Sulle note di «Arrivederci Roma» moriva il mito dell'Andrea Doria

Luglio 1956 / La convulsa giornata di un cronista quando giunse la notizia della sciagura Luglio 1956 / La convulsa giornata di un cronista quando giunse la notizia della sciagura Sulle note di «Arrivederci Roma» moriva il mito dell'Andrea Doria Prima incredulità poi sgomento a Genova - L'ammiraglia della flotta italiana affondò trentanni fa alla vigilia dell'arrivo a New York - Caos nelle redazioni e il silenzio della compagnia di navigazione - Ombre sulle responsabilità della collisione ut; imo va — 11 capo del servizio stampa della società di navigazione «Italia» si chiamava Gino Villasanta, ma era il suo braccio destro, Aldo Chieu, a tenere i contatti quotidiani con i giornalisti. Chieu era un burocrate per il quale una critica a una nave della società era come uno schiaffo dato a lui. Non avi ebbe mai fornito un'informazione negativa, a meno di esserne costretto dalla sua, direzione generale. Si comportò cosi (ma nessuno, alla società «Italia», ammise niente, nemmeno quando emersero la collisione e i morti) anche quel maledetto 26 luglio quando — cronisti, trent'anni fa — telefonammo alla sua abitazione all'alba leggendogli i primissimi dispacci sull'imminente affondamento dell'Andrea Doria. Rispose: -Naufragio? Morti? Impossibile. Ma siete impassiti. Richiamerò*. Il signor Chieu non prese più in mano il telefono, ma si precipitò alla sede di piazza De Ferrari dove, intanto, informati dal primi notiziari radiofonici dell'alba, tutti i funzionari (ma anche gli uscieri) si erano precipitati. Uno aveva una strana giacca a vento gettata sul pigiama. Il maestoso, palazzo della società «Italia» di piazza De Ferrari, in quella prima mattina di luglio, già calda alle otto, era diventato un bunker, mentre nel porto si era bloccata l'attività; molti telefoni squillavano a vuoto e altri erano intasati, gente non era andata al lavoro. Come sempre, nei momenti che segnano nel bene e nel male la vita della città, le persone affluivano In piazza De Ferrari, il cuore di Genova. Per chi vive in gran parte del mare e sul mare, un naufragio è sempre maledizione. Figurarsi per una «ammiraglia» di 213 metri di lunghezza. 27 di larghezza, alta 15 metri, velocità quasi da motoscafo (25,67 nodi), undici ponti, un ospedale con sessanta letti, tre piscine e tre cinema, un campo da tennis, una tipografia che stampava il quotidiano di bordo «Il corriere del mare». Per il numero distribuito alla partenza, il 17 luglio del 1956. era stato chiesto un articolo anche a chi scrive: ricordava un viaggio di Sinclair 'jewis, che era tutto un elogio, dal relax di bordo alle gioie della tavola da pranzo dove i cuochi si vantavano di non aver mai respinto una richiesta, nemmeno quella di nidi di rondine. Il «Corriere Mercantile», unico quotidiano genovese del pomeriggio, entrò in ebollizione alle 7 del mattino e ci rimase alcuni giorni, stretto nella morsa tra le informazioni che non arrivavano, se non a gocce, e l'assedio dei lettori che volevano sapere. Alle 8 tutte le centraline telefoniche erano in tilt: chiamavano marittimi, parenti di persone che si trovavano a bordo, ufficiali che chiedevano notizie attraverso radio marittima. Chiamavano il segretario del capo dello Stato, i ministri, i partiti. Bisognava Rosso, in doppiopetto in mezzo a noi scamiciati, e la flemma di Enrico Emanuelli chino sui fogli sui quali scivolava, morbida, una Mont Blanc d'epoca. Ci dividemmo i compiti. Uno fisso al telefono con la società «Italia», due a fare l'elenco di quel che c'era a bordo (quadri d'autore, stoviglie. 