Un agosto movimentato di Renato Cantoni

Un agosto movimentato Un agosto movimentato A quanto pare la tradizione di un agosto monetariamente agitato è ancora una volta confermata: sia la quotazione del dollaro, sia il prezzo del petrolio sono scesi a nuovi minimi da molti anni a questa parte. In verità sono in atto due guerre mondiali non guerreggiate ma altrettanto piene di incognite. L'economia e la finanza internazionali poggiano su tre pilastri: le monete di riserva o di riferimento (dollaro), l'energia (petrolio) e il bene-rifugio di ultima istanza, vale a dire l'oro. Quest'ultimo per ora dà solo qualche segno di nervosismo, ma la sua quotazione è salita di poco se rapportata alla discesa della valuta statunitense. Per il petrolio la crisi apertasi all'inizio di quest'anno è profonda e la soluzione è assai difficile. Come non è possibile far quadrare un cerchio, così non si vede come si possa mantenere alta la produzione, attualmente superiore alle necessità, tenendo nel medesimo tempo alte le quotazioni. Il cartello dell'Opec sta scontando amaramente una politica di forza che si è dimostrata, come capita sempre in questi casi, controproducente. I prezzi altissimi hanno stimolato la ricerca di nuovi giacimenti e la quantità estratta giornalmente è diventata esuberante. D'altra parte alcuni Paesi, sull'onda dei pingui ricavi valutari, hanno impostato grandi programmi di investimenti a lungo termine utilizzando largamente le linee di credito troppo generosamente e imprudentemente aperte a loro favore, sia dalle istitu; zioni internazionali, sia da gruppi bancari privati. Ma questa tendenza all'indebitamento non può continuare all'infinito e allora si impongono politiche di austerità che si riflettono quasi immediatamente sui consumi. Da qui una progressiva riduzione dei traffici intemazionali, provvedimenti protezionistici e in definitiva la diminuzione di quegli investimenti che invece sarebbero indispensabili per superare gli effetti della superproduzione agricola e di materie prime, ivi compreso il petrolio. Ecco perché è indilazionabile lo studio e il varo di un gigantesco piano su scala mondiale per ridare la perduta velocità agli scambi e permettere in pari tempo ai debitori di riequilibrare i loro conti. Per arrivare a questo scopo, occorre in primo luogo la presenza degli Stati Uniti seguiti dai Paesi industriali più ricchi ed efficienti come la Germania, nazione trainante in Europa, e il Giappone. Osservando gli avvenimenti degli ultimi mesi, la cosa non appare cosi facile. E' in atto infatti un braccio di ferro monetario senza esclusione di colpi: gli Stati Uniti, per ridurre l'enorme deficit della loro bilancia commerciale, premono perché i Paesi valutariamente più forti e ancora abbondantemente eccedentari come la Germania e il Giappone mettano in moto un i asto programma di investimenti e consumi interni in misura sufficiente a far calmare il surplus dei conti ic,pn. l'estero. L."Germania nicchia perché non sono state ancora dimenticate le conseguenze e le rovine di due catastrofiche inflazioni nel giro di pochi decenni e il Giappone ha paura di sconvolgere l'equilibrio politicosociale mutando radicalmente gli usi e consumi interni. Dinanzi a questo comportamento ritenuto dagli Usa eccessivamente miope ed egoista non rimane che una via di persuasione, la guerra monetaria. Abbassando consistentemente il valore esterno del dollaro, che continua ad essere considerato l'unico mezzo di pagamento universalmente accettato, dovrebbero diminuire le importazioni e aumentare le esportazioni degli Stati Uniti, calcolo però troppo semplicistico se si considerano gli effetti dirompenti di un ulteriore forte calo del dollaro. A Wall Street si parla addirittura di un ritorno alle parità dollaro-marco esistenti a fine ottobre 1978, quando un accordo ad alto livello pose fine al ribasso della valuta Usa: allora fu toccato un minimo di 1,81 marchi per dollaro, mentre ora la parità è ancora al di sopra di 2,05. Se le previsioni si avverassero, il dollaro quoterebbe in Italia poco più di 1200 lire, con gravissimi riflessi per le nostre esportazioni. In quanto al Giappone, lo yen ha segnato il nuovo massimo dal dopoguerra e non occorre dire di più. Come si vede la situazione é incandescente e i futuri sviluppi sono imprevedibili. WW: .Renato Cantoni Dollaro e petrolio, due facce della stessa crisi