Morire a Granada

Morire a Granaria LORCA ASSASSINATO 50 ANNI FA Morire a Granaria San Vicente situata nei dintorni di Granada. Ci sono tanti gelsomini nel giardino e tante "belle di notte" che la mattina danno, a noi tutti di casa, un lirico mal di testa, meraviglioso come quello che patisce l'acqua trattenuta. E, tuttavia, nulla è eccessivo.' Questo il prodigio de/l'Andalusia.'». Scriveva così Federico Garda Lorca, dalla casa paterna di Granada, il 2 settembre 1926, a Jorge Guillén. E poi, in chiusura della lettera, (dichiarata l'intenzione di tentare qualche concorso per una cattedra di letteratura {«La vocazione sta lentamente sorgendo in me») e di rendersi «indipendente e affermare» la sua personalità in seno alla famiglia, all'amico poeta faceva due richieste contraddittorie: di non scambiare la lettera «scritta di getto e senza preambolo, per uno scherzo lirico» e, tuttavia, di lasciarlo rimanere ancora un poco lì, «nel giardino dei salti». Questo è il ritratto di Lorca ventottenne, ancora «giovane artista», che si è lasciato alle spalle la Rcsidencia de los Estudiantes di Madrid dove ha vissuto in creatività rivoluzionaria, di sapore surrealista, con Bufiuel, Rafael Alberti e Salvador Dali. Sono di quell'anno famoso, il 1922, gli scherzi feroci di Bufiuel e le riunioni in camera di Lorca dove si compongono certe poesie nonseme battezzate anaglifos: tre sostantivi di cui il terzo deve sempre essere «la gallina» e non deve avere nulla che fare con il primo. Ma ormai nel 1927, «il ragazzo che con tutta la scioltezza e la disinvoltura di uno studente» viveva «in mezzo agli altri studenti», si preoccupa di non essere identificato esclusivamente con il folklore, con il gitanismo né con il pittoresco dell'Andalusia. «Lorca non si piega a essere incasellato — NO al professore — né incatenato — NO al politico», spiegava Guillén nel suo Federico enpersona. Infatti, «contemporaneamente ai romances, compone le solenni odi alessandrine e, per cambiare aria, si trasferisce e scrive Poeta a New York». * ★ Ma a Granada, nel «giardino dei salti», come diceva lui, cioè nel paradiso verde dell'infanzia, di questa casa familiare, il poeta che non volle mai indossare «le flanelle e le fredde arie della meditazione» si recò inspiegabilmente, mentre già sembrava che dovesse partire con la sua compagnia teatrale per il Messico, allo scoppio della Guerra civile, il 17 luglio 1936. E la casa paterna la sciò, per tema delle vendette dei nazionalisti che, nel frattempo, si erano impadroniti di Granada, nel mese successivo, rifugiandosi presso un poeta amico, Luis Rosales, di provata fede falangista. Da quella casa dei Rosales Federico fu prelevato, senza alcuna responsabilità, anzi contro la precisa volontà dei Rosales: e poi assassinato nel famoso luogo di esecuzioni, el Barranco, il 18 o il 19 agosto. Comunque, esattamente mezzo secolo fa. Mentre nella mobilitazione intellettuale antifascista, fuori e dentro l'Europa, l'assassinio di Lorca diveniva, come ha detto Aldo Garosci, il simbolo della bestialità nazionalista, la parte avversa, in crescente imbarazzo, passava dalla negazio ne a un'ammissione forzata addossata ora a singoli ora a gruppi affini ma non falangisti, e poi, dopo anni di affermazioni e controaffermazioni che andavano dalla falsità alle insinuazioni più squallide, concludeva infine su un crimine ridotto a «sbaglio». E si deve non soltanto alla fedeltà dei coetanei di Lorca. ma alla devozione di pochi scrittori, non spagnoli, quali Claude Couffon, Gerald Brenan e, in particolare, a Ian Gilson e al suo libro fondamentale La morte di Federico Garda Lorca e la repressione nazionalista di Granada del 1936 (Feltrinelli, 1971) se, sulla morte del poeta, i dubbi sono ormai in gran parte fugati ed essa appare un crimine, non ordinato ufficialmente, ma comunque di marchio falangista. E, Tuttavia, perché in questa