15 mila chili di carne e 30 mila di frutta, 50 mila litri di vino, 3 mila casse di champagne d'annata, 30 mila limoni), altri a chiamare i primi cognomi che cominciavano ad essere noti. All'altro capo del filo, spesso, un grido e uno scoppio di pianto. In altri casi il dramma degli omonimi: «Lei è la moglie di Aldo Cevasco, macchinista sull'Andrea Doria?*. *No, guardi, questa è una salumeria*. Da giornalisti liguri, non si poteva dimenticare una parte forse odiosa, ma inevitabile. E ora, chi pagherà? 'No comment*. rispose un compito funzionarlo dei Lloyd di Londra, al quale si arrivò dopo essere passati da cinque persone. «Ma vi pare questo il momento di occuparvi dei risarcimenti?*, ci rimproverò un alto funzionario del ministero della Marina mercantile. Anche piccoli drammi per sonali, anche episodi che dimostrano come, almeno a quel tempo, ognuno badava a coltivare il suo orticello, sen za curarsi troppo di quello degli altri. Il corrispondente di un giornale romano, vista la bella giornata, si era fatto sostituire di nascosto ed era andato in gita. Era appena sceso dal trenino di Casella, nell'entroterra di Genova, quando tutta la città ammutoliva per il naufragio di una nave (ritenuta inaffondabile, ma anche per il Titanio fu adottata la stessa orgogliosa definizione). Ricordò poi quel collega: 'Mangiammo fave e salame sotto un pergolato, ma lo spuntino mi costò caro, fui licenziato su due piedi-. Dalla redazione sportiva del-!' la «Gazzetta del Popolo» chiesero al corrispondente mezza colonna sulle condizioni del ginocchio del centromediano della Sampdorla, Bernasconi, contuso in allenamento, con questa aggiunta: *Vallo subito a trovare, chiedigli se giocherà nel torneo estivo*. Mandato al diavolo, quel redattore sportivo ritenne opportuno non offendersi, e forse fece bene. A pomerìggio inoltrato si precisarono i particolari della catastrofe e le possibili cause. Era stata un ex rompighiaccio svedese, la Stockholm, prua capace di fendere un iceberg, a penetrare con una forza calcolata in 400 tonnellate in una fiancata dell'ammiraglia italiana provocando uno squarcio di 20 metri per 12. e mettendo fuori uso le camere a tenuta stagna. Immediatamente l'Andrea Doria s'inclinò di 20 gradi, poco dopo di 30: e fu l'inizio di un'agonia che, rivista tante volte al cinema e in tv, suscita ancora profondo sgomento, anche perché la collisione avvenne nel momento più inatteso: era l'ultima notte a bordo prima dell'arrivo a New York, e nel salone delle feste gli ufficiali in jack-dinner ballavano al suono di «Arrivederci Roma». Fu proprio a metà di questa danza che dal ponte di comando (la collisione era avvenuta appena da 8 secondi) arrivò l'ordine: 'Ognuno ai propri posti*, ultima comunicazione prima dell'abbandono della nave. Fu un urto tremendo, che rimbalzò a Genova, dove vedemmo gente piangere ma dove si continuava a raccogliere anche perplessità. Pareva impossibile che il gigante del mare fosse caduto a otto ore dalla fine della sua traversata; pareva impossibile che gli strumenti moderni non avessero vinto le nebbie di Conrad e Melville. Ma, come esortava Hemingway, 'il mare ha potenze imprevedibili che possono scatenarsi all'improvviso: E contro l'Andrea Doria si scatenarono, sommandosi, queste potenze, più errori umani e fatalità. Disse il barone Raul de Beaudéan, comandante ' del transatlantico «ne de France», il primo a raccogliere i naufraghi: «Aron capirò mai come una nave come l'Andrea Doria sia caduta sulla porta di casa*. Forse non lo si è capito del tutto nemmeno dopo trent'anni di Inchieste, di ricerche, di polemiche, di libri pubblicati talvolta per vendere e tal altra per contribuire alla verità, Il 26 luglio di 30 anni