Rameau e le sue parodie

Rameau e le sue parodie Rameau e le sue parodie DAL NOSTRO INVIATO SPOLETO — Platèe di Jean-Philippe Rameau è considerata dagli storici della musica il primo esempio di opera comica in chiave di parodia mitologica della tradizione francese. Andata in scena per la prima volta a Versailles nel marzo 1745, questa «comédie-ballet» in un prologo e tre atti è stata modernamente ripresa al festival di Aix-en-Provence una trentina d'anni orsono (esiste dell'esecuzione anche una pregevole edizione discografica), ma da allora non era stata più eseguita. ' L'allestimento proposto l'altra sera al Teatro Nuovo ad un folto ed elegante pubblico per la direzione musicale di Mark Stringer e la regia, le scene, 1 costumi di Filippo Sanjust, ha riscosso larghi consensi per il rigore dell'edizione sia sotto il profilo musicologico che drammaturgico. Stringer, infatti, ha ritrovato, con l'aiuto di uno studioso inglese, il Farncombe, una copia settecentesca della partitura immune da vari! tagli successivi e ha voluto giustamente valersene per questa riproposta. Inoltre, con un'autorevolezza incon- sueta in un ventunenne alle sue prime sortite, ha imposto alla Spoleto Festival Orchestra (formata, per la cronaca, da strumentisti suol coetanei) un'esecuzione che evitasse a qualunque costo sonorità o vibrati non consoni alla poetica musicale dell'autore.. Teso, concentrato al massimo, questo occhialuto quasi adolescente ha tenuto in pegno per tre ore il complesso cor. una gestualità aggressiva e perentoria. Il lavoro sulla scena di Sanjust lo ha assecondato mirabilmente per misura e pudore. Il regista ha infatti deliberatamente evitato l'enfasi e i macchinismi del barocco rivisitato: ha ambientato la stramba vicenda della ninfa vecchia e brutta, regina di «superbe paludi, che Giove finge di amare e Impalmare per placare, con una prova e contrario», la proverbiale gelosia di Giunone, in uno spazio scenico di sobria suggestione: due alte quinte di proscenio, con una prospetti¬ va di acquitrini, e grandi nuvole in cielo, da cui fanno spesso capolino le divinità, indispettite o divertite. Ma Sanjust ha soprattutto evitato i toni della farsa smaccata, optando per una comicità indotta, lasciando allo spettatore di sorridere della sgraziata vicenda offerta con calcolata compostezza. D'ottimo livello il cast dei cantanti, tutti giovani, in cui spiccava, oltre che per le sue belle doti canore, anche per la sua situazione «en travesti*, il corpulento tenore francoamericano Brace Brewer nel ruolo di Platèe. Assai variate e suggestive le coreografie di Vittorio Biagi, affidate, giustamente, non a un affollato corpo di ballo, ma ad un ottetto di solisti. Il successo è stato caldissimo. Questo della riscoperta di un repertorio trascurato o dimenticato è senza dubbio un filone vincente del festival: e forse varrebbe la pena di instaurarne un altro parallelo per la prosa g, d. b.

Persone citate: Brewer, Filippo Sanjust, Mark Stringer, Philippe Rameau, Rameau, Sanjust, Vittorio Biagi

Luoghi citati: Spoleto