I forzati della periferia di Sandro Doglio

I tergati della periferici Carne si vive oggi in Italia nei sobborghi delle grandi citta: Genova I tergati della periferici DAL NOSTRO INVIATO GENOVA — .Noi siamo i dannati della periferia. Ogni giorno slamo condannati avanti e indietro su questo maledetto treno. E ci sentiamo anche dire che siamo fortunati, perché viaggiare in auto attraverso la città sarebbe peggio. Però la sera, dice lei, ce ne stiamo tranquilli, lontani dal traffico, in case con vista sul mare. Può essere, anche se non è vero per tutti: ma per fare che cosa? Guardare la televisione o correggere i compiti ai figli, ecco tutto. Ha idea di come si vive in periferia? Non c'è niente. Niente di niente». E' l'alba, ma già fa caldo, e negli scompartimenti e nei corridoi del treno locale ■11110. in servizio da La Spezia ad Albenga, attraverso le due riviere di Genova, ci si urta, ci si schiaccia come acciughe per far posto a chi sale, stazione dopo stazione. Il treno fa cinquanta fermate, impiega quattro ore a percorrere 174 chilometri. I viaggiatori sono tutti clienti abituali: salutano il controllore come un vecchio amico. Le città, tutte le città d'Italia, ormai si estendono per chilometri e chilometri al di là del loro limite storico; hanno invaso, assorbito Comuni confinanti, a volte anche intere cittadine. Milano dilaga in Brianza, ha inghiottito Sesto San Giovanni e Monza, si spinge fin verso Melegnano e Binasco, non c'è quasi più soluzione di continuità verso Rho, Legnano e Busto. Torino ha assorbito I capoluoghi, miraggio di lavoro e comodità, hanno attratto migliaia di lavoratori e inghiottito i centri vicini trasformandoli in borgate - L'esempio genovese: a Ponente i ghetti, a Levante i dormitori-bene - Lo stress del pendolarismo: «Siamo condannati su questo maledetto treno» - Si fa strada il rifiuto della metropoli Moncalieri, Trofarello, Nichelino, Orbassano; sulla strada della Val di Susa una serie ininterrotta di case e fabbriche ha cementato la vecchia capitale piemontese con Collegno, Rivoli, con Alpi gnano. Le città del Nord si sono forse espanse più di quelle del Sud. Ma Roma e Napoli con i loro immensi suburbi rappresentano un caso drammatico, al limite della rottura per gli squilibri e l'inurbamento tumultuoso della periferia. Reggio Calabria è una sfilata ininterrotta di case e negozi e fabbriche che comincia ben prima di Villa San Giovanni e si spinge al di là dell'aeroporto Tito Mingiti, verso San Gregorio e San Leo: un serpente lungo quasi come tutta la costa calabra che si affaccia sulla Sicilia. Per non dire di Catania, e soprattutto di Palermo, ormai metropoli tumultuosa da Bagherla a Capo Gallo, da Villabate a Monreale. L'andare a vivere in città è stato il sogno di generazioni di diseredati, di giovani che sognavano successo e bella vita o più semplicemente una migliore possibilità di lavoro e guadagno. Per tutto questo secolo, e soprattutto negli anni dell'ultimo dopoguerra, le campagne si sono svuotate e le città si sono gonfiate. Ci si accontentava di qualsiasi alloggio pur di mettere piede nella città. Da qualche anno per l'impossibilità fisica di trovare nuovi alloggi, per le cresciute esigenze della gente, perché — anche — 1 centri di lavoro si sono via via spostati verso la periferia e in certi casi anche trasferiti nelle campagne, si è rilevato un movimento contrario. Ma non è stato un franco ritorno alla campagna; è stata la via di mezzo della periferia, del suburbio. Forse molti andrebbero decisamente a vivere anche lontano dai centri cittadini, ma la scuola per i figli, i mezzi di comunicazione per il lavoro, e soprattutto il timore di ritrovarsi isolati, gli fa scegliere l'ibrida soluzione della grande periferia. Illusioni di verde, di spazio, di vicinanza ai centri del lavoro, degli acquisti, del divertimento; illusioni che spesso si frantumano in un ghetto di pendolari. In Italia c'è più gente che vive nelle periferie di quanti non abitino le città vere e proprie. Genova può essere un punto di partenza per cercare di capire come si vive in periferia oggi in Italia. Stretta fra mare e monti, la città non ha spazi per ampliarsi. Dilagando dal centro storico — che pure è uno dei più grandi d'Europa — ha conquistato a poco a poco le frazioni e i Comuni a ponente