Tunisi, i giovani lupi dell'Islam

Tunisi, i giovani lupi dell'Islam DOVE ORIENTE E OCCIDENTE S'INCONTRANO E SI SCONTRANO Tunisi, i giovani lupi dell'Islam Anche nella Repubblica socialdemocratica «più vicina a Parigi che alla Mecca» si diffonde l'integralismo - Specialmente tra i giovani, frustrati dalla crisi economica, dalla disoccupazione e da offensive differenze sociali - Un docente universitario: «Chiedono un recupero della morale islamica. Quando il mondo fondato sulla tecnologia vacilla, si avverte il bisogno delle certezze della fede» DAL NOSTRO INVIATO TUNISI — In un remoto poligono di tiro, calcinato dal sole africano, sono stati fucilati Habib Dhaoui e Kilani Ouachachi. Un civile il primo, tenente dell'esercito il secondo. Erano stati condannati a morte, il dieci di luglio, per costituzione di banda armata, rapina e tentato omicidio. La stampa tunisina definì i due fucilati, al momento del loro arresto, «volgari ma pericolosi delinquenti comuni». Tuttavia, durante il processo, Habib Dnaoui proclamò con forza di appartenere alla -Jihad islamica-, una delle tante formazioni integraliste. «Attaccavamo banche, uffici postali, caserme di polizia solo per procurarci armi e denaro con cui combattere il corrotto regime tunisino servo dell'imperialismo americano», disse Dnaoui e il tenente Ouachactii aggiunse che pur non temendo la morte avrebbe voluto vivere per «assistere, un giorno, al riscatto della Tunisia». L'agenzia ufficiale di notizie, la Tap, scrive ora: «Giustizia è stata fatta. I due pericolosi cospiratori, insieme con un pugno di asociali, avevano commesso numerosi reati nel quadro di un odioso piano di destabilizzazione del regime e del Paese». Un tale linguaggio, secondo Liberation, rivelerebbe l'inquietudine del governo «di fronte al diffondersi dell'integralismo e nella scuola e nell'esercito». Il fatto, poi, die Burghiba, di solito generoso, abbia rifiutato la grazia ai due condannati, nonostante le forti pressioni di Amnesty International, della Lega dei Diritti dell'Uomo tunisina e della Federazione internazionale dei Diritti dell'Uomo, starebbe a dimostrare come nella Tunisia socialdemocratica, «più vicina a Parigi che non alla Mecca», l'integralismo islamico & oramai «una ma?e$vióW tante». Chiedo a un diplomatico che oltre a conoscere bene la Tunisia ama questo Paese bellissimo, ricco di storia e di dignità, e soprattutto ••moderno», come e perché l'integralismo islamico possa attecchire in una società laicizzata al massimo dal riformismo burghibisla. Nel Maghreb, risponde l'ambasciatore, di fronte al Marocco aristocratico e all'Algeria proletaria, a contatto di gomito con una Libia che predica il -socialismo ghedda ftano», la Tunisia si presenta come il Paese delle classi medie e della moderazione. «Dobbiamo riconoscerlo — prosegue — la ricchezza è ripartita in proporzione più equa qui che non in tutti gli altri Paesi dell'Africa o del Medio Oriente. Tutto sommato questo è un Paese democratico ma sappiamo che dire democrazia è dire della profonda aspirazione a ridurre le differenze sociali. Che in Tunisia esistono e offendono, tanto sono abissali. La campagna contro la cprniziofte lanciata dal pr'ésV dente Burghiba risponde senz'altro a una profonda esigenza etica ma mira anche a bruciare una valida carta in mano all'opposizione integralista. Insomma, il fondamentalismo islamico non fa paura, tuttavia preoccupa». Popolo giovane Uno storico molto vicino al ■•Combattente supremo- mi dice che «i giovani sono con Burghiba. I giovani sanno, infatti, che Burghiba è buo¬ no, generoso e che gli debbono la propria dignità». Il sessanta per cento della popolazione tunisina (7 milioni) ha meno di 25 anni, ogni anno novantamila giovani irrompono nel mercato del lavoro che già due anni or sono, quando la crisi del petrolio non aveva ridotto all'osso il bilancio dello Stato, poteva offrire solo 42 mila posti, di cui diecimila nell'amministrazione dello' Stato. L'attuale difficile congiuntura econqmjca fa temere, l'incancrenirsi.della.piaga della di-, sóccupàzione. Ma un disoccupato analfabeta è un poveraccio mentre un disoccupato istruito diventa un lupo. Non è questione di essere poveracci o lupi, replica un assistente della facoltà di Architettura, e non è che i giovani ce l'abbiano con Burghiba, il fatto è che «su di lui non contano più ancorché li tocchi il suo sforzo, patetico, di