Il prodigio delle mani

Il prodigio delle mani SEGRETI DELL'UOMO NELLE PAROLE Il prodigio delle mani Pensando alle mani, la prima immagine che viene alla mente è quella di Michelangelo nella Cappella Sistina in cui le due mani, quella del Creatore e quella della creatura, sono vicine, ma già in un atto di separazione, quasi ad alludere, più che ad un saluto, ad una esortazione ad operare, ormai, in modo personale e responsabile. La storia ha poi fatto vedere che l'uomo ha operato, si, in modo personale, ma non sempre responsabile. Gli archeologi potrebbero dirci quante altre volte le mani hanno avuto un significato ben preciso nell'antichità. 10 mi limito a ricordare un frammento di scultura egiziana di due mani sovrapposte quasi a suggellare un patto di amicizia o di amore. Le vidi nel 1935 al Museo di Berlino e ne portai una copia alla mia fidanzata (allora c'erano anche i fidanzati), a quella che diventò mia moglie. La mano è certamente una delle parti più espressive dell'essere umano e come tale è sempre stata considerata in molte civiltà e certamente nella civiltà indoeuropea alla quale apparteniamo. Quando parlo di civiltà indoeuropea alludo a quella che è espressa, appunto, dalle lingue cosiddette indoeuropee, che costituiscono una famiglia della quale fanno parte il maggior numero delle lingue dell'India e dell'Iran, dei popoli slavi e il latino, il greco, le lingue germaniche, in una serie che va, nei continuatori moderni, dall'Atlantico fino ai confini orientali del l'India. Ebbene, in queste lingue si distinguevano, come acutamente osservava il grande linguista francese Antoine Meillet, nomi appartenenti al genere animato da quelli appar tenenti al genere inanimato: in termini .più facilmente comprensibili, il genere animato è rappresentato dal maschile e dal femminile, l'inanimato dal genere neutro. I progenitori indoeuropei, per designare organi^ che loro parevano attivi..ò''ric'cfii dì capacità propria di agire, usavano parole di genere animato (maschile e femminile) e per gli organi che non sembravano tali, il neutro. Così il fegato era di genere neutro ed altrettanto si dica del femore (chi ha studiato un po' di lati no sa che cosa voglio dire). Ebbene, la mano è, in tutte le lingue indoeuropee, dal sanscrito al latino, dallo slavo al greco, al tedesco, di genere animato e precisamente fem minile. E questo nonostante che nelle varie lingue il nome della mano varii e non si ri scontri mai, come avviene per 11 nome di altri organi, un'identità formale delle singole denominazioni. Basterà ricordare il latino manus, il greco cheir, il tedesco e l'inglese band, il russo rykà: tutti termini diversi ma tutti animati, tutti femminili. Da tutto ciò pare che sia da ricavare una conseguenza del tutto naturale: la mano è sempre stata vi sta come un organo vivo, attivo, dotato di una capacità di azione autonoma, quasi di un organo che agisce da sé. ** Anche il piede è di genere animato (maschile) ma i nomi che lo rappresentano hanno una stessa radice da un capo all'altro del dominio indoeuropeo: in latino, in greco, in sanscrito, in armeno, si risale sempre alla stessa radice: ped. Questo aver conservato una radice senza alcuna innovazione è tutto il contrario di quel lo che è avvenuto per la mano in cui sembra che ogni lingua abbia voluto imprimere la sua originalità creando una voce nuova, quasi a segnare l'uni cita della parola, simbolo e strumento principale della creatività umana, rispetto alla ripetitività dell'operazione del camminare, proprio di rutti gli uomini e non così indivi dualizzata come il fare della mano, nelle sue varietà di espressione dalla danza alla carezza, al lavoro dell'artigiano, alla crca/.ione dell'opera d'arte, In latino la mano era il simbolo della forza e dell'autorità del marito sulla donna, del padre sulla famiglia e stiumento di lotta e di lavoro. Chi conosce il diritto romano sa