Il capretto di Mosè di Sergio Quinzio

Il capretto di Mose SE IL CRISTIANO IGNORA GLI ANIMALI Il capretto di Mose Alle periodiche campagne per sterminare in massa colombi, gatti e topi, l'estate aggiunge lo spettacolo degli animali domestici regalati da cuccioli ai bambini, nel clima intenerito del Natale, vezzeggiati per qualche mese, e abbandonati poi a migliaia lungo le strade delle vacanze. La nostra morale dipende in gran parte dai venti secoli di cristianesimo che abbiamo alle spalle, e il nostro atteggiamento nei confronti degli animali è la diretta conseguenza Hel fatto che. come ha scritto Paolo De Benedetti in La morte di Masè, «il cristianesimo non ha una teologia degli animali, ami li ignora addirittura»: il cattolicesimo più ancora di altre forme di cristianesimo, e gli ecclesiastici, di solito, più ancora dei comuni fedeli. A questa insensibilità cristiana viene non di rado contrapposto l'insegnamento di altre religioni, anzitutto del buddhismo, che guarda con occhio compassionevole agli animali, sentendoli uniti agli uomini nella stessa sofferenza. Le giuste accuse alla tradizione cristiana coinvolgono, ingiustamente, anche la tradizione bìblica ed ebraica. Paolo De Benedetti vede ben a ragione, nell'indifferenza dei cristiani verso gli animali, «una vera infedeltà teologica nei riguardi della parola di Dio e della vita che Dio ha creato non soltanto in noi». Biblicamente, infatti, gli animali sono «soggetto di diritti religiosi, sono nostro prossimo», tanto che il precetto sabbatico è dato per far riposare dalle fatiche del lavoro sia gli uomini che le bestie ( Deuteronomio, 5, 12-14). Quella che i maestri ebrei chiamano la «delizia del sabato» è donata a tutti i viventi, e far riposare gli animali è un comando di Dio al quale si deve obbedire, non un buon sentimento da incoraggiare. Tra i numerosi passi della Bibbia ebraica che si potrebbero citare c'è la profezia nella quaje Isaia descrive il regno messianico, di cui il sabato è fjgura e anticipazione, .come regno di pace anche per gli animali: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, toro e leoncello pascoleranno insieme: un ragazzino li guiderà. Vacca e orsa pascoleranno irniente, i Icro piccoli si sdraieranno insieme» (11,6-7). Quando jl profeti Nathan vuol rimproverare al re David l'adulterio con Betsabea, moglie del suo ufficiale Uria, gli racconta, suscitando il suo sdegno, la parabola del ricco che per accogliere un ospite pren de a un povero la sua unica agnellina, che «mangiava dal suo boccone e beveva dal suo bicchiere, dormiva nel suo grembo ed era per luì come una figlia» (2 Samuele, 12, 1-7). ** Cibarsi della carne di animali è biblicamente lecito, ma è considerato conseguenza del disordine introdotto nella creazione dal peccato dei progenitori, i quali, nell'Eden, si nutrivano solo di vegetali. La legge di Mose prescrive, inol tre, sacrifici di animali: ma i fatto stesso che un animale possa con la sua morte espiare vicariamente la colpa che meriterebbe la morte all'uomo dimostra la vicinanza sentita fra l'animale e l'uomo. La successiva tradizione ebraica ha custodito fedelmente attraverso i secoli una profonda pietà per gli animali, la cui sofferenza innocente è per il credente nella giustizia dell'unico Dio un tragico mistero. Narra una storia talmudica che il pio Rabbi Ychuda venne punito da Dio per aver riconsegnato al macellaio un vitellino rifugiatosi presso di lui nella speranza di trovare compassione. Il Rabbi motivò il suo gesto affermando che quella creatura era nata per essere abbattuta. Ma fu colpirò da sofferenze che gli furono tolte solo quando dimostrò concretamente il suo pentimento salvando dei cuccioli di donnola a motivo del versetto del salmo che dice: «Le Sue misericordie per tutte le Sue creature» (Bava Metz/a, 85*). Un'altra storia racconta che un capretto fuggì dal gregge e Mose lo inseguì finché lo trovò che beveva a una sorgente. Quando Mose lo raggiunse, disse: «Non sapevo che eri fuggito per la sete. Devi an che essere stanco». Se lo pose sulle spalle