DA MURATORE A RE...

Alfredo Binda, la leggenda del ciclismo: fu lui il vero Campionissimo davanti a Girardengo e a Coppi Alfredo Binda, la leggenda del ciclismo: fu lui il vero Campionissimo davanti a Girardengo e a Coppi DA MURATORE A RE... Alfredo Binda è nato a attiguo (Vare*.) I'11 agosto 1902. Cominciò la carriera a 19 anni: fu Ire volte campione del mondo au atrada (1927, 1930 e 1932). Ottenne 112 vittorie, gareggiando Ano al 1933. Fu definito II «ragionerò» della bicicletta perché fu sempre un calcolatore. Vinse S Giri d'Italia, con 41 successi di tappa. Ha Indossato per 60 giorni la maglia rosa, secondo In questa classifica soltanto a Merda (76 volta). Ha rivestito la carica di commissario tecnico dell'U.V.I. Binda al è aggiudicato II maggior numero di tappe In un Giro: 12 au 15 (1927). Era uno ape-' clallsta del gran premio della montagna. Quando esso venne Istituito nel 1931, Binda ne vinta tutti I traguardi. Hat 1928 trionfò nel Giro d'Italia con 18'13" di vantaggio su Pancera. SI affermò nella prima tappa a cronometro Individuale del Giro d'Italia, istituita nel 1933. SI gareggiò da Bologna a Ferrara sulla distanza di 62 km. Binda vinse alla media oraria di km 39,219. Altri avversari Italiani di Binda, oltre I due grandi rivali Girardengo e Guerra, furono Piemontesi, detto il «ciclone» di Borgomanero, Negrinl, Mara, Bovet, Ciaccherl, Plccin, Vanezza, Bresciani, Gramo, Frascarolli, Pancera, Giacobbe, Marchisio, DI Paco, Calmmi, Grandi, Clprianl e Gestri. Binda non ebbe mal In simpatia II Tour al quale Invece si affezionò molto più tardi come commissario tecnico. Nel 1930, escluso dal Giro d'Italia per manifesta superiorità, fu costretto a partecipare alla corsa a tappe francese. Fu l'occasione per Inventarsi malanni ed incidenti ed abbandonò la corsa. Trombettiere in giovenizzatori del Giro d'Itamio massimo - Come entù, nella banda di Cittiglio, rifuggì dalle facili esibizioni - Nel 1930 gli orgaalia lo pagarono perché se ne stesse a casa: gli diedero le 22.500 lire del pre Commissario tecnico riuscì a far andare d'accordo Bartali e Coppi al Tour In un giorno di un anno di suo fulgore. Al- ! frodo Binda pedalava per allenamento sul suo ] solilo circuito amico, intorno a Varese. Portava gli occhialoni, era perfettamente anonimo. Un dilettante, anzi un amatore, come si diceva allora e si ridice adesso, gli si mise alla ruota, senza riconoscerlo, lo superò. Binda in due pedalate gli fu dietro, addosso, davanti. L'altro insistette, ce la mise tutta, andò di nuovo in testa. E Binda, facile, se lo rimise a ruota. L'altro provò ancora una volta, di nuovo Binda fu suo dolcissimo elementare carnefice. Così che il poveretto gli gridò, arrabbiato e disperato: «Ma chi ti credi di essere. Binda?». E lui. Binda, calmo: «No, sei tu che ti credi Binda». Ci raccontava questo episodio il commendator Alfredo, un paio di anni fa nella sua vasta serenissima casa di Milano, con accanto la giovane moglie e una delle due giovanissime figlie. Sogghignava divertito, ed era preciso anche nei particolari. «Ero davvero fortissimo», ci diceva. E mai conoscemmo campione con una profonda e non superba coscienza del proprio valore. Alfredo Binda è morto senza avere ceduto in nulla, durante la vecchiaia anagrafica, ai propri principi di personaggio loico, chiaro, sempre moderno. Lucidissimo, si analizzò sempre bene, analizzando la sua epoca, quelle posteriori, quella attuale. Gli dicevano che era lui il vero Campionissimo, macché Girardengo macché Coppi i due ufficializzati col soprannome, che neppure Coppi era stato cosi grande. Rispondeva: «Non ci credo, lo sport tutto si evolve, l'uomo migliora, chi pedala adesso deve essere più forte di me». Era enorme campione anche di vecchiaia, di Alfredo Binda: eccolo vincitore sul traguardo d logica, di esperienza. Era pari in questo all'enorme campione che fu in bicicletta. Freddo, preciso, con nessuna concessione alla piazza. Un giornalista lo defini «il Grande Antipatico», definizione peraltro devota, ammirata, fra l'altro riservata anche alla