Marianna e il Terrore

Marianna e fl Terrore I DUE VOLTI DELLA RIVOLUZIONE Marianna e fl Terrore Credo che sì possa senza I esitazione aficrmate che nessun evento storico negli ultimi due secoli ha alimentato una cosi ricca e diversamente orientata produzione storiografica e anche politologica al pari della rivoluzione francese. E quel che vorrei sottolineare in primo luogo non è il contributo di conoscenza che da questa produzione è venuto alla storia della rivoluzione; bensì l'importanza dello «spirito» e dei «valori» che l'hanno animata. Tanto che questi valori hanno costituito e continuano a costituire di per sé i materiali per un capitolo centrale della coscienza politica e civile europea e non solo europea. Il modo di «vedere» è uno specchio privilegiato per capire chi vede. E di questo fenomeno fanno parte anche certe rivelatrici riproposte di libri passati. E' ben noto, in particolare, quanto stretti siano stati i legami fra i modi di considerare il socialismo, la rivoluzione russa, il suo decorso, e modi di scrivere e riscrivere la rivoluzione francese, in questo o quel senso. La crisi del mito sovietico e il dibattito sulle dittature moderne producono in questo campo nuove conseguenze. Ora da noi è uscito presso Sugarco un volumetto che raccoglie le lezioni tenute su Le due rivoluzioni francesi fra il 1940 e il 1942 all'Università di Ginevra da Guglie! mo Ferrerò, storico, politologo e sociologo; rifugiatosi nel 1930, perché antifascista, in Svizzera e quivi morto nel 1942. ★ * Quest'opera del Ferrerò non è in alcun modo un'opera propriamente storica; è invece una riflessione sulla rivoluzione francese, con l'intento di cavarne la legge intima di svi luppo e, scoperta questa legge, dare alla rivoluzione e al fenomeno rivoluzionario in generale il suo significato. Ferrerò si era sentito come illuminato dagli insegnamenti rJcayatJ0$alla guerra;mondiale', dalla rivoluzione russa e dalla più vasta crisi del primo dopoguerra europeo, con il collasso di antichi ordini, Stati e dinastie. Da ciò aveva sentito venirgli una nuova comprensione della rivoluzione francese, da cui la storiografia della precedente epoca pacifica era stata esclusa. La sua «scoperta» fu che, quando cade un ordine legittimo, si crea un vuoto die i rivoluzionari non possono riempire. Essi tentano affannosamente di costruire un surrogato di «legalità», ma non possono riuscirvi poiché sono costituzionalmente figli dell'illegalità. Perciò vengono invasi e dominati dalla «paura» che deriva dalla loro insicurezza: verso i rappresentanti supposti o reali dell'antico ordine, i propri concorrenti (la rivoluzione che divora i suoi figli), i nemici esterni. Cercano allora una impossibile sicurezza nel-1 l'uso crescente della violenza ma la violenza non può saziar' li e diventa terrore, che spinge al sogno di dominare tutto e tutti: il mito totalitario. A spiegazione del concetto delle «due rivoluzioni» (da cui deriva il titolo del libro) e della dinamica apertasi dopo il 1789, Ferrerò afferma: vi e «la rivoluzione che costruisce e la rivoluzione che distrugge»; la prima «è sempre lenta e pud svilupparsi per secoli», la seconda «è empre repentina e rapida». Quando crolla la legalità «il terrore s'impadronisce degli spiriti», poiché una «rivoluzione distruggitrice trascina sempre al suo seguito la paura». ** Destino storico della Francia è stato che le due rivoluzioni sono andate coincidendo, per cui le forze creatrici e positive sono risultate annichilite aprendo la strada alla rivoluzione dominara dalla paura, dall'instabilità, dal terrore. Tutto il succo del libro del Ferrerò è qui. In questa tesi il suo supporto teorico. Il resto è l'attraversamento delle vi cende storiche della rivoluzione francese per ribadire a ogni passo come il corso concreto delle'cose costituisca l'ininter rotta conferma della tesi. La riedizione del libro, che è forse l'elemento su cui mag giormente riflettere, si colloca in quell'azione «giudiziaria», di natura accentuatamente pratica e politica, che ha la sua origine recente nel «disincantamento» verso la rivoluzione russa in particolare e, più in generale, l'idea stessa di rivoluzione, vista come fonte inevitabile di violenza, degenerazione e totalitarismo. Sicché pensando alla rivoluzione francese si pensa a quella russa, e viceversa. Questa corrente partita dalla Francia e poi si è riversata in Italia, come mezzo di sostegno dell'ideologia ri formistica contro l'ideologia rivoluzionaria. La rivoluzione francese che era stata vista da una certa cultura politica rome benefica madre della li betta, .della democrazia e del progresso sociale, viene consi derata perversa matrigna, generatrice di dispotismo totalitario. Il difetto di fondo del libro di Ferrerò mi sembra stia ne'l'ingabbiare un processo mul tiforme e complesso entro categorie a tal punto semplificatrici che non consentono di spiegare quasi nulla dall'interno del concreto corso storico: per questo dà l'impressione di spiegare tutto chiudendolo in una sorta di camicia di Nesso intessuta di poche formule. Gò che lascia alla radice insoddisfatti negli studi (meglio sarebbe dire nella mentalità) alla Ferrerò è che in essi l'attenzione è ossessivamente attirata sull'analisi della rivoluzione come deformazione rispetto a determinati schemi di riferimento politico-ideologico (il riformismo, il ptimato del principio evolutivo su quello della rottura, il liberalismo, ecc.), che diventano calchi artificiosi di misurazione in vista di una «filosofia della politica» o addirittura di una «controstoria», senza interesse per il problema delle condizioni specifiche che spiegano i perché dello sviluppo storico. Ecco che la rivoluzione diventa un'«idea» cui si contrappone un'altra «idea» in un sovramondo. Sembra che quanti accolgono questo tipo di metodo non si accorgano di seguire le stesse orme della aborrita storiografia o politologia rivoluzionaria. Sennonché la prima plaude a ciò che la seconda fi schia. Alla tesi che tutta la stotia debba finire nella gloria rivoluzionaria si contrappone quella che le rivoluzioni siano un errore in sé. Fatto è che cercare il «segreto» delle grandi rivoluzioni moderne nella «paura» dei rivoluzionari (o altri concetti consimili) oppure nella loro «virtù» è una mera mascheratura ideologica, di certe tendenze della cultura storica e politica del nostro tempo. Le grandi rivoluzioni sono troppo concretamente serie per ridurle a teatro di categorie astratte, in specie di marionette, sia che le si vesta di un rosso sgargiante oppure di un lugubre nero. Massimo L. Salvador!

Persone citate: Fatto, L. Salvador

Luoghi citati: Francia, Italia, Nesso, Svizzera