Un «giallo» del lager di Primo Levi

Un «giallo» del lager RISOLTO, A MEMORIA, DOPO 42 ANNI Un «giallo» del lager Nel novembre del 1944 avevamo un Kapo olandese che da civile aveva suonato la tromba nell'orchestrina d"un caffè concerto di Amsterdam. Come «Musikcr», faceva parte della banda del campo, ed era quindi un Kapo anomalo dalle doppie funzioni, che alla line della sfilata dei prigionieri verso il lavoro doveva scendere dal palco, riporre la tromba e rincorrere la schiera per riprendere il suo posto. Era un uomo volgare ma non particolarmente violento, ben nutrito, stupidamente fiero del pigiama a righe quasi pulito a cui la sua funzione gli dava diritto, e assai parziale nei confronti dei suoi sudditi olandesi, quattro o cinque nella nostra squadra di una settantina di prigionieri. Quando si approssimò il Capodanno, per ingraziarsi ulteriormente il Kapo, e ad un tempo per ringraziarlo, questi olandesi decisero di preparargli un festeggiamento. Come ovvio, i generi alimentari erano pochi, ma uno di loro, grafico di professione, scovò un foglio di carta da cemento, lo verniciò davanti e dietro con olio di lino per renderlo simile alla pergamena, ne sfrangiò i bordi, vi tracciò tutto intorno una greca con minio rubato in cantiere, e vi ricopiò in bella serie tura una pocsiola augurale. Naturalmente era in olandese, lingua che non conosco, ma per uno dei curiosi salvataggi ope rati dalla memoria ne ricordo tuttora alcuni versi. Tutti firmarono, e firmò anche Goldi unni, die olandese non era. bensì austriaco: il fatto mi siupi a fior di pelle, poi non ci pensai più, travolto anch'io dagli eventi drammatici che se gnarono lo scioglimento del Lager pochi giorni dopo. Il nome di questo Gold baum e riaffiorato per un istante nel corso di un incontro che ho descritto nel Sistema periodico. Per un improbabile gioco del destino, dopo più di vent'anni mi ero trova io in contatto epistolare con un chimico tedesco, uno dei miei padroni di allora: era afflitto da sensi di colpa, e mi chiedeva qualcosa come un perdono o un'assoluzione. Per dimostrarmi di aver provato interesse umano verso noi prigionieri , citava episodi e per sonaggi che poteva aver trovati nei molti libri pubblicati sull'argomento (o nel mio stesso Se questo è un uomo) ; ma mi chiedeva anche notizie personali di Goldbaum, che certo nessun libro nominava. Era una prova piccola ma concre ta. Gli avevo risposto il poco che sapevo: Goldbaum era morto durante la terribi marcia di trasferimento dei prigionieri di Auschwitz verso 13uchenwald. Questo nome è tornato s galla pochi mesi fa. Il Sistema era stato pubblicato in Inghi terra, ed una certa famiglia Z. di Bristol ma con diramazioni in sud Atrica e altrove, mi scrisse una lettera complicata Un loro zio, Gerhard Gold baum, era stato deportato, non sapevano dove, né avevano più avuto sue notizie. Sapevano che le probabilità di un'effettiva coincidenza erano mini me, perché si trattava di un cognome molto comune, tur tavia una delle nipoti era di sposta a venire a Torino a parlarmi, per verificare se per caso il mio Goldbaum non fosse proprio il loro scompar so, alla cui memoria sembra vano molto legati. * * Prima di rispondere, cercai di mobilitare quanto di Goldbaum ricordavo. Non era mol to: appartenevamo alla stessa squadra, ambiziosamente de nominata «Kommando Chi mico», ma lui chimico non era, e neppure eravamo stati particolarmente amici. Tutta via, ricollegavo a lui la vaga reminiscenza di una posizione di privilegio simile alla mia io riconosciuto (in verità assai tardi) come chimico, lui in qualche alrra specializzazione tecnica. Il suo tedesco era lim pido: senza dubbio era staro un uomo civile e di buona cultura. Rilessi le lettere