Burghiba il profeta laico di Igor Man

Burghiba il profeta laico IN TUNISIA ORIENTE E OCCIDENTE S'INCONTRANO E SI SCONTRANO Burghiba il profeta laico II grande vecchio (83 anni) ha lottato contro la corruzione, dato alle donne divorzio e aborto - Vuole una casa per tutti e soprattutto istruzione: ha silurato il primo ministro Mzali dopo il fallimento degli esami di maturità nelle scuole - Ora deve affrontare una grave crisi: calo del prezzo del petrolio, dell'export di fosfati, del turismo, pessimi raccolti - Ogni giorno una nuotata alla Mao DAL NOSTRO INVIATO TUNISI — n profumo sensuale del gelsomino che uomini in gellabah (la tunica bianca, lunga sino ai piedi), vendono a massetti per pochi spiccioli, l'esplosione vermiglia e viola delle bugainvillee arrampicate sulle par reti bianche delle case dagli infissi celesti, le giornate sfatte dalla calura con le spiagge sature di famiglie che fan vacanza sotto tende multicolori (il turismo cosmopolita preferisce ville superbe su altri arenili) e infine le notti umide, tessute dai mille discorsi dei piovani asserragliati nei tanti caffé dell'Avenue Burghiba, i Campi Elisi di Tunisi: all'apparenza nulla è cambiato. Tutto come sempre, dunque, in questo piccolo Paese amico, cerniera tra l'Islam e il modernismo laico? In verità questa del 1986 è una estate diversa dalle altre e non solo meteorologicamente (violenti temporali spezzano di continuo la bella stagione). Martedì 8 luglio ad ore 17 e 45 minuti, un comunicato diffuso dalla Tap (l'agenzia ufficiale tunisina) ha aperto una nuova pagina politica. La mattina di quel giorno, il presidente Burghiba, dopo la solita nuotata astile Mao-Tse-tungm nelle acque limpide di Skanes, a Monastir, aveva avuto una lunga seduta di lavoro con il ministro dell'Economia, Rachid Sfar, con Ismail Khelil, ministro della Pianificazione e con Mohammed Skhirì, governatore della Banca Centrale. Da loro aveva ascoltato recitare, tra lo sgomento e il furibondo, un rapporto invero disastroso sullo stato dell'economia tunisina. La Tunisia spende più di quel che incassa. Le tre fonti di divisa estera — petrolio, fosfati, turismo — sono allo stremo mentre aumenta il debito estero (oltre 4 miliardi di dollari). La produzione del greggio che rappresentava nel 1985 più del 40%" 'delie esportazioni, è in declino; la caduta del prezzo del barile si traduce in una perdita secca di HO milioni di dollari. La crisi dell'agricoltura americana svilisce il prezzo (e la richiesta) dei fosfati. In quanto al turismo, prima il bombardamento israeliano, nell'ottobre scorso, del comando dell'OLP, poi le bombe americane su Tripoli in aprile, hanno ridotto del 30% l'afflusso degli stranieri. I salari sono bloccati da quasi tre anni ma l'inflazione s'avvia a superare il 20%, il dinaro è stato svalutato del 13%, le riserve di valuta sono pressoché al lumicino, la disoccupazione galoppa, e siccome le disgrazie non vengono mai sole l'annata agricola, al contrario della prece- dente, è pessima: occorrerà importare 13 milioni di quintali di derrate e non si sa dove trovare i dollari necessari alla bisogna... Burghiba, il Combattente supremo (il titolo gli viene riconosciuto dalla Costituzione) ascolta in silenzio, pallido. E in silenzio consumerà il suo parco pasto di mezzodì (un cucchiaino di miele, una sogliola alla griglia, due foglie d'insalata, frutta) insieme coi taciturni ministri. Solo dopo la breve 'pennichella' abituale, Burghiba esce dal mutismo. Chiama il redattore delta Tap e gli detta ' iì' comunicato seguente: «Il Combattente supremo, il presidente Habib Burghiba, ha deciso di estromettere dalle sue funzioni di primo ministro e di segretario generale del partito Mohammed Mzali e di nominare Rachid Sfar primo ministro e segretario generale del partito». Alle 18, il primo ministro apprende dalla radio il suo licenziamento in tronco. Quando, alle 20, dopo il telegiornale che si limita a trasmettere il comunicato senza una parola di commento, il corrispondente d'una grande agenzia straniera chiede, per telefono, a un funzionarlo del ministero delle Informazioni: «E Mzali, che dice Mzali?», si sente rispondere: «Mzali è un cadavere politico e i cadaveri, ch'Io sappia, non parlano». In vero questa che stiamo riassumendo potrebbe intitolarsi «cronaca di una disgrazia annunciata: Infatti, no¬ nostante due settimane prima del brutale sfratto Mohammed Mzali, durante il dodicesimo congresso del psd (partito socialista desturìano), avesse ascoltato Burghiba chiamarlo «Ya bni» (figlio mio) indicandolo solennemente suo successore, il Combattente supremo in un discorso intonato a braccio avrebbe espresso di lì a poco il suo «sdegno» per l'esito infausto degli esami di maturità: solo il 13% di promossi. Il grande vecchio che ha sempre considerato la eccezionale