Samba della dolce rivoluzione di Mimmo Candito

Samba della dolce rivoluzione NEL BRASILE DEL MIRACOLO, SCOMMESSE SUL FUTURO Samba della dolce rivoluzione La Nova Repùblìca è nata da poco, ma l'economìa già corre a ritmi da «boom» - Un anno fa l'inflazione era del 400 per cento, ora è solo del 3,48 - Le 90 mila automobili vendute ogni mese sono un record - Ma resta «la società più inegualitaria del mondo» - Alla metà più povera del Paese resta appena il 12 per cento del reddito nazionale - Si temono traumi e conflitti: chi li controllerà? DAL NOSTRO INVIATO RIO DE JANEIRO — L'ultima rivoluzione ufficiale fu quella del '30, del Brasile caffettiera e dei tenente:; che si ribellarono ai coronels del grande potere rurale. Arrivò Getulio Vargas e molte cose cambiarono; e anche se ancora oggi l'l,SS per cento dei padroni della terra ha in mano più, della metà del suolo arabile, quell'anno la scalata delle classi medie trasformava le strutture della società del secolo passato. Oggi anche questo Brasile dove il caffè non conta più. nulla pare stia vivendo una nuova Revolucao, però ufficiosa stavolta, informale^ sema tenenti né colonnelli. I suoi numeri stanno tutti lì, in quel record storico di 90 mila automobili vendute ogni mese: numeri da società affluente e non da mondo disgraziato. E' anche vero che qui i miracoli sono pratica quasi quotidiana, e per le stradine ombrose di Bahia s'incontrano a ogni passo santi e madonne di sicura affidabilità. John Gunther scriveva con ragione che questa gente è «il popolo più ottimista della terra»; però i rischi di scambiare i desideri con la realtà passeggiano per quelle stesse strade. La rivoluzione comunque, se tale è, ora ha un altro nome. Dappertutto infatti, sui giornali, alla tv, in Parlamento, nelle prediche in chiesa, perfino nei discorsi afferrati lungo la strada, questo Brasile lo chiamano «A Nova Repùblica», un modo di mettere assieme nazionalismo e grandi speranze di rinascita. Peter Fleming diceva che «il Brasile è un subcontinente con un selfcontrol piuttosto insufficiente». Non era un giudizio molto cattivo, e i brasiliani lo hanno perdonato; sono assolutamente incapaci di serbare rancore. Ma hanno il giusto orgoglio di se stessi, e nelle parole di Fleming hanno preferito accettàrèlà misura stupefatta'stella 'Hofo sterminata'geografia", chèli fa uno Stato grande quasi quanto l'Europa occidentale. La latitanza del self-control poi non li impressiona per nienti. Ai Tropici tutto si vede con occhio diverso, più divertito, rilassato, aperto, e il samba è un ballo che non ha i tempi austeri del valzer. Ma non è detto che manchi l'autoironia, che pure nei ventanni di dittatura militare non ha potuto essere una dote molto coltivata. La Nova Repùblica ha appena pochi mesi di vita, e già è stato pubblicato un libro di ripensamento che porta il titolo di O Nome e a Coisa: il nome è questo della Repùblica Nova scritto in maiuscolo, la cosa sono, i contenuti di novità, die davvero rappresenterebbe, toast i i ■ , ! Questo Brasitecivt rifonda* zione è comunque una sor-' presa. Arrivandoci dall'Argentina attraverso il Ponte dell'Amicizia a Iguazù, ancora frescq dì cemento e di bandierine a festa, la continuità del paesaggio accompagna l'identità di'probleml che soffocano lo sviluppo dei due grandi Paesi, speranza e modello dell'intero continente latinoamericano. Eppure le differenze si fanno subito evidenti: non è solo un problema di costume, la mentalità diversa, i caratteri qui molto più. aperti, la stessa fisicità più rapace e vitalistlca della riservata drammaticità dei guarani appena lasciati oltre frontiera; qui il Pian Cruzado funziona a meraviglia e {'economia marcia a ritmlda boom,, Un anno fa il .Brasile aveva un'inflazione del 400 per cento; nei quattro mesi di questa riforma ora ha soltanto il 3,48 per cento, e l'attivo della bilancia dei pagamenti pare destinato a raggiungere una cifra record: 13 miliardi di dollari. Il Paese più disordinato, estroverso, confuso. squilibrato e affascinante, di questo nostro mondo, si sta dando con larga popolarità un regime di autocontrollo che mette in crisi molte delle certezze del passato. Compresa quella di Peter Fleming. Dice un sociologo, un giovanotto lungo secco e timido, col nome di un antico casato portoghese: «Attenzione però che noi brasiliani siamo ciclotlmicl per affezione antica: passiamo con molta facilità dai grandi entusiasmi alle grandi depressioni. Fin che si tratta del calcio non fa danni gravi; per le coso della politica però la materia è più delicata, e i rischi sono proporzionati». Sulla strada che accompagna le spiagge di Copacabana e Ipanema il footing comincia poco dopo l'alba, alle prime luci tiepide del giorno. E finisce a mezzanotte. E' una processione silenziosa di sofferenti per dovere di bellezza, muscoli e sudore esposti agli occhi invidiosi di chi passa. Il footing lo praticano tutti, bianchi negri e mulatti. A Rio potrebbe valere la metafora di questo Paese, l'immagine d'una società mista che non conosce il razzismo. Il Brasile ama imiti, ne vive ogni giorno, forse gli fanno sopportare la tragica violenza delle sue disparità; ma anche lo ingannano. Jorge Amudo, col