Bivacco a Taba di Arrigo Levi

Bivacco a Taba La lunga marcia di Peres verso la pace Bivacco a Taba La strategia di Shimon Peres ha fatto un altro importante passo avanti, con l'approvazione da parte del Gabinetto israeliano (coi soli voti contrari dei due «duri» del Likud, Sharon e Arens) della bozza d'accordo con l'Egitto per un arbitrato su Taba: la minuscola località balneare in mano israeliana che l'Egitto rivuole in base al trattato di pace. La .soluzione sarà affidata a un collegio arbitrale, la cui composizione sarà completata entro 15 giorni. Subito dopo è previsto un incontro — il primo — tra Peres e Mubarak, e la ripresa di piene relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Il leader laborista avrà così completato un'altra tappa della «lunga marcia verso il potere» intrapresa due anni fa, quando accettò di presiedere un governo di coalizione con il Likud, con l'impegno di cedere a metà cammino il posto di primo ministro al leader rivale, Shamir: il 13 ottobre prossimo Shamir succederà a Peres come premier, e Peres a Shamir come ministro degli Esteri. Poi la grande coalizione dovrebbe governale altri due anni, se non si spezzerà prima, come ha già più volte rischiato di fare. Peres ha avuto diverse occasioni per rompere l'allean za e provocare nuove elezioni; ma ha preferito sviluppare pazientemente il piano d'azione che si era prefisso dopo le eie zioni del 1984, che avevano fotografato un Paese spaccato in due, pressoché ingovernabile e certo non in grado di fare scel te drastiche sul problema della pace. In che cosa consiste la strategia di Peres? Dire che essa ha per obiettivo finale un ne goziato di pace è esatto, ma in qualche modo fuorviarne. Per arrivare a quel lontano traguardo, Peres deve prima raggiungerne un altro, deve cioè ridare al partito laborista la maggioranza perduta. Per far questo Peres doveva dimostra re di saper governare un Paese difficile, con un'economia impuzzita, ancora impelagato nell'avventura libanese; e doveva ridare credibilità, oltre che a se stesso come leader, alla politica del suo partito che ha ancora per fine ultimo un negoziato che porti alla pace, in cambio di concessioni territoriali. Al fine di avvicinarsi a questi obiettivi Peres doveva fare certe cose, alla testa del solo governo possibile, quello col Likud; e per ottenere il consenso dell'alleato-rivale doveva forzare la mano a Shamir, un vecchio leader insidiato da più giovani rivali, la cui sola chance per diventare primo ministro era di non rompere la coalizione prima dell'ottobre 1986. Grazie a questa posizione tattica vantaggiosa (quasi craxiana), Peres ha ottenuto in due anni molti risultati. Ha sganciato Israele dal Libano. Ha risanato l'economia bloccando, con successo spettacolare, l'iperinflazione. Ha rotto l'isolamento d'Israele, ot¬ tenendo per esempio il riconoscimento della Spagna e ristabilendo i contatti con l'Unione Sovietica. Peres non è riuscito ad avviare il grande negoziato con la Giordania o con i palestinesi, che era forse impossibile, con Israele spaccato in due e l'Olp paralizzata dalle eterne ambiguità di Arafat: ma la frattura tra questi e re Hussein ha molto indebolito l'Olp. Incontrando Re Hassan del Marocco, e in un prossimo futuro Mubarak d'Egitto, Peres ha nuovamente collocato al centro della politica israeliana, come un'ipotesi di lavoro realistica e non come un'utopia, il progetto di un negoziato di pace con gli arabi: in ciò Hussein Io ha molto aiutato. Bloccando gli insediamenti israeliani nella West Bank, facendo aperture politiche ai «palestinesi dell'interno», schiudendo la porta ai piani giordani per lo sviluppo dei territori occupati, Peres ha creato alcune premesse indispensabili per futuri negoziati. Soprattutto ha eliminato, tra gli arabi come tra gli israeliani, dei blocchi psicologici fatali: finalmente, dall'una e dall'altra parte, si riparla di pace. Tutta la situazione mediorientale si è così rimessa in movimento, e grazie a questo movimento l'Egitto di Mubarak ha rotto l'isolamento in cui si era trovato dopo il patto Sadat-Begin. Peres ha, in verità, rifondato la pace con l'Egitto, e con un Egitto non più paria tra gli arabi, ma che ha relazioni soddisfacenti con la Giordania, con gli Stati arabi moderati, con la stessa Olp. La pace ritrovata con II Cairo rafforza molto Israele: perché «senza la Siria non si fa la pace, ma senza l'Egitto non si fa la guerra». Dall'ottobre prossimo, alla testa di un ministero degli Esteri ancora largamente filolaborista, Peres non sarà affatto paralizzato, come molti di cono, dal premier Shamir. Potrà continuare la sua politica di movimento in attesa di una risposta araba positiva, che forse un giorno verrà: quel giorno la «grande coalizione» si spaccherebbe. Checché accada da parte araba, Peres (oggi popolarissimo anche con gli israeliani di origine marocchina, che erano tutti t\\o-Likud, e che sono circa un decimo della popolazione), ha molto rafforzato il suo partito, in vista di future elezioni. Beninteso, le incognite sono tante, e la «lunga marcia» di Peres verso la pace è lontana dal traguardo finale. Ma in due anni il leader laborista ha fatto molta più strada di quanto sperassero i suoi stessi sostenitori. Arrigo Levi