Profeti imprevidenti di Gianfranco Piazzesi
Profeti imprevidenti I comunisti, la crisi e il pentapartito Profeti imprevidenti Questa crisi finalmente risolta è stata di una gravità senza precedenti. Per almeno una settimana, tutti i protagonisti, a cominciare da Craxi e De Mita, hanno pensato di fare le elezioni a ottobre, cosa che avrebbe reso inevitabile la fine del pentapartito. Mai i comunisti avevano visto tanto da vicino la possibilità di inserirsi, e alla grande, nel gioco politico nazionale. Invece, come al solito, non è successo niente. Come mai? Il pei è stato messo fuori gioco per l'ennesima volta? Oppure non è riuscito nemmeno a giocare? A nostro giudizio, nelle scorse settimane abbiamo assistito all'epilogo (purtroppo provvisorio) di una vicenda che si trascina da quaranta anni. Già ai tempi della «guerra fredda», il pei aveva infatti saputo coniugare il rigore della ideologia con la prudenza della prassi. Già da allora la componente onirica (per fortuna) aveva sempre prevalso su quella rivoluzionaria. Dinanzi alla evidente superiorità del sistema sovietico su quello occidentale, nessun dubbio era lecito. La vittoria era certa, non restava che aspettare. Dopo il ventesimo congresso del pcus e la rivolta degli ungheresi, questa certezza non fu più assoluta: ma in compenso parve chiaro, anzi chiarissimo, che gli Stati Uniti avevano perso l'egemonia nel Terzo Mondo e incontravano resistenze sempre più forti in Europa. Per un partito non più stalinista, e deciso a percorrere, con maggiore autonomia, la sua «via nazionale al socialismo», si aprivano nuove e allettanti prospettive. Ma dopo molti anni difficili, l'America cominciò a rifiatare. I comunisti si consolarono facilmente osservando che, in compenso, il «sistema di potere democristiano» stava perdendo colpi su colpi. E nel 1976, dopo il balzo in avanti del pei, Moro e Andreotti dovettero scendere a patti con Berlinguer. Senza essere l'America, e senza assomigliarle affatto, anche la de riusci a cavarsela, facendo addirittura rinascere una alleanza, con tutti gli alleati tradizionali, dalle ceneri delia solidarietà nazionale. Data la precarietà della nuova coalizione, che faceva tanto ricordare l'antico centro-sinistra, questa volta si poteva ragionevolmente supporre che i comunisti come profeti di sventura avrebbero fatto centro. Oggettivamente il pentapartito era notevolmente più fragile della Nato. Invece, il duello rusticano tra Craxi e De Mita è stato bruscamente interrotto. Dalla scherma si è passati all'atletica: i giornali hanno incominciato a parlare di staffetta Al posto delle elezioni a ottobre, un programma valido per venti mesi, fino alla conclusione naturale TRAFFICO INTENSO, MA ORDINATO Più disciplina e un traffico non da record hanno agevolato il viaggio verso i centri di villeggiatura. Il iranico stradale è stato più intenso nelle prime ore del martino e in serata, le code più lunghe sulla Genova-Savona (20 chilometri) e a Ventuniglia versa la Francia (12 chilometri). Molti automobilisti hanno scelto le statali. Traghetti a pieno carico, ina senza attese eccessive. Nella foto, rimbarco dell'«Habib» in partenza da Genova per la Tunisia (Servizio a pagina 0) della legislatura Nella primavera prossima un pacifico avvicendamento tra Craxi e Andreotti a Palazzo Chigi. I comunisti, come è ovvio, ci sono rimasti male, ma, abituati come sono a questo genere di sorprese, non hanno drammatizzato. «Vedrete, vedrete. All'ultimo momento il bastoncino della staffetta finirà per terra»,, e hanno già fatto sapere che se Craxi vuole uscire dalla «gabbia del pentapartito» loro in primavera, sono pronti a rendere inevitabili le elezioni anticipate. Se, per quaranta anni, i comunisti finora hanno visto sempre accadere il contrario di quanto avevano enunciato, una ragione ci deve pur essere. Secondo chi scrive, la ragione è questa: più che essere fuori gioco, il pei è fuori tempo. Si trasforma, si adegua, ma lo fa solo perché vi è costretto dalla continua evoluzione della società civile. 11 pei subisce gli aweni menti, invece di condizionarli, o addirittura anticiparli, come cercano di fare, in tutti i sistemi democratici, tutti i grandi partiti della sinistra. Prigioniero della sua «diversità», il pei da quaranta anni vive aspettando gli errori altrui. Gli altri sbagliano, eccome. Ma quando nessuno ne approfitta, anche i più sprovveduti trovano il modo e il tempo per rimediare. Gianfranco Piazzesi
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