la settimana corta soltanto dal 1° maggio di due anni fa, e i dipendenti del settore privato dal 1° maggio scorso. Si può obiettare che è una conquista sociale limitata, dal momento che nella maggior parte delle aziende vige la settimana lavorativa di 45 ore. Ma qualcuno si è divertito a fare i conti, ed è giunto alla conclusione che, considerate le ferie — almeno 21 giorni —, 11 giorno di riposo settimanale e i giorni festivi — dieci in tutto —, 1 lavoratori dipendenti kenyotl hanno ormai 135 giorni di vacanza annuali. E c'è chi si domanda: «La nostra economia li regge?: Le ferie, ad ogni modo, qui si prendono a rotazione, in modo che non ci siano «aritmie», e tanto meno «vuoti», nell'amministrazione e nelle aziende. Nei Paesi anglofoni (questione di tradizione) al massimo si osserva un piccolo rallentamento nell'attività fra Natale e Capodanno. In Africa nulla di troppo Inconsueto rompe la monotonia dei giorni: neppure le vacanze scolastiche alterano sostanzialmente lo scorrere del tempo. Nella maggior parte dei Paesi del Continente non c'è una classe media ricca abbastanza per destinare una parte dei suoi redditi allo svago, tanto che il turismo locale non riesce a decollare. Il governo del Kenya ha espressamente creato il Domestic Tourism Committee, nell'ambizioso tentativo di richiamare, per gli Anni Novanta, un milione di turisti, 400 mila dei quali autoctoni, nei parchi nazionali e sulle spiagge dell'Oceano Indiano. Pie illusioni, per ora, anche se questa politica di «africanizzazione» è appoggiata da agevolazioni tariffarie, già applicate da alcune agenzie di viaggi e gruppi alberghieri. Ci vorrà molta pazienza per sensibilizzare gli africani al loro ambiente, per stuzzicare la loro curiosità. Ma è impossibile rovesciare nel giro di pochi anni l'attuale tendenza: per molto tempo ancora il successo del turismo in Africa dipenderà dalla clientela straniera. E dal punto di vista economico è meglio così, dal momento che questi visi¬ tatori portano in valigia quella valuta pregiata che costituisce una considerevole fonte di reddito per PpSììI quali il Kenya, Mauritius e le Seychelles. Nei Paesi africani esiste comunque una classe di privilegiati per ì quali vivere all'occidentale è una questione d'onore: è la borghesia politico-amministrativa, sono i «quadri» del settore privato. I membri di questa casta rifiutano quasi per principio di dedicare una parte del tempo libero alla scoperta del loro Paese, e quasi sempre hanno legami ormai molto tenui con il villaggio d'origine, dove vanno soltanto per le grandi occasioni, in cui non disdegnano di ostentare il loro successo. Pochi di questi privilegiati hanno una seconda casa in campagna o al mare: per loro, stare all'aria aperta non è un'indispensabile questione di igiene. Ben pochi tanzaniani che ne avrebbero i mezzi si sono fatti tentare dall'ascensione sul Kilimangiaro o dalla visita del parco di NgoronEoro. E si racconta che quando venne nominato primo ministro, Salim Ahmed Salim. che sino a quel momento era ministro degli Esteri e quindi abituato a viaggiare, del suo Paese conosceva soltanto Zanzibar, dove era nato, e Dar es-Salaam, la capitale. Quando assunse 1 incarico fu costretto a fare frequenti puntate in provincia per farsi un'idea dello Stato che doveva governare. Invece di viaggiare nel loro Paese, le élìtes africane preferiscono andare all'estero, che per loro resta il punto di riferimento, sia che vi abbiano studiato, sia che ci vadano frequentemente per la loro attività professionale. I due poli d'attrazione sono la vecchia Europa e il Nuovo Mondo. Le abitudini coloniali non si perdono tanto facilmente: i kenyoti vanno preferibilmente a Londra, gli ivoriani a Parigi, i somali a Roma. Ma tutti sognano di scoprire l'Africa, prima o poi. I capi di Stato, poi. hanno i loro gusti, che rientrano nel campo più o meno segreto della loro vita privata. E' una questione di sicurezza: la discrezione è di rigore per quanto riguarda gli sposta¬ menti delle Loro Eccellenze, spostamenti che in generale vengono resi noti all'ultimo momento. Nessuno sa come il presidente etiopico, colonnello Menghistu Hailé Mariam, passi il tempo libero, e neppure dove abiti a Addis Abeba. Il suo collega malgascio Didier Ratsiraka. invece, si è fatto costruire una residenza che pare una fortezza vicino ad Antananarivo. I leader dell'Africa anglofona hanno generalmente gusti più modesti rispetto ai loro colleghi dell'Africa francofona: quasi tutti vivono nella capitale, nelle residenze che furono dei governatori d'un tempo. E quando possono tentano di sfuggire al fasto di queste dimore fredde e solenni per ritrovare il Paese reale. L'ex capo dello Stato tanzaniano. Julius Nyerere, uomo dai costumi austeri, si rifugiava nel suo villaggio di Butiama, vicino al Lago Victoria. Al presidente kenyota, Daniel Arap Moi. piace andare nella sua provincia natia, nella fattoria di Kabarak. tra quella sua gente che riceve dimenticando il protocollo. Il capo dello Stato delle Comore. Ahmed Abdallah, si sente a suo agio nella villa di Domomi. nell'isola di Anjouan. più che a Moroni. capitale dell'arcipelago. Alcuni leader però non snobbano i viaggi all'estero, specialmente se hanno interessi fuori del Paese: un viaggio di lavoro spesso consente loro di unire l'utile al dilettevole. Motivi di salute spiegano poi le assenze di certi capi di Stato: il presidente di Gibuti. Aptidon Gouled. per esempio, d'estate va abitualmente in Svizzera per qualche settimana. E poi. in alcuni casi questi spostamenti danno l'occasione di prendere contatti e riprendere il dialogo con gli oppositori in campo neutro, lontano dagli sguardi indiscreti. In Africa, comunque, non c'è mai una vera vacanza di potere: la prudenza dice di non restare lontani troppo a lungo. Jacques de Barrin C'op\riRht ci* Monde» i* per l'Italia (tLa Stampa»

Persone citate: Ahmed Abdallah, Daniel Arap Moi, Didier Ratsiraka, Julius Nyerere, Lago Victoria, Menghistu Hailé Mariam, Salim Ahmed Salim