Verità della «Buona ventura»

Verità della «Buona ventura» IL RESTAURO DEL CARAVAGGIO A ROMA RIAPRE UN CASO Verità della «Buona ventura» Il dipinto della Pinacoteca Capitolina è stato oggetto di una lunga disputa - Per alcuni studiosi era solo una copia di quello del Louvre - Rinato grazie a tecniche sofisticate, rafforza ora il parere di chi lo considera un capolavoro, addirittura antecedente all'esemplare di Parigi - Quando era in cattive condizioni, due confronti gli furono sfavorevoli - Perché non un terzo? ROMA — Continua a far rumore la vicenda del Sonatore di liuto del Caravaggio. Resiste, compatta, quasi sprezzante, la schiera che difende l'unicità del quadro dell'Ermttage. Le si contrappone, con baldanza, Maurizio Marini, armeggiando do-, cumentl, risultati di puliture in corso e «futuri ragguagli»,, che proverebbero la sua tesi di un secondo prototipo del grande lombardo, andato all'asta, in maggio, alla Christte's, per una manciata di' milioni. Come sta succedendo sempre piit spesso, questa diatriba caravaggesca non sembra destinata a scemare. Forse crescerà ancora. Ma un'altra questione, sempre prim'attore Caravaggio, ben più fondata, da qualche giorno cova sotto la cenere. Ed è probabile che, presto, si accenderanno vivaci discussioni. Il casus belli potrebbe nascere dal radicale restauro de La buona ventura, conservata, dalla metà del '700, nella Pinacoteca Capitolina a Roma. Prolungatosi per oltre un anno e ultimato un paio di settimane fa, in questi giorni il quadro è stato finalmente riappeso alle pareti. E, rimesso a nuovo, fa bella mostra di sé net suo posto abituale, implicitamente soU lecitando un confronto con la quasi simile — per soggetto e dimensioni — tela del Louvre. Fugando, in sostanza, i tanti dubbi che, durante tutti questi anni, erano sorti sulla sua autografia. Anzi rinforzando il parere di chi lo considera un capolavoro e addirittura ipotizza una esecuzione antecedente a quella del ben più celebrato esemplare parigino. Così amato dal Berenson, da fargli scrivere: «E' un quadro che ho amato per più di sessantanni e che, trovandomi a Parigi, non manco mai di andare a trovare, ogni volta ricevendone gioia».' u-' f) !.. .. 'in)? ano» amia Come-dicevo,, il restauro è otfdto lunghe, eomplessio.)Il dipinto non era in buone condizioni e si è dovuta usare molta cautela. Per le stratigrafie, le analisi dei pi gmenti, le radiografie ecc., si è fatto ricorso alle tecniche più moderne e sofisticate, grazie alla collaborazione di istituti scientifici delVUniversità di Roma e dell'Enea. I risultati sono stati notevoli. ■ ■ ■ ■ I lavori hanno messo in luce una sorprendente qualità pittorica, consentendo inoltre una più esatta individuazione dei pentimenti e una migliore lettura del sottostante abbozzo di una Ma-, donna, che ricorda lo stile del Cavalier d'Arpino, netta cui bottega il giovane Caravaggio lavorò per un certo tempo. Quindi, certamente non quella •crosta» più o meno tarda che molti credevano e che Venturi e altri espunsero dal catàlogo del pittore. E neppure quel «dipinto-rebus»., come lo definì Mia Cinottl nel suo fondamentale studio monografico pubblicato nel 1983. Invece, ad evidenza, un originale del Caravaggio, come avevano intuito alcuni studiosi e come d'altronde lasciava capire la documentazione storica, specie quella relativa all'eredità del cardinale Del Monte, protettore dell'artista, apparsa una decina di anni fa. Un dipinto eseguito agli esordi della carriera. Probabilmente prima, appunto, de La buona ventura del Louvre. In entrambi, il modello per il soldato elle guarda con malcelato desiderio la donna, è lo stesso del Sonatore di liuto, forse l'amico di gioventù, il messinese Mario Minnitti. Identico anche il significato allegorico, memento ai giovani perctié seguano la virtù e fuggano i vizi, qui simboleggiati dallo sguardo assassino della zingara e dal gesto con cui, fingendo di leggere la mano, sfila l'anello al giovane. Ma in questo esemplare romano, dove peraltro, grazie al restauro, l'anello è riemerso, d'oro luccicante, i personaggi sono meno in posa, rispetto alla versione parigina.