fa lo speronamento dell'Andrea Doria. Il mattino dopo, in questa foto, il mare lambisce già la coperta tiere di Albaro, aprirono, cortesi, dopo averci pregato di far allontanare i fotografi. Ma sapevano poco o niente, e comunque se la società «Italia» qualcosa aveva comunicato alla famiglia del comandante, nessuno in casa Calamai ritenne di aprire bocca. Alle 11,15, quando attorno alla vecchia sede del «Corriere Mercantile», al fondo della via Brigata Liguria, si era radunata un'enorme folla (si stava già parlando di una catastrofe paragonabile a quella del Titanio, primi anni del secolo), si riuscì a ottenere un elenco delle persone a bordo. Ma i primi nomi vennero da Roma; negli uffici di Genova si continuava a rimbalzare su muri di gomma. L'elenco numerico era questo: 1134 passeggeri, 572 membri dell'equipaggio. Quasi •■ contemporaneamente dispacci di agenzie di oltre Atlantico parlavano un sinistro linguaggio di morte: prima, genericamente, una ventina. Poi 56 e un centinaio di feriti. I treni della Riviera continuavano a portare a Genova congiunti e amici dei marittimi imbarcati e, per .ore, i corridoi del palazzo della società «Italia» diventarono una corte dei miracoli. Il primo quotidiano a uscire fu il «Secolo XIX», che aveva macchinari più efficienti e forse anche più prontezza: vendette in poco più di un'ora le 100 mila copie che aveva tirato, dopo aver mandato a prendere a casa, uno per uno, tipografi e altri addetti. Ma le notizie erano ancora incomplete: cominciarono ad affluire con una certa precisione in sala stampa dove, al pomeriggio, dopo le «straordinarie» del mattino, i corri, spoderiti si erano ritrovati per far fronte all'ondata di richieste di servizi che ci stava sommergendo. Arrivarono, trafelati, Inviati da tutta Italia. Due ricordi: lo -state calmi, il tempo c'è* di un elegante Francesco parte. -Chiamami la Capitaneria di porto di New York', -Chiamami la società Italia di New York*, 'Chiamami il ministro svedese della Marina*. A mezzogiorno la telefonista andò vicina al collasso e fu sostituita. Ma eravamo chiamati anche noi, dall'Italia e dall'estero. Facemmo alcuni servizi «a braccio», telefonando un po' ciascuno, e il servizio più Incredibile ci fu chiesto da un giornale della Louisiana. Al giornale il tempo stringeva, ma la direzione, poco prima delle 11, era sempre titubante. Furono proposti una ventina di titoli, ma la loro genericità li fece bocciare. D'altra parte, come parlare di morti e feriti se nessuno forniva una comunicazione ufficiale? Andammo a casa del capitano Piero Calamai (scomparso nel 1973, «morto di dolore*, disse la moglie) comandante dell'Andrea Doria, in quel ruolo da tre anni, capitano di corvetta in guerra, due medaglie al valore. Chi meglio di lui avrebbe potuto guidare una delle navi della ripresa marinara e cantieristica, il tredicesimo transatlantico mondiale in ordine d'importanza che portava a 3 milioni e mezzo il tonnellaggio del naviglio italiano risorgente dalle distruzioni della guerra? In casa Calamai, nel quar- fare il giornale. Direttore del . «Corriere Mercantile» era Oreste Mosca, che avrebbe poi portato al suo seguito il giovane e ancora snello e senza baffi Maurizio Costanzo, fanciullo forse predestinato all'informazione. Già, ma come titolare? Stare sul generico, parlando di sinistro all'isola di Nantucket? Disse il direttore: «Se facciamo cosi, gettiamo una bomba sulla città. Bisogna aspettare notisie precise'. L'unica telefonista • del «Corriere Mercantile» aveva delle richieste incredibili, per lei che al massimo chiamava al mattino numeri da Nervi a Voltri. Ci sentivamo tutti un po' eccitati e compresi nella