Il mobile postmoderno arriva dagli Anni 50

Il mobile postmoderno arriva dagli Anni 50 Il mobile postmoderno arriva dagli Anni 50 LA febbre del collezionista contagia. Aumentano i casi in cui un oggetto di arredamento, nel momento stesso della sua nascita, passa dalla produzione alla collezione, acquista il valore aggiunto che di solito si attribuisce tradizionalmente all'antiquariato. La diffusione del fenomeno ha motivi diversi. Al fondo, si pensa, oltre al premio per la «firma sicura» di un grande architetto, agisce la convinzione di sfuggire all'effimero individuando valori di stile e di sostanza che vadano al di là del semplice valore d'uso dell'oggetto. Ma attraverso questi meccanismi di rivalutazione, passa anche il ritorno di periodi che parevano destinati a minor fortuna. E' il caso dell'accresciuto interesse per una «decade» considerata di transizione: quella degli Anni Cinquanta, gli anni della ripresa dopo la guerra, gli anni del primo boom. Dopo il ruggito dei Venti, il pesante richiamo all'ordine dei Trenta — e ancora: i magnifici Sessanta — gli Anni Cinquanta si riscoprono, anche in Italia, molto ricchi e stranamente adeguati al gusto del post-modern e del postindustriale. Quasi che il dopoguerra nutrisse strane 'analogie creative con l'attuale rush dell'industria ad alta tecnologia. Non è analogia banale. Il filo interrotto dalla guerra della comunicazione fra Stati e culture, si riannodava negli Anni Cinquanta recuperando modi e linee di ricerca. Le nuove tecnologie e i nuovi materiali (dalla gommapiuma al compensato alle leghe leggere) ridavano slancio al vecchio sogno europeo del «progetto integrato-: pittura, scultura, architettura e arredamento dovevano concorrere alla coere'i ■•. del nuovo paesaggio. Max Bill sognava un nuovo «Bauhaus» aprendo la scuola di Ulm. Le Corbusier dava forma e sostanza alle sue «macchine da abitare» di Marsiglia, lo stesso Eames realizzava una casa negli States che dava spazio esemplare ai suoi mobili cosi popolari anche in Europa. Ma non era l'unico filone. Anzi. Basterà ricordare, proprio in Italia, la strada aperta in alcuni casi dal torinese Mollino, su spettro più ampio dai fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglione Vi ritornava il pensiero dell'arte 'Concettuale»: il mobile come vero concepimento di forme, quindi come ricerca individuale. E allora i ritorni lunghi del Dada, del Surrealismo, degli oggetti trovati, alla Duchamp. suggeritori di presenze, oltre che di funzioni. E ancora una terza linea: quella che si confrontava con il regionalismo «nordico». Lo stile svedese, il legno. Due parole magiche in quegli anni che portarono in Italia la conoscenza diffusa di maestri come Aalto, Jacobsen. Eiermann, Saarinen. Kjaerholm, Mogensen: sedie, poltrone, divani, tavoli, luci, componibili. Tutti di grande qualità, che avrebbero saturato lo stile (e le case) d'Europa fino a provocare una reazione salutare, tradott-. poi in una spinta alla ricerca del diverso. Questi nomi, uniti ad altri da non dimenticare (ne ricordo molti: Ponti. Bertola, Zanuso. Wegner, Ekselins, Sarfatti, Ditzel. Rams. Haussmann, Gugelot, e ancora Albini, Frattini...) costituiscono il vocabolario delle firme da sfogliare alla ricerca di oggetti che ancor oggi sono godibili, validi, e dunque: da collezionare. Non è difficile «pescare» in questo vocabolario. OGGETTI TROVATI — Un omaggio ai Castiglioni. Lo «sgabello del telefono» (1957): un sellino da bicicletta regolabile in altezza innestato su un tubo, con base semisferica in ghisa che lo fa stare sempre in piedi (prodotto da Zanotta). Lo sgabello «Mezzadro(1957. ripreso da Zanotta):

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