in quante espressioni giuridiche compare la mano. Manus in latino compare nel lin guaggio militare ed è sinoni mo di «forza», «truppa» e si gnifica anche «opera artistica» g Prima ed ultima mano erano già espressioni latine. Ma c'è di più. Il nome della mano serve ad indicare il carattere di chi scrive e lo stile di un artista. In Virgilio, quando Enea arriva a Cartagine e osserva, raffigurati nel tempio che Didone sta costruendo, i fatti di Troia, si dice: «Ammira tra sé quale sia la fortuna della città delle opere degli artefici e la fatica che costano le loro opere». Ebbene, le opere degli artisti che hanno istoriato il tempio sono espresse dalla parola manus che nella traduzione si perde. Non c'è da meravigliarsi che questi significati si trovino in taliano dove, anzi, si hanno anche altri valori per estensione e figuratamente. Così è della mano nelle richieste di matrimonio (in uso dal Cinquecento) e nel significato di "tinta di vernice» che ci conduce ad un'operazione artigianale di larghissimo uso. Tale valore comincia in italiano fra il Trecento e il Quattrocento con quel Cennino Cennini che è il nostro primo teorico dell'arte. * * Fin dalle origini della nostra letteratura il riferimento all'arte è non solo presente ma rigoglioso. Nel Ritmo di Sant'Alessio del principio del Duecento si legge: «Et era figura in i/la domo (duomo, chiesa) / che non era fatta per mano de homo». L'osservazione di quanto avviene in altre lingue ci sorprende .ancora di più. In greco, e di qui l'avrà .presa il latino, la parola mano è usata per esprimere «l'atto» o «il fatto». Già ne\V Iliade si trova cheir col significato di «fatto» opposto a «parola». NeWAiace di Sofocle si legge: «La mano vede ciò che è da fare». La mano si trovj ad espri mere, nell'attività pratica, il lavoro manuale. La prima attestazione in italiano pare collocarsi tra il secolo XIV e il XV ed è del beato Giovanni Dominici in un'opera chiamata Regola del governo di cura fami tiare in cui si legge: «Tu lavo¬ ri e mangi il guadagno delle mani tue». Nell'Ottocento compare il conflitto del lavoro manuale con quello intellettuale che non era presente prima, quando il lavoro delle mani era tenuto in così alta considerazione da essere usato, coma abbiamo visto, per l'opera dell'artista o addirittura per l'artista stesso. E' un avvelenato frutto della lotta di classe la contrapposizione del lavoro delle mani a quello della mente; la paiola mano perde così la sua nobiltà, quella nobiltà che aveva persino portato alla considerazione della mano come indice o spia del carattere dell'uomo e della sua sorte nella chiromanzia. Che l'osservazione della mano sia antica è dimostrato dalle notazioni fatte da Aristotele sul numero e la lunghezza delle linee della mano in rapporto alla longevità. La fortuna della chiroman zia, rimasta intatta presso alcuni ambienti sociali, ebbe fortuna nel Rinascimento, poi decadde, poi ancora risorse nel secolo scorso e in questo. Resta il fatto che la mano presenta una grande varietà di segni, quei segni che nella dattiloscopia hanno notevole ri He vo nell'individuazione delle persone. Le dita di una mano sono, come si sa, un mezzo importantissimo per il riconoscimento di ogni individuo. Nell'arte e nell'artigianato le mani sono sempre il mezzo che trasmette la forma, che in qualche modo la crei-' Anche in questo mondo industrializzato dove rutto pare dipendere dalla macchina, nelle sapienti mani degli artigiani risiede un'attività creatrice che, come tale, è eterna. Essere homo faber è così proprio della natura umana che l'attività manuale di alto livello talvolta non si perde neppure in chi abbia disturbi mentali e sembra non dare possibilità di giudicare fin dove opera la mente e dove agisce meccanicamente la mano. Tristano Bolelli

Persone citate: Cennino Cennini, Giovanni Dominici, Manus, Tristano Bolelli

Luoghi citati: Berlino, India, Iran