Le spie di Le Carré si confessano in stazione

Le spie di Le Carré si confessano in stazione Le spie di Le Carré si confessano in stazione Giovanna d'Arco trasforma in belva Gilles de Rais LA confessione è sempre un'esperienza mistica, un momento di catarsi interiore e di pacificazione psicologica, anche quando chi espone i propri peccati è un funzionario inglese d'alto rango passato al servizio del Kgb sovietico e chi ne ascolta l'elenco è un giovane agente del controspionaggio, che solo per ragioni di lavoro indossa il clergyman e si comporta come un prete inesperto alla sua prima missione pastorale. Su questa trovata semplice e brillante, che sottrae ancora una volta il mondo degli intrighi internazionali alle gelide spie dai nervi d'acciaio cui James Band e i suoi imitatori ci hanno abituato, John Le Carré costruisce Fine della corsa, un abile atto unico televisivo strutturato come uno psicodramma. Il compito di Bagley, il falso pastore che alla stazione di Edimburgo forza, mentre il treno sta partendo, la porta della vettura riservata dove viaggia tutto solo Frayne, classico uomo dal vestito grigio e dalla doppia identità, non si presenta facile. Si tratta di ottenere una confessione firmata, un'esplicita e inequivocabile ammissione di tradimento, senza tuttavia venir meno ai principi formali di una correttezza tutta britannica cioè senza ricorrere alle -maniere fortiche caratterizzano il comportamento della controparte russa. Con calcolato cinismo, la partita va giocata nel rispetto delle regole, facendo perno sul bisogno di comunicare di una vittima già sapientemente posta in precedenza in una situazione di isolamento e di solitudine totale. Come la mosca prigioniera della ragnatela, Frayne non ha alcuna possibilità di sottrarsi al proprio destino. La disposizione dei pezzi sulla scacchiera lo condanna allo scacco matto: potrà soltanto ritardare il momento della resa e usare il tempo che gli rimane per ripercorrere ogni mossa compiuta e cercare di giustifi-carla. La conclusione della partita, e quindi • la fine della corsa-, avverrà in quella stessa stazione di Edimburgo dalla quale, di fatto, il treno non è mai partito, Frayne uscirà di scena come un Re abbattuto che si riconosce sconfitto, ma nel frattempo sarà riuscito a comprendere il senso della propria vita e delle proprie azioni e, soprattutto, dei propri amori -proibiti- ma veri. Sarà una scoperta insieme triste e dolce, che lo compenserà dell'-eliminazione- che lo attende. Secondo Le Carré, infatti, difficilmente si diventa spie per opportunismo o per denaro, per spirito di avventura o per nobili ideali. Agenti segreti e doppiogiochisti non sono affatto supereroi, ma poveri uomini mediocri e insignificanti che, per sottrarsi alla propria anonima disperazione esistenziale, sanno persino piegare le operazioni complesse del Kgb o dell'MI5 ai propri patetici desideri privati e ai propri segreti e frustranti bisogni di felicità. Ruggero Bianchi John Le Carré, «Fine della corsa», trad. di Oreste del Buono, Mondadori, 99 pagine, 6000 lire. CON quelle dell'androgino e dei gemelli, la figura mitica dell'orco anima il mondo dei Michel Tournier: è un orco Abel Tiffauges. il protagonista del Re degli ontani sperduto in mezzo agli orrori della Germania degli orchi Hitler e Goering; è un orco il re Erode che esorcizza con un'ecatombe di inr.jcenti il cannibalismo mistico dell'eucarestia; ed orchi inconsapevoli sono anche, secondo un personaggio de Le meteore, tutti gli uomini che hanno sopraffatto nel limbo amniotico il loro gemello e che. -avendo scatenato col loro fratricidio originario quella cascata di violenze e di delitti che si chiama la storia, errano per il mondo, pazzi di solitudine e di rimorso-. Non tutti e non sempre si cibano di carne palpitante di bambino. Il più delle volte si accontentano di esplorare le infinite risorse del cannibalismo metaforico. la guerra come l'aborto, il vampirismo morale o addirittura, al limite della sublimazione, la fotografia (-Se si po¬ dArc tessero mangiare i bambini, li si fotograferebbe di meno-, confessa il fotografo Tournier). Ma anche nel più cruento soddisfacimento della loro perversione si può leggere, appena sotto l'apparenza repellente dell'odio, dell'abiezione, della bestialità, un atto d'amore, un'unione mistica, un disperato bisogno di purezza, di bellezza, di innocenza. Forse anche di santità. Questo almeno è l'assunto, non troppo paradossale, della rivisitazione che Michel Tournier ha compiuto del più celebre ed efferato tra gli orchi di cui la Storia abbia lasciato testimonianze certe, quel Gilles de Rais che aveva già colpito la fantasia di Joris-Karl Huysmans e di Georges Batallle. In questa sua opera — che non è un romanzo sottilmente lavorato come i suoi altri, ma conserva l'andamento ellittico e la forma corsiva del soggetto cinematografico che originariamente doveva essere — Tournier non fa anzi quasi altro che sviluppare una congettura di Hu¬ ysmans. o meglio del suo portaparola Durtal, 11 protagonista di Là-bas e del successivi romanzi, che, nel tentativo di spiegarsi come Gilles «da uomo pio sia diventato di colpo titanico, da uomo erudito e quieto, violentatore di bambini, sgozzatore di ragazzi e ragazze-, pone l'accento sul ruolo, involontario ma decisivo, che in questa metamorfosi deve avere avuto Giovanna d'Arco, la vergine guerriera al cui fianco il grande . fi ER favore un bi(( glietto per Parigi. Seconda classe, solo andata-. E' una richiesta usuale, persino anonima alla biglietteria di una stazione ferroviaria. Eppure .il tizio della stazione di X con i baffi alllnsù. sgrana tanto di occhi. Davanti a lui c'è infatti una flguretta in bianco e azzurro, che sembra proprio il ritratto di una ragazzina scappata di casa. Non si tratta però di una casa qualsiasi. Nel racconto Quell'estate al castello, scritto con freschezza e bel garbo da Beatrice Solinas Donghi e illustrato con aderente sensibilità da Emanuela Collini, la casa è appunto un castello, imitazione suggestiva dei manieri medioevali. Ippolita vi trascorre le vacanze in compagnia dell'amica Gina, -avventurosa più che giudiziosa, come invece la vorrebbero i -grandi-. E le avventure davvero non mancano tra passaggi

Luoghi citati: Edimburgo, Germania, Parigi