del chimico tedesco, e vi trovai un dato che avevo dimenticato: il Goldbaum che lui ricordava era un fisico dei suoni, come me era stato esaminato, e poi assegnato ad un laboratorio di acustica. La circostanza mi richiamò alla mente una coincidenza che avevo scordata: nel Primo Cerchio di A. Solzenicyn si de- scrivono strani Lager specializzati, ed in specie uno di questi, i cui prigionieri-ingegneri sono addetti alla ricerca di un analizzatore di suoni «commissionato» dalla polizia segreta di Stalin allo scopo di identificare le voci umane nelle intercettazioni telefoniche. Questi Lager si diffusero in Unione Sovietica dopo la fine della guerra. Ora, nell'aprile 1945, cioè dopo la liberazione, io ero stato invitato a colloquio da un gentilissimo funzionario sovietico: era venuto a sapere che io avevo lavorato da prigioniero in un laboratorio chimico, e voleva sapere da me quanto i tedeschi ci davano da mangiare, quanto ci sorvegliavano, se ci pagavano, come evitavano furti e sabotaggi. E' quindi abbastanza probabile che io abbia modestamente contribuito all'organizzazione delle cosiddette saraski sovietiche, e non è impossibile che il misterioso lavoro di Goldbaum fosse quello descritto da Solzenicyn. ★ * Risposi agli Z. che avrei dovuto recarmi a Londra in aprile: un loro viaggio in Irata era inutile, avremmo potuto vederci là. Vennero all'appuntamento in sette, appartenenti a tre generazioni, mi assediarono, e subito mi mostrarono due fotografie di Gerhard, scattate verso il 1939. Provai una specie di abbagliamento; a distanza di quasi mezzo secolo, il viso era quclo, coincideva perfettamente con quello che io, senza saperlo, recavo stampato nella memoria patologica che serbo di quel periodo: a volte, ma solo per quanto riguarda Auschwitz, mi sento fratello di Ireneo Funes «el memorioso» descrirto da Borges, quello che ricordava ogni foglia di ogni albero che avesse visto, e che «aveva più ricordi da solo, di quanti ne avranno avuti tutti gli uomini vissuti da quando esiste il mondo». Non occorrevano altre prove: lo dissi alla nipote, leader della famiglia, ma invece di allentarsi la loro pressione si fece più forte; non parlo per metafore, avrei dovuto intrattenermi anche con altre persone, ma gli /.. mi avevano incapsulato come tanno i leucociti attorno a un germe, mi premevano intorno e mi tempestavano di domande e di informazioni. Alle domande non seppi rispondere, salvo che ad una: no, Goldbaum non doveva aver sofferto troppo per la fame; lo attestava il fatto stesso dell'averlo io subito riconosciuto in fotografia. Mancavano dalla mia immagine mentale i segni della fame estrema, inconfondibili e a me noti; il suo mestiere, fino agli ultimi giorni, gli doveva aver risparmiato almeno quella sofferenza. E fu sciolro anche il nodo dell'Olanda. Era una conferma ulteriore: la nipote mi disse che al tempo dell'annessione dell'Austria Gerhard si era rifugiato in Olanda, dove, ormai padrone della lingua, aveva lavorato alla Philips fino all'invasione nazista Apparto neva alla Resistenza olandese; come me, era stato arrestato come partigiano, e poi riconosciuto come ebreo. L'affettuoso e tumultuoso clan degli Z. venne disperso a fatica da un improvvisato «servizio d'ordine», ma prima di lasciarmi la nipote mi con segnò un involto. Conteneva una sciarpa di lana: la porterò nel prossimo inverno. Per ora, l'ho riposta in un cassetto, provando la sensazione di chi tocchi un oggetto piovuto dal cosmo, come le pietre lunari, o come gli «apporri» vantar! dagli spiritisti. Primo Levi

Persone citate: Borges, Gerhard Gold, Goldi, Ireneo Funes, Kapo, Solzenicyn, Stalin

Luoghi citati: Amsterdam, Austria, Bristol, Londra, Olanda, Torino, Unione Sovietica