Socialismo tragico

Socialismo tragico FOGLI DI BLOC-NOTES: POLONIA Socialismo tragico E9 una notizia di pochi i giorni fa: il giro di 9 una notizia di poch giorni fa: il giro di vite nella Polonia di Jaruzelski — nonostante tutto — ha portato all'incriminatone di Bronislaw Geremek, uno dei maggiori storici polacchi (è stato allievo di Braudel a Parigi) e uno dei migliori consulenti di Walesa. Accusa: avere operato in seno alle strutture clandestine di «Solidarnosc» per la regione di Varsavia. Scena, un po' da 1821 in Lombardia, alla Federico Gonfalonieri: tradotto in prefettura, interrogato, diffidato a lasciare la capitale. Si legge che ha chiesto di ricevere una notifica scritta, ma si ignora la risposta delle autorità. L'impero austriaco, almeno nelle forme, era più «rigoroso»... LEGGENDO l'ultimo libro di Geremek, tradotto proprio in questi giorni in Italia, con un titolo così suggestivo, così affascinante {La pietà e la forca - Storia della miseria e della carità in Europa, Laterza) si capisce ih' teramente «Solidarnosc». Con tutte le sue illusioni e i suoi fallimenti, le sue grandezze e i suoi abbandoni, le sue sconfitte e i suoi ritorni. Una forma di socialismo cristiano, pre-marxista, pre-liberale, fondato sulla carità. Io l'avevo chiamato, tanti anni fa, nelle pagine del Papato socialista, «socialismo tragico»: il benessere è impossibile per la presenza del dolore, che può essere colmato solo dalla carità. IL sindacalismo polacco di Walesa, eroico e avventuroso quanto la cavalleria di Beck nella guerra del '39, si richiama direttamente alle Sacre Scritture o meglio alla loro interpretazione medievale. Senza forse rendersene conto fino in fondo, Geremek spiega le radici lontane e profonde di quel movimento di'difesa'dei! lavoratori polacchi, sii! quale Ite esercitato una così potenteinfluenza intellettuale. La povertà è un segno di predestinazione, un viatico per la salvezza eterna. Costituisce un valore spirituale assoluto,' che può essere raggiunto in condizioni sia di ricchezza sia di miseria. Nella nomenclatura biblica, non meno che nella prima letteratura cristiana, la paupertas si identifica con la humìlitas: e l'umiltà è la condizione essenziale per la salvezza. Se non ci fossero i poveri, non esisterebbe nemmeno la carità, con la conseguenza che si ridurrebbero le possibilità di salvezza eterna. «Dio — si legge nella Vita di S. Eligio — avrebbe potuto rendere ricchi tutti gli uomini, ma ha voluto i poveri affinché i ricchi avessero occasione di redimere i propri peccati».' In antitesi a tutti i futuri classismi, la prerogativa principale della povertà è i) suo carattere volontario. La povertà di Cristo, non a caso, fu il frutto di una rinuncia volontaria alla condizione divina c regale. E' sempre la parola del Vangelo: «Guai a voi, ricchi, perché avete la vostra consolazione». IN nini i paesi che non hanno avuto una rivoluzione liberale e borghese come la Polonia, il sindacalismo non è altro che una forma di Iona, sempre sospesa fra socialità e religione, per difendere i diritti del povero, anzi la dignità del povero, dalla manomissione e dall'oppressione dello Stato. Dello Stato totalitario, nella forma attuale, ma che è anche, nelle sue radici filosofiche, lo Stato «filannopico» e «redentore» dell'illuminismo, lo Stato deciso a realizzare una forma integrale di assistenza sociale capace di rasentare la giustizia (giustizia che, per un cattolico di tipo polacco, non è di questo mondo, si identifica con la redenzione). Dagli «ospizi di men dicita» al piane Cripps. Ecco perché la svolta nella concezione della povertà - - di cui Geremek ha ricostruito un tracciato tormentato e in qualche parte incompleto — awicne con l'illuminismo. Nell'età dei lumi la povertà diventa in giustizia, il segno della predestinazione si converte in segno di condanna. Lo Stato