- Colti, si direbbe, in atteggiamento più mosso, quasi nell'attimo fuggente, come se davvero, secondo quanto narrò il biografo G.P. Bellori, il pittore, per dimostrare «che la natura l'aveva a sufficenza preveduto di maestri... avesse chiamato una zìnagarà che passava a caso per istrada, e condottola all'albergo, la ritrasse in atto di predire l'avventura, come sogliono queste donne di razza egizzlana». Figure «vive e vere», come scrisse un altro dei primi biografi, Giovanni Baglione, aggiungendo che lo stesso Caravaggio giudicava quest'opera «il più bel pezzo che facessi mai». Prorair/onssti involontari del nuovo corso naturalistico nella storia dell'arte che in quell'ultimissimo scorcio del '500 stava nascendo nei vicoli romani. Un momento storico straordinario, del quale La buona ventura capitolina. ritornata, per quanto era possibile, alla forma originaria, risulta una testimonianza preziosa. Una testimonianza che non sarebbe male confrontare, di nuovo, vis-à- vis, con quella del Louvre. Adesso, finalmente, ad armi pari e non in manifeste condizioni a'inferiorità per il suo precario stato, come è avvenuto trentacinque anni fa, a Milano, nella famosa mostra ideata da Longhi. La quale segnò l'inizio della moderna fortuna critica caravaggesca, ma relegò la tela romana al rango di •attribuita» al Ct avaggio e non opera certa. E neppure come successe durante il confronto a Parigi, nel 1977, quando, sempre sporca e ingiallita da vecchie ridipinture, sembrava realmente, come licordu, Elisa Tittoni. direttrice dei Musei Capitolini, «un bastardelle a fronte del quadro parigino, pulito e fresco per un nuovo restauro. A dire il vero, questa funzionario, da tempo, auspica un terzo confronto. Avrebbe voluto farlo, non appena ultimato il restauro, presentando anche i risultati scientifici del lavoro svolto. Sarebbe stato, oltre tutto, una specie di spettacolare ma serio, nobile incontro tra il più antico museo del mondo, creato dai papi e la celeberrima raccolta d'arte, pupilla di Napoleone. Senonché, ufficialmente invitati a prestare t'opera, i dirigenti del Louvre nicchiano. Adducono ragioni di sicurezza e di delicatezza per le condizioni del dipinto. Ma, in definitiva, rimanendo sordi a una richiesta che pare del tutto legittima, specie per «le capacità insostituibili del paragone», postulato come metodo di lavoro, anche di recente, da uno studioso notoriamente prudente e oculato come Andrea Emiliani, Soprintendente ai Beni Artistici di Bologna, in una intervista al Giornale dell'Arte. Insensibili pure alle parole di Sidney J. Freedberg, direttore della National Gallery di Washington che, sempre nel Giornale dell'Arte,' lux-sottolineato^ come «le tecniche di imballaggio e di spedizione delle opere d'arte sono altamente perfezionate e le statistiche sulla sicurezza molto tranquillizzanti». Tutto lascia credere che, dopo questo restauro, posti uno di fianco all'altro, i due esemplari de La buona ventura potrebbero riservare qualche utile sorpresa. Comunque sia renderebbero più avvincente, ricca e proficua quella discussione critica che si avverte, imminente, nell'aria. E che, in caso contrario, per forza di cose, si baserebbe esclusivamente sulla memoria e sulle fotografie. Inevitabilmente insufficienti e spesso ragione principale di «quesiti» — conte li chiamava Longhi — caravaggeschi e no. Francesco Vincitorio I due dipinti di «La buona ventura»: sopra quello del Louvre, sotto quello della Pinacoteca Capitolina di Roma nella prima immagine diffusa dopo il restauro. Nell'esemplare romano la zingara e il soldato sono meno in posa. Nella versione parigina ii soldato ha la sinistra guantata e l'elsa della spada più. brillante. Nel quadro capitolino, dove l'anello è riemerso con chiarezza, è più furtivo il gesto della zingara