Juventus di allora, che vinceva molto, suonandole a tutti senza fare ricorso a corde sentimentali. Binda vinse tutto quello che voleva vincere: tre campionati del mondo, cinque Giri d'Italia in cui, quando era stanco di tappe, ne lasciava al fratèllo, e nel 1930 gli organizzatori lo pagarono perché stesse a casa, gli diedero le 22.500 lire del premio massimo. Si preparò al Tour, lo mancò dopo alcune lezioni di ciclismo: non lo sentiva, era corsa da, bava alla bocca. Si presentò opponendosi a Girardengo, finì opponendosi a Guerra: due diversissimi da lui. eppure in un certo senso da lui ingranditi, accresciuti proprio con la rivalità. Binda offriva pure luce riflessa, al limite serviva ad altri per un facile «blow-up», ingrandimento: lui era perfetto, asettico, arcisicuro, un qualsiasi ciclista medio (discorso che non riguarda Girardengo e Guerra, enormi già per conto loro) opponendosi a Binda era subito paladino degli umili, quelli non baciati dagli dei. Di origini modeste, muratore e poi imbianchino a Nizza di Francia, Binda si evolse presto in aristocratico del pedale. Scelse uno sport di fatica abballante, per farsi nobile. Ma pedalò con morbidezza e pulizia, sempre. Vinceva a cronometro, in salita, in volata, era re delle corse in linea. Andava poco all'estero, gli bastavano per internazionalizzarsi i campionati del mondo. Non concedeva nulla alla cosiddet¬ della Milano-Sanremo Il cam ta piazza. Guadagnava moltissimo, e con calma, senza frenesie professionali. Trombettiere in gioventù nella banda di Cittiglio, rifuggi da facili esibizioni «artistiche», se le concesse soltanto in vecchiaia. Ma quando compi ottantanni simulò di suonare, disse che non era il caso di banalizzare polmoni antichi. Però ancora pochi anni prima andava sugli sci, e d'estate, nei centri della sua grande amica Giuliana Pirovano. Grandissimo campione di ciclismo, grand'uomo pieno di saggezze, di calme, di pause, di attenzioni alla vita. Coltivava anche bene i ricordi, innaffiando soltanto quelli giusti. Era gentile, preciso. Era moderno: ciò non ci sto — ci diceva — a magnificare il mio tèmpo, a dire ohe una volta le cose erano migliori. Ogni tempo ha le sue cose, ogni cosa ha il suo tempo». Come commissario tecnico del nostro ciclismo, riuscì a fare andare d'accordo, al Tour. Bartali e Coppi, per vittorie di tutta l'Italia: un prodigio. Aveva guadagnato molti soldi, è morto ricco, senza problemi del genere cosiddetto quotidiano. Gli volevano tutti bene, lui voleva bene a tutti, però senza smancerie, senza sentimentalismi facili, tipo vecchia gloria scatarrante, tipo antologia dei ricordi. Era un formidabile atleta, una grande macchina da primati, da prodigi ci distici. E' vissuto più a lungo di tanti suoi coetanei, non ci sono più i giornalisti del suo tempo, quelli che certamente scriverebbero che adesso, in cielo, Afredo Binda riprende là tromba e la suona con Louis Armstrong. Roba da scrivere quando Binda non legge più, lui si arrabbierebbe. Gian Paolo Ormezzano pione della Legnano* in fuga durante il Giro di a o e à a i Alfredo Binda con cappello piumato e tromba durante la festa per il suo 83" compleanno Gino Bartali Se n'è andato l'ultimo mito FOSSACESIA — «Ora toccherà a me; se ne sono andati tutti. Coppi, Guerra, Girardengo... ora Binda, l'ultimo vero mito del ciclismo». La voce di Gino Bartali è Incrinata, quasi Incerta: «Non andrò al funerali di Binda, lo, "bindlano" fin da ragazzino. Ora I funerali II fanno quasi fossero uno spettacolo; applaudono; sono preda del giornalisti, della televisione. Hanno perso quel carattere di sacralità. Anche al mio, quando sarà tempo, non vorrei nessuno». Bartali cerca di non mostrarlo, ma è molto commosso. «L'ho saputo stamane, dalla radio — dice —; d ho pensato per tutto II giorno, mentre I ricordi si affollavano nella mente». E' stato uno dei più grandi ddlstl... «Per me il più grande». Più di Coppi? «Non lo posso dire, ma Insomma anche Coppi aveva delle lacune. Binda, se voleva vincere, vinceva». Lombardia '31 che vincerà con mezz'ora di vantaggio