gusto allegro del paradosso, dice: «Noi non abbiamo un problema razziale per la semplicissima ragione che siamo tutti mulatti». La verità è che la discriminazione fa ricchi soprattutto i bianchi, e che le favelas sono popolate soprattutto dai negri. L'Ibge, che è l'Istat di questo Paese, ha trovato che gli alunni bianchi vanno a scuola per una media di 4,8 anni, i mulatti 2,8 e i negri 24; e il salano medio di un mulatto i il 45 per cento di quello dei bianchi, un negro non arriva nemmeno al 35 per cento. Quello del cambiamento è però uno dei pochi miti autenticatoli del Brasile. Qui le trasformazioni avvengono a un ritmo anormalmente accelerato, con una voracità che nessuna delle vecchie società occidentali riuscirebbe a sopportare. La facilità di contatto tra classi ha lo stesso grado d'indifferenza formale del sistema nordamericano, anche se non riesce a vederne nemmeno da lontano un uguale ammontare di opportunità di penetrazione: sono comunque entrambe nazioni giovani e d'immigrazione, ma le ragioni di Weber che valgono laggiù qui sono soprattutto le ragioni d'una società integrata sulla convivenza degli individui e senza la paura del meticciato. Ventanni fa il Brasile aveva 80 milioni d'abitanti, oggi ne hu 131, tra dieci anni saranno 200 milioni. £ la gente che viveva nell'interno, nelle campagne asciutte del Mordeste o sugli altopiani del Sud, era il 65 per cento della popolazione solo ventanni fa, oggi è rimasta appena un terzo del Paese: cioè 30 o 40 milioni di persone sono passate dal Medioevo alla vita metropolitana nell'arco di un tempo che non consuma nemmeno il soffio d'una generazione. Dice Helio Jaguaribe, il decano dell'Istituto di studi politici e sociali: «Non possono esserci dubbi sul fatto che quella del Brasile non è più una società di classe media, com'era stato fino agli Anni 50, ma è diventata ormai una società di massa. Quello che c'è In gioco, in termini istituzionali e politici, è la forma nella quale si configurerà, se mai si configurerà, -questa democrazia di massa». K-AltOj. cordiale, una bella ■faccia larga, Jaguaribe è uno dei grandi cervelli di questo Paese. E parla della Revolucao silenziosa, informale. Vuol dire che la rifondazione della società brasiliana pas- sa per la strada delle riforme con il consenso sociale, oppure non passa per niente. E se si lascia Rio e si va in giro nell'interno sterminato e desolato del Brasile, o anche senza lasciar Rio se si abbandonano le spiagge di Copacabana e Leblon e si monta verso le favelas appese sui cocuzzoli scivolosi delle colline che guardano la baia, non è difficile capire II senso delle parole di Jaguaribe e la preoccupazione che c'è dentro. In nessun Paese del mondo forse, non nei fronti inquieti del Medio Oriente annegato nel petrolio, ma nemmeno nel capitalismo fragile di Taiwan, di Seul e di Singapore, si ha. così netta l'impressione che il futuro d'un posto sia tanto legato alle sorti di una scommessa: che è quella di sapere se arriverà prima una redistribuzione più equa (o comunque più ampia) del reddito, oppure se le tensioni inevitabili dello sviluppo procureranno traumi e conflitti difficilmente assorbibili da una società trascinata in un processo tanto rapido di trasformazioni. Già oggi la violenza metropolitana assedia la vita d'ogni giorno: «Siamo cambiati troppo in fretta», dice il ministro della Giustizia Brossard. L'ombra di questa violenza annuncia un potenziale di crisi che rischia di farsi incontrollabile. •Il Brasile è la società più inegualitaria del mondo», dice il giovane sociologo. La metà più povera del Paese deve spartirsi appena il 12 per cento del reddito nazionale, mentre il 10 per cento dei più fortunati controlla il 51 per cento di tutta la ricchezza. Ma per ventanni c'è stato un tasso di crescita del 6 per cento l'anno e oggi, a differenza degli altri Paesi in forte accelerazione di sviluppo, il governo brasiliano è una democrazia. Questo vuol dire ffte ir.miiitari.tl stanno nelle casèrme e le tensioni trovano alla, .ftne- la strada delia loro manifestazione nel corpo della società, divaricando le contraddizioni troppo nette. Una riforma agraria che copiava a stento il vecchio Statuto della Terra dei tempi di Castelo Branco è già costata la poltrona d'un ministro e sta montando su la vandea della resistenza. Alfonso Arinos, il presidente della commissione che prepara il progetto della Costituente, ricorda la rivolta del 1905 nelle terre dello Zar e parla del Brasile come d'una «Russia tropicale». E' un grido della coscienza del Paese, il rumore delle fabbriche che sfornano automobili a ritmo continuo copre per ora quel grido. A novembre qui si voterà per it Parlamento, la prima volta dopo i tanti anni della dittatura. La scommessa sul futuro tiene conto anche di questo passaggio, ma «lampedusiano» è un giudizio che molti uomini politici mi hanno dato parlando delle speranze della Nova Repùblica. Intendevano parlare del principe Tommaso che scriveva di rivoluzioni che non cambiano la storia dei popoli. Speriamo che sbaglino. Mimmo Candito Rio de Janeiro. Il boom economico non cancella la miseria delle «favelas». Dice il ministro Brossard: «Siamo cambiati troppo in fretta»