Bertolucci: Cina, mio laboratorio di Simonetta Robiony

Bertolucci: Cina, mio laboratorio Parla il regista, sullo sterminato set deir«Ultimo imperatore» intorno a Pechino Bertolucci: Cina, mio laboratorio Dice: «Sono stanco di occuparmi dell'Occidente. E' elettrizzante lavorare qui, c'è un continuo mutamento». La vicenda diPuYi, erede della dinastia Ching e dei suoi 60 anni di storia. Il materiale del film arriva su carretti tirati da cavalli. Gli spaghetti per la troupe DAL NOSTRO INVIATO PECHINO — La Cinecittà cinese è un enorme spazio sterrato alla periferia della capitale dove sorgono studi e uffici, abitazioni e centri artigianali, dove il carico dei materiali cinematografici avviene ancora su carretti elementari tirati da potenti cavalli di campagna, dove squadre di operai cinesi lavorano nel gran caldo di quest'estate, sotto la direzione di maestranze italiane. Quando piove, verso sera, e in questa stagione a Pechino piove spesso verso sera, le strade non asfaltate si coprono di pozzanghere e il percorso tra gli uffici di produzione e gli studi viene fatto su passerelle di legno. ' In questa Cinecittà cinese Bernardo Bertolucci ai primi di agosto comincerà a girare L'ultimo imperatore, un film per il cinema di due ore che racconta l'intera vicenda umana di Pu Yi, l'erede della dinastia dei Ching, che ha attraversato sessanta anni di storia del suo Paese. Dalla prima Repubblica del Sun Yat Sen. che lo volle nella Città proibita prigioniero di rituali e cerimonie ormai insensate, all'esilio a Tianjiln, una legazione giapponese dove scoprì il piacere di vivere come un play-boy di lusso; dalla prigionia a Chang Chun imposta da Mao nel tentativo di rieducarlo ai valori della fede comunista, al lavoro di giardiniere nell'orto botanico di Pechino compiuto con gran senso del dovere fino a quando morì, nel 67, In mezzo alla rivoluzione culturale. •Non potevo fare un film che parlasse ancora una volta della nostra società occidentale — dice Bernardo Bertolucci —. Sono stanco di riflettere su di noi, sono stanco di contemplare un mondo die non ha più valori, sono stan: co di dovermi occupare di uo; mini che non mi piacciono più'. Seduto ad un tavolo della mensa che la troupe italiana di L'ultimo imperatore, ha : preteso fosse allestita negli ^|udi cinematografici perché j' ^Jn^nojuna volta al giorno si -, potesse mangiare come a ; casa, davanti a un piatto di J pasta che il cuoco cinese ha . appena finito di preparare nella sua cucina da campo, ' Bernardo Bertolucci si lascia andare volentieri al suoi pensieri. « Vivere questa realtà in continuo mutamento mi pare un'esperiensa elettrizzante: quello che solo ieri era vietato o per lo meno sconsigliato, oggi è concesso se non addirittura incoraggiato. Non credo ci sia alcun Paese al mondo che possa essere considerato un laboratorio di sperimen tastone come la Cina: tutto viene provato, corretto, accettato e finalmente adattato agli usi e alle abitudini che nel corso di millenni hanno costruito la cultura cinese». Il film è tratto dalla autobiografia che Pu Yi scrisse con l'aiuto dello scrittore Li Wenda usando soprattutto il materiale dei quaderni di rieducazione riempiti nei nove anni in cui fu sottoposto a una autoanalisi coatta dal re¬ gime comunista. -Nessuno mi ha fatto pressioni, nessuno mi ha pregato di sostituire una scena con un'altra, nessuno è intervenuto nelle mie scelte» — assicura Bernardo Bertolucci —. -Sono stato io che dopo aver scritto la sceneggiatura insieme a mio cognato Mark Peploe e allo sceneggiatore Ungati ho chiesto di poter avere come consulenti Li Wenda che ha lavorato alla stesura del libro -From Emperor to citizien» e Aisin Gioro Pu Jie, fratello dell'imperatore per evitare alcuni errori storici». A produrlo, coprendo i 20 milioni di dollari di costo pre visto, sarà l'inglese Jeremy Thomas, quello di Furyo di Oshima, un indipendente che ha garantito al regista la sua totale autonomia: i cinesi hanno solo offerto il loro aiu- a1 to per le riprese in esterno e fornito i servizi nel «Beijing film studio». Il direttore di fotografia è Vittorio Storaro. lo scenografo è Ferdinando Scarfiotti. Scegliere il cast non è stato facile, come niente è stato facile per questo film: le trattative con i cinesi richiedono pazienza e rispetto: la misura millenaria del tempo orientale mal si accorda con la misura in minuti del tempo occidentale. Tre 1 protagonisti principali: John Lone nel ruolo dell'Imperatore (era l'interprete di L'anno del dragone), un cinese che ha studiato all'.Opera di Pechino» ma che da anni vive e lavora negli Stati Uniti; Ing Ruo Chau. che fu Kublai Khan nel Marco Polo di Montaldo, protagonista dell'edizione cinese di Morte di. un commesso viaggiatore, scelto per il ruolo del rieducatore comunista; l'inglese Peter O'Toole al quale tocca il compito di dar vita al precettore inglese che lo abituò ad usi e costumi europei. Le figure femminili sono rappresentate dalle due mogli dell'imperatore, la prima che gli fu accanto tutta la vita e la seconda che divenne la prima femminista cinese, dopo aver chiesto il divorzio non sopportando che i bianchi la considerassero una concubina. •Il grande interrogativo di questo film — spiega Bertolucci — à rappresentato dall'itinerario psicologico di Pu Yi: alla fine della sua lunga rieducazione era cambiato oppure no? Nel film vorrei lasciare questo interrogativo aperto». Ma nel suo cuore di poeta Bernardo Bertolucci una risposta se l'è data. • L'imperatore per i cinesi era un modello da imitare: a lui toccava aprire il primo solco, compiere il primo raccolto, fare la prima semina. Pu Yi fu spodestato a sei anni: troppo presto per poter aver esercitato il suo ruolo. Ma quando fu nominato giardiniere divenne un buon cittadino e, finalmente, per la prima volta nella sua esistenza, poteva essere additato a modello-di vita per gli altri'Peir questo, secondo me, Pu Yi divenne davvero l'Imperatore dei cinesi solo quando fu un cittadino tra i cinesi». Simonetta Robiony Bernardo Bertolucci a Pechino: (ili grande interrogativo del film è l'itinerario psicologico di Pu Yi»

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