Tregua a Montalcino di Lorenzo Mondo

Tregua a Montalcino VECCHIO E NUOVO IN TERRA DI SIENA Tregua a Montalcino Per chi arriva dall'Autostrada del Sole anziché da Siena, l'emozione è ancora più forte e più pura. Le strade che seguono gli antichi tracciati percorrono i fianchi delle colline, sprofondano e risalgono a scoprire nella luce nuove ondulazioni e avvallamenti. Le ville, i casolari, le chiese, qualche torre superstite suggeriscono l'intima unione tra paesaggio e storia, tta natura e lavoro dell'uomo. Sono presenze che si esaltano vicendevolmente e restituiscono il fascino unico delle terre vecchie, già viste in qualche luogo dello spirito, conosciute sulle pagine incorrotte di un libro, sul fondo smaltato di un dipinto. Si avverte qui, tra stoppie e crete tagliate dai magri calanchi, una dolcissima desolazione che raggiunge la sua punta più acuta d'autunno: quando i campi, spogliati dei raccolti, vivono soltanto di linee e sfumature bigie, di uno stesso colore variato appena da una inclinazione di luce, dall'ombra di una infossatura. Burri, che non abita molto lontano, con i suoi «sacchi» e «cretti» ha già fatto troppo, ha scomposto e acutizzato questa solitudine, questa arsura. Più aderenti forse-i poeti, la sommessa voce recitante di Mario Luzi: «La terra senza dolcezza d'alberi, la terra arida - che rompe sotto Siena il suo mareggiare morto - e incresta in lontananza (...) sperdute torri, sperdute rocche - è un luogo non. posseduto dal senso, una plaga diversa - che lascia transitare i pensieri ■ però non li trattiene, non opera come ricordo, ma come ansia*. ★ * Si affaccia, avanzando, il miracolo di una terra che intuisci aspra, materiata di umori ma sempre sul punto di precipitare nelle perdizioni metafisiche. Sulla lama di un . crinale afferri un annuncio di ' viti, che certo scenderanno (dall'altra parte, nel pendio soleggiato e protetto. Gli ulivi tiSt-'&radati, moltissimi timi al ceppo,.dopo il tcrribigek> bell'altro inverno, rin• forzato dalla siccità. (// gelo. La siccità, i titoli dei racconti di Bilenchi sembrano deposi tarsi in una segreta affinità). : Dove hanno gettato, sono verdi arbusti che non conoscono l'argento antico delle piante adulte. Ma d'un tratto, superati gli allettamenti di nomi abitati gentili, ecco Montala no, addossata alla mole bruna del castello, piantata sul colle, in vista dell'Orda che mescola le sue acque con quelle del l'Ombronc. Montalcino è a suo modo un crocevia. Sente la Marenv ma, sulle sue balze si stemperano le ultime arie di macchia e di mare. Il monte Amiata, accovacciato a Sud, tramanda 1 ricordo di David Lazzaretti: la marcia sulla strada polverosa tra stendardi e campane, la palla in fronte che tronca le attese millenaristiche del profeta contadino. Contro Montepulciano e Picnza che ostentano primizie rinascimentali e meditano sul sogno perduto della città perfetta, Montaldno difende la sua ossatura medioevale, la sua terrestre, creaturale misura e mistura. Il castello trecentesco, testimone di memorabili assedi sotto i vessilli di Siena (e non è contrappasso, ma continuità picaresca festosa, che dentro questo spropositato scenario si festeggi ogni anno la sagra del tordo). Il palazzo comunale, cosi stretto di fianchi che il forte torrione finisce per ingrandirlo a dismisura, farne il Morgante della sua specie. La semplice venustà di Sant'Agostino l'Annunciazione che, nel museo silenzioso, innesta sulla lignea immobilità leggiadrie di gotico senese. Sono punti di riferimento, emergenze stori che e sentimentali che tuttavia si piegano docilmente alla rigorosa unità dell'insieme urbanistico, all'aria che circola per strade e archivolti, attraverso i varchi che dominano la stesa delle colline. A poca distanza dal colle, in una valletta che vorresti segreta, sorge Sant'Antimo, segnacolo di Medioevo possente fulgente. Brillano