Se il poeta trova Venere nuda

Se il poeta trova Venere nuda Se il poeta trova Venere nuda Due immagini di Venere presiedono alla poesia d'amore. Quella della Venere •celeste-: le poesie che la riguardano cantano le passioni anche più accese, dolorose, estreme, collocandone le vicende nello spazio dell'anima. Desideri, sconforti, speranze, pene d'amore, tutto sembra vivere in una dimensione immateriale, severa e dolce, luminosa e inflessibile come quella degli Angeli. E l'immagine di Venere «nuda»; a lei si devono invece le poesie che vedono, della passione, il lato tormentosamente o gioiosamente corporeo; esse parlano di un desiderio e di un piacere che sono tremore, angoscia, gioco, palpito, estasi della carne: e mettono in primo plano baci sognati, dati, perduti, abbracci morbidi o furiosi, capelli sconvolti dalle carezze. Queste ultime possono essere dette propriamente poesie erotiche. Baudelaire in «Canzone pomeridiana- si rivolge cosi a una donna amata: «Si innamorano i tuoi fianchi della tua schiena, del tuo seno, e tu seduci anche i cuscini dove ti posi, languida». E in una poesia -condannata- dei Fiori del male, dal titolo «/ oioieWi», ci è presentata una figura di donna che attende l'atto d'amore vestita soltanto dei propri monili. In Baudelaire, l'erotismo non piega mal verso la felicità, l'innocenza: mostra spesso invece il suo aspetto satanico, il suo essere apparentato con la morte, con l'orrore e con l'abisso. Al contrario, nel nostro secolo c'è stato talvolta il tentativo di riscoprire un erotismo primitivo, vitale, sacro, di cui soltanto la poesia può conservare memoria: basti pensare al colossale lavoro di D.H. Lawrence, che ap¬ el film «9 seminane e mezzo» proda a una visione erotica della natura e del cosmo, dove l'amore tra due esseri umani muove dalla stessa energia misteriosa cìie fa accoppiare le tartarughe in un giardino, i cetacei nell'oceano, la. Luna e le acque durante le maree. Altri poeti scandagliano le proprie esperienze amorose individuali, ma trovano un possente e innocente linguaggio per trasfigurarle: tra questi, i greci, Kavafis. Ritsos: è come se un po' della solarità armonica, sensuosa e placata del paganesimo antico fosse rimasto in loro, e si potesse ancora scorgere. Kavafis, con la tenerezza che per secoli i poeti hanno riservatovi cuore o all'anima, si rivolge al suo corpo invitandolo a ricordare anche i desideri che ha soltanto suscitato, fuggevoli e inappagati: e rievoca come in un'osteria, su un giaciglio sordido, possedette il -corpo d'amore-. Ritsos tenta di descrivere la figura fisica, che sa indescrivibile, di una -carnale Diotima-,infinita, e infinitamente amata: «Tutti i corpi che ho toccato, che ho visto, che ho preso, che ho sognato, tutti addensati nel tuo corpo». ATa cfte cosa è davvero un corpo infinitamente amato? Che cosa è il suo incanto, erotico, e clic supera l'eros stesso? Ancora una volta, soltanto la vera poesia sa dircelo. Ecco le parole di Ritsos: «Il tuo corpo è una ragazzina rosa: se ne sta sotto il melo e mangia una fetta di pane fresco e un pomodoro rosso salato: ogni tanto, si infila un fiore di melo tra i seni». Giuseppe Conte

Persone citate: Baudelaire, Giuseppe Conte, Kavafis, Ritsos