e a levante, lungo il litorale. Già negli Anni Venti il fascismo — anche per soddisfare ambizioni ideologiche — aveva creato la •Grande Genova», raggruppando sotto un unico municipio cittadine di fiera autonomia come Sampierdarena, Sestri, Pegli sulla Riviera di ponente, Nervi e Sant'Ilario a levante. Ma fu decisione puramente amministrativa, che continua ad essere contestata (è di questi tempi la richiesta di Nervi per tornare a essere Comune autonomo). A Genova, come in ogni città, si sono creati almeno due tipi di periferia: quella «bene», dove gli appartamenti sono confortevoli, i prezzi alti, le strade in genere abbastanza silenziose; e i «ghetti», dove dominano i caser¬ moni-dormitori. Bene è soprattutto la zona di levante, da Nervi a Bogliasco, a Sori, con la collina di Sant'Ilario e l'alta valle intorno a Pieve, già al di là del Passo dei Giovi. A ponente il «bene» va da Arenzano a Varazze. -Chi ci vive — dice uno dei dirigenti dell'Italsider — forse perde un'ora di treno al giorno per venire a lavorare in citta, ma può stare come in paradiso: E' gente che di sera non vive, se non eccezionalmente, la vita della città; sta chiusa nel suo guscio, ricevimenti in famiglia, il sabato e la domenica se ne va più lontano sulla riviera, verso Portofino e oltre. Negli ultimi anni è stato quasi un esodo dei genovesi di città verso queste periferie, che spesso consentono addirittura la casetta con il giardino, vista sul mare. Il dramma della periferia di Genova sono i ghetti. Quelli costituiti dalle case a ridosso dell'Italsider o dell'Ansaldo, invasi giorno e notte da cattivi odori, smog, rumori assordanti. Dice Angela Costaguta che abita con il marito e tre figli in un appartamento dalle cui finestre il solo panorama è rappresentato dalle ci¬ miniere della grande acciaieria: .Farei qualunque cosa per fuggire di qui. Quando si è parlato di chiudere Cornigliano, mentre uomini e sindacati protestavano per il posto di lavoro, un gruppo di noi donne è andato dalle autorità a dire che facessero pure, perché proprio non ne possiamo più di vivere qui. Mi sembra di dover dormire e mangiare in fabbrica*. Ci sono ghetti — come a Pegli o a Begato, dove c'era il forte — che sono stati progettati ben sapendo che tali sarebbero diventati; l'urbanistica si è lasciata prendere la mano dall'istanza sociale immediata senza guardare al domani. Ma ci sono ghetti che lo sono diventati con gli anni: il caso più classico è il «Biscione», gigantesco edificio costruito con criteri avveniristici su un balcone naturale, dal quale Genova è davvero uno spettacolo. Ma oggi il «Biscione» è ridotto a ghetto dalla sporcizia che vi si è andata accumulando, dalle infrastrutture inadeguate, da abitanti impreparati. E cosi sta capitando sopra Pegli, alla cosiddetta «Lavatrice», un complesso di case ultra¬ moderne nelle invenzioni e nel disegno, un po' allucinante per strutture. C'è chi teme che lo stesso errore — un bel progetto, ma realizzato nel posto sbagliato e per usi inadeguati — si stia commettendo a monte di corso Europa, dove c'è il piano di realizzare tre, quattromila appartamenti, che tutti dovrebbero poi confluire sull'unica strada che porta al centro. Se di sera Genova è morta, e se sono spenti 1 quartieri della periferia «bene», non capita lo stesso nelle altre «delegazioni», come sono chiamati i sobborghi e 1 rioni fuori del centro storico. A Sampierdarena si fa la «vasca» in via Chiantore; a Nervi e a Bogliasco c'è vita e ci sono punti d'incontro. «Lei è genovese?, domandiamo a caso tra la folla che scende a Genova Brignole alle 6 del mattino dal treno locale «11110»; -Sono di Nervi., .Vivo a Bogliasco., «Di Sturla, prego., «Ho casa a Sant'Ilario., .Quarto, quello di Garibaldi.. Chi vive in periferia sembra che non si senta neppure genovese: «La ragione — sostiene il prof. Matteo Torquinti, psicologo — è che si sentono quasi rifiutati dalla città, anche se sono loro spesso ad aver scelto di vivere in delegazione, e se in città continuano a passare la più grande parte del loro tempo. Vn rapporto di amore-odio, che nasce dalla fatica e dalle difficoltà della vita cittadina, inasprite spesso dallo stress di vivere in periferia.. Sandro Doglio

Persone citate: Angela Costaguta, Biscione, Busto, Matteo Torquinti, Sturla, Tito Mingiti