Tre ipotesi sul numero chiuso

Tre ipotesi sul numero chiuso Università: la lettera di un preside di architettura Tre ipotesi sul numero chiuso Da qualche tempo e con maggiore insistenza si scrive in favore del «numero chiuso». Sulla prima pagina de 'La Stampa- del 2 agosto Francesco Barone lamenta che invece di introdurre il «numero chiuso» nell'Università si proceda con «pannicelli». Con «numero chiuso» si possono intendere cose molto diverse: 1) il numero delle matricole di ogni facoltà è limitato in modo da pianificare il numero dei laureati secondo le esigenze del mercato: 2) il numero delle matricole è prefissato tenendo conto della capacità delle università di offrire adeguati servizi didattici senza affollamenti e congestioni eccessive: o ancora 3) con «numero chiuso» si intende un esame preliminare dei candidati per ammettere all'iscrizione solo gli studenti «preparati». 1) Prestabilire o pianificare il numero dei laureati necessari al mercato pubblico e privato può sembrare un comportamento saggio e previdente, ma è una saggezza illusoria. Le dinamiche del mercato sono difficilmente prevedibili e diverse dalle lente trasformazioni dell'Università. Su La Stampa del V agosto leggiamo che la facoltà di Scienze dell'informazione di Milano perde studenti, assorbiti dal mercato anche senza laurea, e che l'offerta annuale di laureati in questo settore è inferiore alla metà della domanda (quindi, in questo caso si tratterebbe di aumentare l'offerta, altro che numero chiuso!). Ma un tentativo di pianificare il numero dei laureati ha in generale poco senso, perché ormai in troppi casi non c'è più corrispondenza diretta tra la laurea e l'attività professionale del laureato. Per esempio, se pensiamo alla laurea in archilettura come ad un'educazione utile per chi si muove non solo nel mondo dell'edilizia (dal progetto finanziario alla vendita del prodotto finito), ma per chi opera nei settori più diversi con rica¬ dute sull'ambiente costruito (dalla pubblicità, al restauro, al turismo e al tempo libero), ci accorgiamo che la diffusione di massa di una cultura estetica, storica e ambientale è la condizione necessaria per riscattare il nostro Paese dallo spreco e dalla distruzione di risorse culturali e ambientali compiuta per mille ragioni negli ultimi quarantanni. Quindi, con buona pace dei pianificatori ad oltranza, se l'Università vuole assolvere alle sue funzioni l'obiettivo non può essere quello di chiudere le iscrizioni, ma di differenziare ed articolare i suoi insegnamenti per adattarli meglio alle esigenze e alla dinamica del mercato. Ma questo vuol dire, ad esempio, modificare antiche abitudini — non sempre pigrizie — dei docenti, accrescere la loro mobilità e il loro impegno. perché se l'Università si avvicina maggiormente ai problemi della società gli studenti aumentano, non diminuiscono. 2) Scrive ancora La Stampa del 1" agosto che la facoltà di Scienze matematiche di Torino pensava di dover chiudere le iscrizioni per mancanza di aule, ma ciò non è avvenuto perché il Rettore ha trovato una soluzione, anche se provvisoria. E' questo quello che ci sì aspetta dai professori universitari, la soluzione, anche se provvisoria, dei problemi delle scuole, e non atteggiamenti regressivi. 3) Più delicata è la questione dell'introduzione o meno di un esame selettivo per l'ammissione all'Università, rivolto a garantire che la matricola che si iscrive sia in grado di frequentare i corsi senza eccessiva difficoltà. E' vero che in molti Paesi questo esame esiste ed è difficile e. di conseguenza, gli studenti sono molto meno che da noi. Ma questo è un bene o un male? Per dirlo bisognerebbe calcolare quanto costano a quei Paesi, ad esempio, per rimanere nel campo dell'architettura, le scuole di architettura in un anno, quanti laureati producono e di che qualità, e poi svolgere un confronto con il costo delle nostre scuole e con la quantità e la qualità dei nostri laureati. In realtà molti nostri colleghi stranieri sono insoddisfatti dei loro sistemi selettivi, e l'unico risultato certo di quei sistemi è che il numero dei giovani che può accedere a quelle università è limitato: chi può essere sicuro che questo sia un bene per quei Paesi? Il guaio di molti discorsi sull'Università è di confondere situazioni ed esigenze tra loro molto diverse. Anche in Italia, in alcuni casi, l'esame selettivo può essere utile: se lo si vuole, si identifichino i casi e si spieghi il perché. Ma troppo spesso l'impressione è che si voglia usare questo strumento solo per ridurre il numero degli studenti, l'agognato obiettivo: meno sono, meno fastidi danno, anche perché, in questi ultimi anni, non si accontentano più di iscriversi, vogliono anche studiare e. se possibile, imparare. Talora, gli Atenei non hanno merito perché non hanno merito i loro docenti. Luigi Mazza preside Facoltà architettura Università di Torino «L'impressione è che si voglia usare questo strumento solo per avere meno problemi». «Le facoltà devono accogliere solo gli studenti cui possono offrire effettivi mezzi di studio»

Persone citate: Francesco Barone, Luigi Mazza

Luoghi citati: Italia, Milano, Torino