laico, usurpando in qualche misura ct—girgcv compiti della Chiesa e diventando — come diceva Hegel — «partecipe del celeste», si arroga il compito di redimere le ingiustizie sociali, di cancellare i mostri della povertà con gli slanci della solidarietà sociale, guidati — in forme diverse — dai poteri pubblici. L'assistenza ai poveri diventa un dovere morale della collettività, ma solo per aprire la strada o ai trionfi del liberalismo (lo enrichissez vota nella Parigi di Luigi Filippo) o all'escatologia del marxismo (che nella prospettiva del Capitale annullerà ogni residuo del pauperismo medievale). E' la grande battaglia in cui si incontrano la rivoluzione liberale e il marxismo: una bar taglia non ancora conclusa. Ci OME avrebbe potuto ri flettersi, tale esigenza, Polonia? La rivoluzione francese, che aprì la via a tutte le nazionalità, e conseguentemente agli Stati liberali-borghesi, la chiuse alla Polonia. Lo Stato nazionale polacco, sempre fondato su un'identità religiosa, su un depositum fidei (In cui fede c patria si imrhedonavano), scomparve quando *"'iniziava' il risorgimento dell'Italia, della Germania, del Belgio, della Scandinavia, per tanti aspetti della stessa Svizzera. I sussulti nazionali della Polonia dell'Ottocento — con le spedizioni garibaldine e resto — non sono legati a una vera e propria rivoluzione liberale: portauicc sempre in sé della sua antitesi, o continua zione, marxista. La storia, fermatasi nel 1789 sulla Vistola, procede maestosa nel solco di una fedeltà caparbia a una religione dei padri, che diventa in quel- le condizioni supremo usbergo della coscienza nazionale im- potente. E il dramma che ri vive in Papa Wojtyla. T-Jm° frammento di memoria. Il 13 agósto 1981 (avevo costituito il primo governo da poche settimane) mi recai in visita da Papa Giovanni Paolo II, al Gemelli, qualche ora prima che lasciasse il territorio italiano dopo il mostruoso attentato del 13 maggio che l'aveva non solo gravemente ferito ma profondamente cambiato (non più il sorriso di prima, una vena di nistezza che non scomparirà più dal suo volto). Doveva essere una udienza di cinque minuti: controllata dall'occhiuto cerimoniale vaticano (il Papa mi ricevette con grande familiarità nella sua camera). Durò invece ventine minuti. Quando uscii, feci il conto: in venti avevamo parlato della Polonia. Qualche riferimento del Pontefice alle sue esperienze di vescovo a Cracovia, da pane mia un ricordo — negli anni trascorsi a Bologna — di un inconno, all'inizio del '60, col corpo accademico di quell'antica università polacca e una mia conseguente illusione, che il Papa provvide severamente a smentire. «Ebbi l'impressione, Santità — dissi prcss'a poco — che le garanzie dell'indipendenza universitaria fossero abbastanza preservate in quegli anni, dopo Gomulka». «No, assolutamente — mi rispose fermo e impavido il Pontefice —; erano simulacri di autonomia, il corpo accademico era totalmente infeudato al regime, e da esso paralizzato. Ammiro tanto la libertà degli studi nel vostro paese». Pauiota e sacerdote polacco, prima di tutto. L'occhio del Papa si accendeva ogni volta che alludeva alle sofferenze, e alle speranze, della sua •■pania.' Segno di > una-pre destinazione, -anche quella, come'1* povertà! pfcf''«Solidarnosc». MI torna in mente quanto mi confidò giorni fa l'amico Zangheri, sindaco di Bologna fino al 1982. Una volta che venne il sindaco, o borgomastro, di Cracovia in visita alla città felsinea, disse in un orecchio al suo collega italiano: «Per conoscete il mio vecchio arcivescovo, sono dovuto venire alla sua incoronazione come Pontefice». Una scena, questa sì, degna del cattolicesimo medievale. Giovanni Spadolini i ^ . I ss*^»»»-^ Il leader di Solidarnosc. Lech Walesa, visto da David Levine (Copyright N.Y. Revtew of Books. Opera Mundi e per lltalia «La Stampa.)