e lo portò indietro. Alla» il Santo, Benedetto EsugRdnMSmOgp Da «La B Egli Sia, disse: «Poiché sei pietoso verso un gregge di un essere umano, sarai pastore del mio gregge Israele» (We'lleh Sbemot Rabba, 11, 2). Nella narrativa yiddish fra i due ultimi secoli, per esempio nel racconto La vitella di Mendele Mocher Sfòrim, in Via Kola di Sholem Asch, in Un cane del ghetto di Isaiah Spiegel, in L'oca malata di Jonah Rosenfeld (tradotti in // meglio dei racconti yiddish. Oscar Mondadori), ci sono pagine piene di compassione per il destino degli animali che, come l'uomo ha il suo Angelo della morte, così hanno il loro Angelo della morte nell'uomo che li uccide per cibarsene (J. Rosenfeld). Come gli ebrei, «le mucc/x ebree sono piene di tristezza, e le capre ebree piene di paura» (J. Spiegel). ** Isaac B. Singer, nel romanzo Lo schiavo, racconta di un uomo poverissimo, infelice, oppresso, che pativa la pena degli animali ai quali doveva accudire: «Spesso gli sembrava che il bestiame si lamentasse: "Tu sei un uomo e noi non siamo che vacche. Quale giustizia f'À Placava,gli animali carezzandone il collo, dando loro manate sui fianchi e nutrendoli con qualche golosità. "Padre", pregava spesso, "Tu sai perché le hai create. Sono opera della tua mano. Al termine dei loro giorni anche per esse deve esserci la salvezza"». ■ Perché il cristianesimo ha così evidentemente troncato, nel modo di considerare gli animali, le sue radici ebraiche? Non si tratta che di un caso particolare all'interno del suo processo di allontanamento dall'ebraismo. Nel Nuovo Testamento non c'è nulla che sia riferito direttamente al rapporto con gli animali, ma le immagini che ritornano nei Vangeli, come quelle del buon pastore che s'identifica con l'agnello, e della pecora smarrita, sono perfettamente ebraiche, perfettamente omogenee all'Antico Testamento, anzi di lì direttamente tratte. Ma il cristianesimo, rapidamente ellenizzandosi, ha voltato le spalle alla pena delle creature in attesa della redenzione messianica, per ripristinare, nel quadro di una salvezza già rurta compiuta in Cristo, i diritti della realtà esi stente, e in essa le rigide gerarchie dell'essere: gli uomini, ibbia di Sorso d'Este e» miniata tra il 145S e il 1461 esseri spirituali, in alto, la bruta animalità in basso. Era aperta la via a Cartesio, che considerò gli animali pure e semplici macchine, e a molte altre successive aberrazioni. San Francesco, che parla agli uccelli e converte il lupo, che guarda fraternamente a tutta la creazione, è un'eccezione unica. Tallente unica che il suo amore per gli ani mali potrebbe essere citato come un argomento a favore dell'ipotesi, rutt'altro che cervellotica, delle origini ebraiche del santo di Assisi. Al di fuori del limitato influsso francescano, la tradizione cristiana, dall'antichità tino ai nostri giorni, ha visto soprattutto, nell'amore verso gli animali (e non soltanto verso gli animali), i rischio di un «attaccamento alle creature» a scapito dell'amore per il Creatore. Non è raro leggere, nei testi della spiritualità monastica rimproveri e ammonimenti in questo senso. E quando un santo moderno come Giuseppe Benedetto Labre, a imitazione di antichi eremiti, non uccide gli insetti e se ne lascia invadere, è un asceta vincitore ,6u„se stessa^pltt^ptùifhciwj, uomo vinto, come Jacob 1q.| schiavo, dalla pietà per .quelle infime creature. Proprio per questo, credo, quando l'attenzione agli animali si fa largo in ambito cristiano fra la generale indifferenza, acquista spesso caratteri maniacali: cagnolini con mantellina e calzature impermeabili, cani e gatti domestici, spesso opportunamente castrati, istupiditi dall'eccesso di cibo e di vizi, privati della loro vera natura. Nulla di simile, insomma, all'interesse ebraico per gli animali, amati e compatiti come creature viventi, perché Dio è Vivente. Sergio Quinzio

Persone citate: Bava Metz, Giuseppe Benedetto, Isaiah Spiegel, J. Rosenfeld, J. Spiegel, Jonah Rosenfeld, Masè, Paolo De Benedetti, Singer

Luoghi citati: Assisi, Israele, Sorso D'este