scolarizzazione della Tunisia come «un fatto storico», ordina esami di riparazione a settembre e una riforma scolastica. Per Mzali che aveva privilegiato l'aarabizzazione; eliminando l'insegnamento del francese nelle prime quattro classi delle primarie, anche nell'illusione di calmare le smanie degli integralisti islamici, quel discorso di Burghiba è il primo tocco d'una campana che presto suonerà a morto. La cantante Oggi «radio marciapiede' dice che Mzali avrebbe fatto bene a dimettersi dopo la sanguinosa 'rivolta del pane' del gennaio 1984, però è anche vero che il suo siluramento non suscita né eccessivo rimpianto né soverchio entusiasmo. L'unico avvenimento che in luglio abbia veramente colpito l'opinione pubblica tunisina — ha scritto Jeune Afrique —, è stata la morte, a soli 68 anni, della cantante Fethia Khairi. La verità è che la cacciata di Mzali non segna un cambiamento di regime, bensì un nuovo «ciclo politico» contrassegnato, una volta ancora, dall'affermarsi prepotente d'un vegliardo dalla pessima salute di ferro: Habib Burghiba. Con Mzali son già cinque i "delfini" ch'egli ha bruciato, cogliendo l'occasione, a ogni cambio della guardia, per virare di 180 gradi. Ed ecco, ora, questo signore di 83 anni dedicarsi con impegno alla rifondazione del Paese. Ogni mattina i giornali pubblicano varie'fotografie di Burghiba a colloquio con questo o quel ministro. Sul suo tavolo spoglio di carte campeggia la foto, con dedica, di Mendès-France. Su di un tavolinetto la fotografia di sua madre, perduta quando il futuro Combattente supremo era ancora un ragazzino studioso, l'ultimo di sette figli d'un ufficiale dell'esercito del Bey. Sotto le fotografie a caratteri cubitali le "consegne": lotta alla corruzione, riscatto dell'agricoltura, una casa per tutti, ripresa economica. Culto della personalità? Può darsi ma è persino commovente vedere un vecchio leader trascurare gli annosi acciacchi e afferrare la barra del timone per portare in porto una barca squassata dalla tempesta più che la navicella dei Malavoglia. Tuttavia Habib Burghiba non è un Padron 'Ntoni, ma un vero combattente che dopo cinquantanni e passa di vita politica rivendica l'interezza del potere quasi volesse resuscitare la passione dei primi anni dell'indipendenza, conquistata con la lotta ma anche con l'arte del compromesso. «L'Oriente è l'Oriente, l'Occidente è l'Occidente e giammai si incontreranno», scrisse Kipling. Ebbene, a cavallo di due mondi e, soprattutto di due logiche, quella di Cartesio e quella dell'Islam, la Tunisia di Burghiba si è sempre battuta per smentire la sconsolata profezia. A partire dal 20 marzo del 1956, giorno dell'indipendenza, viene esposta sempre la stessa fotografia ufficiale di Burghiba: un bell'uomo dallo sguardo penetrante, i capelli ben ripartiti a render più vasta la fronte, un doppiopetto impeccabile, cravatta chiara, l'ampio torace attraversato dal Gran Cordone dell'Ordine nazionale, la mano sulla Costituzione ch'egli ha giurato di difendere. Una iconografia volutamente rètro, insolita in un mondo, il Terzo Mondo, dove i leader devono mostrarsi al popolo virili e in divisa, mentre Burghiba vuole apparire quello che è: un borghese riformista, impegnato nella sintesi fra la sua cultura e quella dell'Occidente. Per cercar di capire Burghiba e il popolo tunisino, occorre rifarsi a questa sintesi frutto di un perenne esercizio d'equilibrio. Quando Burghiba e la Tunisia si sentono minacciati nella loro cultura, si chiudono a riccio e si voltano verso il Medio Oriente. Ma allorché si cerca di allinearli con un arabismo monolitico e irrazionale, ecco la reazione inversa in nome della logica e della ragione, mutuate dall'Occidente. E i giovani? In ogni caso, quando scatta una congiuntura difficile, come l'attuale, vediamo affermarsi, in un senso o nell'altro, una specificità tunisina di cui Habib Burghiba, da oltre mezzo secolo è al tempo stesso l'architetto, l'archetipo e il tribuno. Lui, l'uomo che ha abolito la poligamia e dato alle donne il divorzio, l'aborto medico libero, l'uomo che ha avuto il coraggio, nel 1965, a Gerico, di proclamare che la via della pace passa attraverso una vecchia risoluzione delle Nazioni Unite, la 181, quella che divideva la Palestina in due Stati: uno arabo-palestinese, uno ebraico. A dispetto dì non poche contraddizioni, ha scritto Jean Rous, c'è perfetta simbiosi fra Burghiba e il suo popolo. Ma è anche vero che il 60 pei- cento della popolazione tunisina ha meno di 25 anni. Sicché la domanda è questa: qual è il rapporto tra i giovani tunisini, attenti al riflusso islamico e l'ottuagenario padre della Patria, ostinatamente laico? Igor Man Monastir. Il presidente Burghiba con un ufficiale della guardia durante una delle nuotate mattutine, davanti alla residenza estiva