Zanussi, Cesare senza dramma

Zanussi, Cesare senza dramma La tragedia ha aperto al Teatro Romano di Verona il Festival scespiriano Zanussi, Cesare senza dramma Il regista polacco ha cercato una lettura intimistica del gra.de testo - Non rivive in palcoscenico la Roma dell'angoscia, dell'incubo e del tradimento - Protagonisti Garrani, Pani, Foschi, Reggiani, la Vannucci DAL NOSTRO INVIATO VERONA — C'è nel Giulio Cesare di Shakespeare una piccola scena cui non posso assistere senza rabbrividire: ed è quella In cui un tal Orina poeta viene ucciso al posto di Cinna il congiurato, uno dei pugnala tori di Cesare. Ho sempre pensato che questa sequenza Shakespeare l'abbia scritta per suggerire, in quel punto, a cifrario, il tema di fondo dell'intero suo dramma storico: che e il tema dell'identità, perduta. Se questa tragedia è grande (non tutti, per la verità, ne sono persuasi) è perché nessuno vi sa più chi realmente sia, quali scelte debba compiere e perché. Incerto sino al tremore se restare primo tra pari o farsi incoronare re è Cesare;1 incerto nella sua pensosa inquietudine filosofica, se darsi o meno alla congiura Bruto, e potremmo proseguire con ciascun personaggio: ma c'è, soprattutto, in ruolo di comprimaria, un'intera città sospesa nell'incertezza, quella Roma tra repubblica e principato d'un tratto abitata da fantasmi, percorsa da fetidi miasmi, minacciata da terribili premonizioni. Bisogna farla vivere sul palcoscenico questa città del dilemma e dell'angoscia fonda, questa capitale dell'incubo e del tradimento, perché il Giulio^Cesare ancora ci sedu- ca al di là delle nostre pigre rammemorazioni scolastiche: e non ci sembra francamente che Kryzstof Zanussi, il celebre cineasta polacco, nel suo allestimento al Teatro Romano, per l'Estate Teatrale Veronese, ci sia riuscito. Quella cui abbiamo assistito l'altra sera è una corretta, decorosa messinscena, ma senza un'evidente motivazione critica, senza un'originale suggestione espressiva. Già l'ambientazione scenica, che pur agevolmente s'inquadra nella cornice della cavea ro¬ mana, è decorativa, ma piatta: due frontoni di domus romana, secondo Vitruvio, ai due lati del palcoscenico e un arco centrale, a simboleggiare i luoghi del privato e del pubblico, sono quanto ha saputo escogitare, senza voli di fantasia, la scenografa Eva Starowleska. E non basta farvi irrompere, come livide striature, le musiche sinistre di Paolo Terni, non basta irrorarvi, talvolta a dismisura, vapori grigiastri perché quello scenario si animi: né serve collocare l'indovino, con la sua profezia sulle Idi, sulla chiesa antistante il palco perché quella profezia risulti più sinistra. Zanussi parla nel programma di sala di potere e di terrorismo: non mi sembra che questi due temi facciano la loro comparsa nella sua messinscena se non come puri enunciati o, nel caso del secondo, come vaghissime, impercettibili allusioni. Mi pare semmai che, come nel suoi film, il regista sia attratto dall'intimismo delle situazio¬ ni di confronto tra due personaggi. Cesare e Calpurnla, Bruto e Porzia, e, nelle scene a Filippi, Bruto e Cassio. Ma non lo coadiuvano, in questo tentativo di lettura interiorizzata, né la struttura del teatro all'aperto, che, com'è noto, è assai dispersiva né, per ragioni che mi sfuggono, la partecipazione degli interpreti. n quartetto del protagonisti è d'ottimo livello, ma come demotivato. Ivo Garrani è un Cesare nobile, ma senza un'intima angoscia e senza, d'altronde, quel tanto di meschineria che trapela dal testo. Bruto è un Corrado Pani più malinconico che virilmente riflessivo, più spossato che stoico: e mi sembra che sia proprio a disagio a cielo scoperto. Massimo Foschi fa un Cassio molto aggressivo e vitale, dimenticando che nel personaggio c'è anche una teatra loscaggine, qualcosa insomma di moralmente Impuro. Aldo Reggiani dice bene il discorso di Antonio, con freddo machiavellismo, per cedere poi ad un altezzoso birignao nasale (attenzione a Benassil). Sobrio il Casca di Lombardo Fornara, dolente la Calpurnla di Mila Vannucci. Degli altri mi sembra si possa onorevolmente tacere. Caldissimi applausi di un folto pubblico. Guido Davico Bonino Da sinistra Aldo Reggiani, Ivo Garrani e Corrado Pani nel «Giulio Cesare» con la regia di Zanussi

Luoghi citati: Benassil, Verona, Zanussi