tappare i buchi neri del sistema. Piuttosto, quale progetto socio-culturale ci viene proposto dai presunti delfini di Burghiba? Nessuno». E allora? «La salvezza può venire soltanto da un ritorno alle fonti originali della società araba, da un recupero della morale islamica». Fede, un rifugio La fede è stata sempre il rifugio dell'uomo disperato, dovunque. Assistiamo un po' in tutto il mondo a una crescente -domanda di religiosità-. Habib Boularès, lo studioso, tunisino autore d'un libro-invero sofferto (Islam; la paura, la speranza,), riferisce il discorso con cui militanti marxisti e universitari credenti (tunisini) spiegano quello che correntemente t'ien chiamato riflusso islamico: «Il progresso della fisica nucleare, le scoperte della biologia molecolare, i viaggi nello spazio, l'invasione dell'informatica nella nostra vita hanno creato un nuovo sistema di valori schiavo della tecnologia. Valori che si legano quindi a realtà materiali, concrete. Quando l'insieme di queste realtà (che, in fatto, costituisce la base su cui poggiamo la nostra esistenza) si sgretola, l'uomo vacilla. Da qui un grande bisogno di certezza; e l'Islam è innanzitutto certezza». Nel 1964, all'inizio di quel Ramadan. Burghiba poteva permettersi di sfidare i religiosi tracannando alla tv un bicchiere di sugo d'arancia «perché chi lavora non deve digiunare. E noi dobbiamo lavorare per progredire». A quel tempo il -Combattente supremo- aveva denti sani, affilati. Ma quando, nel 1969, il Partito socialista àpsturiano conosce la crisi che intorpidirà lo slancio riformista f-L'Islah») a causa della malattia di Burghiba costretto a curarsi all'estero, il movimento religioso rialza la testa. Fra il socialismo dispotico di Ahmed Ben Salah e il liberalismo quasi selvaggio di Hedi Nouira, in Tunisia viene a crearsi un vuoto di cui si appropria l'islamismo per riempirlo dei suoi richiami al Sunnismo. Nel Maghreb, il Sunnismo viene prima di tutto recepito come morale e l'Islam, sebbene neghi la lotta di classe, fa sognare una società egualitaria. Oggi i religiosi, gli intellettuali die postulano il ritorno all'Islam come ancora di salvezza sanno benissimo che la crisi che attraversa la Tunisia è legata alla più vasta crisi internazionale, al calo del petrolio, ai capricci dei turisti, ma hanno buon giuoco nel rimproverare allo, -leadership- di non essere stata capace (è qui, forse, il fallimento vero di Mzaìi) d'arabizzare il modernismo, di aver stravolto con l'assunzione acritica dei moduli di vita occidentali la cultura autoctona. «Non basta intensificare l'insegnamento dell'arabo e ridurre quello del francese, per ritrovare l'identità», mi dice un dirigente del Mti (Movimento della tendenza islamica) pilotato dal filosofo Rached Ghannouchi. Giovinezza, giovinezza: ecco il problema. La gioventù tunisina non vede nell'indipendenza una conquista, perché l'ha trovata nascendo sicché si interroga, legittimamente, sul proprio avvenire. L'esodo rurale, risvolto inevitabile d'ogni processo di sviluppo, ha destabilizzato la società tradizionale, scavando spesso un solco profondo tra genitori e figli. La città con le sue industrie, con la sua crudeltà sociale non è una buona scuola per chi vi arriva disarmato, senza risorse. La città non inquina soltanto il cielo. E il richiamo alla purezza contro il degrado dei costumi, contro la corruzione, contro il machiavellismo in politica internazionale, non può andare perduto in un Paese islamico, seppure -moderno-, quale è la Tunisia. Epperò c'è chi sostiene che gli islamici tunisini siano soprattutto arabisti e, quindi, niente affatto oscurantisti. In quanto arabisti credono nella causa palestinese e perciò si sentono traditi dall'America, dall'Europa. Essi, in, larga parte giovani, aspirerebbero, come ci dice il prof. Klibi, Segretario generale della Lega Araba, «a un rinnovamento capace di superare il divorzio di fatto tra la fede e la società, che consenta di coniugare l'una con l'altra. Siamo di fronte a un approccio umanistico del problema religioso». Ma perché il risveglio islamico non diventi una bomba a tempo, è urgente dare una risposta ai giovani lupi tunisini. Prima ancora che di una autentica democrazia, la Tunisia ha bisogno di -giustizia sociale-, xgor Man Midun (Tunisia). Una partita a carte nella strada: la disoccupazione lascia molti giovani inoperosi (Foto Team Editoria! Service)