vicenda tutto è portentoso, oltre che tragico, perché nella rersonalità di Lorca oltre al«angela, cioè grazia, c'era an che il «duende» misterioso, i potere oscuro, gli strascichi, c non solo politici, arrivano fino a oggi, a dirci come sia ancora difficile placare l'io romantico di Federico. Nel 1983 l'ultima testimonianza sulla morte, quella di Eduardo Molina Fajardo, nata dall'ambiente provinciale granadino, e frutto di pettegolezzi e di rimorsi, non aggiungeva nulla alla verità nota, pur riaffermando l'assoluta estraneità dei Rosales e anticipando di due giorni la data dell'assassinio. E sempre del 1983 e sempre originaria di Granada è l'edizione pirata di quei Sonetti dell'amore oscuro, lasciati incompiuti da Lorca, che indusse infine i familiari a stampare quei versi omosessuali con il massimo dell'ufficialità, nell'anno successivo. Ma il clima della Spagna di oggi è profondamente mutato, orientato su una volontà di riconciliazione e di obiettività che ha reso perfino la commemorazione della Guerra civile nella stampa spagnola meno struggente ed importante di quanto, per esempio, non lo sia stata qui da noi, in Italia. «L'ansia di queste pagine», si legge sul supplemento letterario dedicato dal Pois alla lette rarura della Guerra civile, «è soltanto di cercare di analizzare quanto di valido si produsse quanto fu perduto irrimediabilmente da parte di tutti». Dalle pagine dedicate alla narrativa e alla poesia emerge poi in forma ammirevole e spontanea, come le uniche opere valide fiorissero da parte repubblicana e come, tra romanzo e poesia, la grande trionfatrice fosse, appunto, la poesia: «L'unica cosa», come disse amaramente Max Aub, «che in Spagna era pronta per la guerra». Ci sono dunque coloro come, per esempio, José Luis Gotor, saggista, scrittore, gior nalista, docente di letteratura spagnola all'Università di Viterbo, che considerano Lorca non più isolato ma rientrato, sia pure da gran poeta, nelle file della generazione del '27 E forse, proprio in questo clima in cui, riannodandosi i vecchio e il nuovo, nella Madrid rivitalizzata dal suo sindaco professore, di recente scomparso, Enrique Tierno Galvàn, si tornano a vedere le opere teatrali di Lorca recitate dalle grandi attrici che attraverso gli anni le resero famose, e si assiste al ritorno da un esilio di quasi cinquantanni della grande e anzianissima filosofa Maria Zambrano, ci si può chiedere con serenità come sia nato il mito di Garcia Lorca fuori di Spagna. Mito poetico, intendiamoci, e non politico. Chi scrive, infatti, può soltanto offrire una testimonianza letteraria e ricordare un'estate molto antica, sette anni dopo la morte d Lorca, nel Vermont, negli Sta ti Uniti, in una natura che alla Spagna non rassomigliava affatto. L'ambiente, no: era rutto spagnolo, da Pedro Salinas a Jorge Guillén alla sorel la di Lorca, Isabcl, alla sorella di Madariaga, Pilar. Tutti esuli, che però della sconfitta re pubblicana non parlavano mai, quantunque tutto il giorno si discorresse solo di cultura spagnola. Lì, a noi studenti, francesi, americani del Nord e del Sud ed io, unica italiana, che dagli anni fascisti aveva riportato nei confronti della Spagna un rimorso cocente Salinas e Guillén, poeti professori, trasmettevano l'immagine del Lorca amico de\\'«età d'oro liberale» della Spagna. Senza averlo mai conosciu to, cominciammo a vivere con lui, ripetendo le sue poesie a memoria, vivendo con i suoi gitani, con i suoi toreri, con la casa della maritata e della sposa infedele, con i suoi bambini, e la sua Granada, con quelle sue donne recluse ed infelici. Ci innamorammo di lui, di quella sensibilità che sembrava spalancarci le porte di una mi rabile stagione che per lui e per noi, in realtà, era già chiu- sa- Angela Bianchini Federico Garcia Lorca in una caricatura di Irvine (Copyright N.Y. Riview of Bootcs, Opera Mundi e per l'Italia -La 8tampa.)