Usa, la marcia sul potere di Ezio Mauro

Usa, la marcia sul potere A Washington 1800 esponenti dei «piccoli affari» Usa, la marcia sul potere Lo Small Business costituisce il 38% del pnl: ora chiede a Reagan un ruolo politico DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON — Due sax e una tromba dietro la porta girevole dell'Hilton per il benvenuto di Washington ai 1800 .padroncini, partiti da ogni angolo degli Stati Uniti per chiedere a Reagan spazio, potere, attenzione. Mentre scendevano dai taxi con mogli, figli, badge contro le tasse, per raggiungere di corsa la grande Conferenza della Casa Bianca sullo -Small Business-, i piccoli affari, sfilava un'America ruvida e silenziosa, individualista, solitaria, abituata a fare i soldi, brontolare e andare al sodo. Li aspettavano tre ministri e l'onnipotente Donald Regan. il .grande capo» dello staff alla Casa Bianca. Perché il vulcano dello Sinall Business è l'altra faccia del dollaro, una macchina economica a ciclo continuo che fa girare nell'ombra 14 milioni di aziende con meno di 500 dipendenti, sforna il 38% del prodotto nazionale lordo, impiega la metà della forza lavoro degli Stati Uniti, è capace di creare 20 milioni di nuovi posti in dieci anni. Insomma, una bomba economica sommersa: lo sanno benissimo i venditori di tutto che attendevano i ..padroncini» all'Hilton per andare all'assalto, proponendo biciclette volanti e conigli bianchi, investimenti a Honolulu e mongolfiere, mentre la musica dei sax faticava a farsi largo in mezzo al vocio dei primi scambi d'affari, ai palloncini rossi e blu, all'odore travolgente di pop-corn. Non è la prima volta che la marcia su Washington va in scena. Quattro anni fa, fu Jimmy Carter a convocare quell'universo sparso dei piccoli affari che alla fine della Conferenza gli lasciò sulla scrivania 60 raccomandazioni, lamenti, richieste d'aiuto. Poi, quasi tutto è tornato come prima; e adesso la lista delle lamentele è di nuovo pronta, indirizzata questa volta a Reagan. Soltanto che negli ultimi quattro anni — mentre lavorava duro, faceva soldi e si sentiva solo — il piccolo imprenditore americano, il professionista con dieci dipendenti in ufficio, il padrone del ristorante d'angolo scoprivano di essere dimenticati o almeno sottovalutati, rispetto alla spinta che giorno dopo giorno le loro minuscole aziende riescono a dare all'economia americana. -Diciamo pure che noi siamo la vera faccia del dollaro, non il suo rovescio — ci spiega Susan Winer, che guida la delegazione dell'Illinois alla Conferenza e che a Chicago ha una società di strategie economiche con tre dipendenti e un circuito di consulenti — gente che vuol fare il leader e non il gregario, crede in se stessa, rischia il suo denaro, spende il suo tempo e la sua energia. Insomma, la spina dorsale d'America-. L'altra America — anonima o ufficiale che sia — non è però cosi pronta a lasciarsi contagiare dal mito dei piccoli affari. Dei 14 milioni di piccole aziende statunitensi, meno dello 0,2% per cento riceve assistenza, consigli e prestiti dalla Sba, l'Agenzia federale per lo Small Business, e nonostante tutte le proteste e tutte le raccomandazioni nessuno si è ancora alzato in piedi al Congresso per chiedere di armonizzare le norme di legge sull'affidabilità dei prodotti, smettendola con gli slalom che i piccoli produttori devono fare tra gli standard diversi fissati da ognuno dei 50 Stati americani, in una lotteria forsennata. -Aggiungiamo il fatto che in Europa ormai tutti i governi aiutano i piccoli produttori nelle esportazioni, mentre da noi nessuno muove un dito-, denuncia Edd Fedderns. proprietario di un'azienda manifatturiera familiare a Phoenix, in Arizona. -In una parola: siamo cittadini americani leali, non ci sogneremmo mai di andare a vivere altrove, ma siamo anche stufi di vedere che la Corea sottopaga il lavoro e può vendere sui nostri mercati a prezzi stracciati, mentre noi siamo legati da mille lacci e non c'è uno che ci aiuti-, incalza Patsy W'Uiams, titolare di una fabbrica di mobili con 80 operai a Newport. Il risultato di questa corsa solitaria al dollaro è fatta di medaglie e successi che riempiono l'automitologia dello Small Business, ma anche di sconfitte nascoste, con migliaia di aziende che perdono il passo e spariscono nel nulla. Chi resiste, sia che faccia i miliardi sia che tiri a campare, vuole adesso che il suo sforzo abbia un tornaconto pubblico e non soltanto privato. Ufficialmente, dalla Conferenza della Casa Bianca uscirà una nuova serie di raccomandazioni per l'Amministrazione, con la richiesta di maggiore chiarezza nelle leggi fiscali, l'invito a varare una seria legislazione di sostegno, il desiderio di maggior deregulation, al grido di «meno governo è meglio-. Ma dietro le quinte spunta qualcosa di diverso e di nuovo: una richiesta di ruolo e di peso sociale, una voglia di potere, un tentativo di trasformare i miliardi dello Small Business in influenza politica, pubblico riconoscimento, capacità di contare. -Il governo aiuta solo la grande azienda, dimentica noi piccoli-, si lamenta J.R. Kirkland, lobbista a Washington. -La gente è cosi abituata a trattare con il piccolo imprenditore, ogni momento, ad ogni angolo di strada, che ormai non lo vede più, non lo riconosce, non lo considera per ciò che vale-, spiega Bert Fridlin, che da due anni ha una società di pubbliche relazioni ad Atlanta. -E' tutto vero — ammette Susan Winer —. Noi siamo troppo diversi per avere una voce sola, nessuna lobby può rappresentare insieme il gelataio del Sud e il padrone di una piccola fonderia in California. Eppure questo è un passo decisivo: avere più peso, per chiedere più spazio-. La Casa Bianca è avvertita: lo Small Business vuole un posto nel palazzo, chiede che il governo lo trasformi da impero sommerso in potere visibile, è stufo dei sondaggi come quello condotto dal professor John Jackson per l'università del Michigan, con la conferma che l'opinione pubblica, nonostante bollettini di vendita e medaglie al merito, è ancora convinta che la grande impresa traini l'economia Usa. Lavorare non basta più, guadagnare nemmeno, hanno imparato i «padroncini.., se il lavoro non produce oltre ai miliardi anche uno status sociale. Più che la speranza di ottenere qualche favore legislativo dal Congresso, è questa la chiamata misteriosa che ha trascinato a Washington insieme agenti immobiliari e titolari di pompe di benzina, imprenditori e parrucchieri, formaggiai e costruttori, divisi da interessi diversi. -Fino a qualche anno fa, questa gente stava zitta, nella continua paura di essere schiacciata dalle grandi imprese — ci spiega Gregory Larson, manager di una società di ricerche di Tucson che ha studiato da vicino i "padroncini" —. Oggi ha capito di avere una risorsa speciale unica: è la capacita di rispondere velocemente al mercato, di nascere, sparire e ricominciare, di cambiare e di reagire al nuovo-. Ezio Mauro