al primo sole, stillanti di rugiada, le belle pietre giunte dalle vicine cave di onice, come si conveniva a un'abbazia fondata da Carlo Magno. Sopravvive a Sant'Antimo uno spezzone dell'epica carolingia. Il grande "mpcratore, si racconta, passò da queste parti scendendo a Roma per impetrate la fine di una epidemia. Ma molti dei suoi guerrieri sono rimasti qui, nel sacro recinto, e affiorano sotto la zappa: sacchi di ossa fragili come scheletri di uccelli che il custode mostra al visitatore, affondando la mano e traendone; dall'imboccatura, tibie -«*s«Mffit^3£wtijg^ E' la MòhtalcTnò;:tT^par* dalla leggenda, affidata al candore' delle cronache popolari. Una, deliziosa, conserva la storia del maresciallo Biagio di Montluc che, durante un lungo assedio, «perché il suo pallore non fosse palese al popolo, strusciato forte il vino sulle gote, si arrossava il viso macilento per le privazioni». Gran toccasana quel vino vermiglio che, senza essere bevuto, otteneva cosi portentosi effetti. Del resto la tradizione del vino gagliardo qui è antica, e «montalcino-- è definito con elogio il prodotto di queste terre, senza altre specificazioni, da Gerolamo Baruffaldi: «I claretti, i montala ni - e gli asprini - sono vini, - son lctconatprmacnaQr a a ^ * i e i e a a i a o è o i n liquori - assassini, - traditori, che lusingano e v'ammazzano». Quelli citati dal nostro poeta, vissuto a cavallo del Settecento, sono gli antenati degli odierni vini, massimo il brunetto di Montalcino. Creato alla metà dell'Ottocento, frutto di una spietata selezione a partire dalla pianta, il brunello raggiunge il giusto invecchiamento (ma non ci sono limiti alla sua longevità) in cantine che sono esse stesse espressione di una nobile tradizione, di ammirevoli dinastie del vino. Questo brunello, che è in realtà rubino intenso, si è diffuso regalmente sui mercati d'Europa e di America. E dall'America, negli ultimi anni, attirati dalla sua fama, sono scesi a Montalcino ricchissimi imprenditori che hanno comprato e spianato colline per impiantare — si dice — la più grande e razionale tenuta che sia mai stata usata per coltivare la vite (ma di brunello se ne farà pochissimo, per non imbastardirne la qualità e il rango). Al suo interno lavorano i computer e ronzano gli elicotteri. * * E' un investimento, e uno sconvolgimento, che darà buoni frutti, rilancerà, come si usa dire, l'economia di una zona depauperata dalle migrazioni. Ma suscita qualche legittima apprensione. La stessa che si pròva al pensiero dei milioni di ulivi carbonizzati, ridotti, a pietosi spaventacchi dall'inverno del 198$. Chi ridarà gli ulivi, tutti i suoi ulivi, alle campagne di Montalcino? Occorrerà arrivare al Duemila prima che il paesaggio senese, e questo paesaggio, riacquisti le fattezze disegnate nei secoli. E già si parla, già si prova, a sostituire gli alberi tradizionali con altre piante più basse, a forma di cespuglio, disposte sul terreno in file esatte per facilitare l'impiego delle macchine nella coltivazione e nel raccolto. La trasformazione, al meno nei primi tempi,, sarebbLe 'abbastanza* traumatica.' ^*Orar>ari primo posto'viene l'ùàmó,' che da sempre travaglia la tetra per trarne profitto, per impedire che ritorni macchia o deserto. Ma qui, da secoli, s'era instaurata una tregua, uno statu quo di industria e bellezza. Ed appartiene all'umano anche la pietas per l'ininterrotta catena delle stagioni e delle generazioni. Certo è in posti come Montalcino che si misura, senza falsi estetismi da diporto domenicale, la capacità della nostra spede di inoltrarsi nel nuovo salvando, fin dove è possibile, le ragioni del vecchio, senza sfigurare per inutili eccessi quella che è ormai una provincia dell'anima. Lorenzo Mondo

Persone citate: Bilenchi, Burri, Carlo Magno, David Lazzaretti, Di Siena, Gerolamo Baruffaldi, Mario Luzi, Morgante