Un'Europa smarrita che si affida a Maggie di Barbara Spinelli

Un'Europa smarrita che si affida a Maggie Un'Europa smarrita che si affida a Maggie DAL NOSTRO INVIATO L'AIA — L'Europa che viene fuori dal vertice dell'Aia assomiglia a uno strano mutante, non del tutto previsto dai padri fondatori. Non è l'Europa di De Gaulle, volitiva terza forza fra le due superpotenze. Non è nemmeno il punto di incontro fra l'indomabile ambizione indipendentista della Francia e le frustrazioni postbelliche della Germania. E' un'Europa che ormai conosce i propri limiti, e ha la saggezza di chi si rassegna, cinica e ottimista al tempo stesso. Chi lo avrebbe detto, una decina di anni fa? Il vero ago della bilancia, nelle conferenze dei Dodici, la protagonista che indica la strada e ha la tenacia delle proprie convinzioni è l'Inghilterra di Margareth Thatcher. Il paese che a sentire De Gaulle era destinato a restare eccentrico per l'eternità, vecchia potenza dormiente tentata dal «grande largo» atlantico-americano. Sembrava impossibile e invece è Londra che oggi egemonizza la libido diplomatica della Cee per meglio neutralizzarla, e sa fingere l'organizzazione degli eventi anche quando questi ultimi visibilmente sfuggono al con trollo degli Stati membri. La Germania, che resta nano politico, è la prima a pren deme atto, si avvinghia come può al nuovo Federatore, e solo per fedeltà a un ricordo continua a snocciolare le virtù dell'asse franco-tedesco In realtà Parigi sta rapidamente trascolorando, sommersa com'è dalla crisi delle sue regali istituzioni. Sarà magari un fenomeno passeg gero ma per il momento le cose stanno così. La maniera in cui i Dodici si sono accapigliati nei giorni scorsi attorno alle sanzioni contro il Sud Africa sta li a sancire la mutata morfologia di questa Comunità nuova maniera, pragmatica e un poco spenta. Alcuni Paesi, vuoi per indignazione vuoi per antichi complessi storici, si sono battuti per misure punitive forti, nella speranza di piegare Botha, il campione dell'apartheid. E' il caso dell'Olanda in primis, e della Danimarca, della Grecia, dell'Irlanda, della Spagna. Non senza un certo disprezzo, il cancelliere Kohl ha parlato di «emozioni a buon mercato»: «Vorrei sapere cosa accadrebbe a tutti questi moralisti il giorno in cui Botha li privasse del ero mo, del manganese, del piati no, materie prime indispensa bili. Dovrebbero rivolgersi all'unico altro grande fornitore all'Urss — e la prospettiva sarebbe assai sgradevole. Il loro eroismo si squaglierebbe come neve al sole'). Sicuro dell'alleanza con Londra, Kohl riandava al passato tedesco, se la prendeva con le «capitolazioni incondizionate». E persino gli incerti lo indispettivano: dal l'inerte Italia di Craxi alla sfuggente Francia di Mitterrand, al titubante Belgio importatore bulimico di diamanti sudafricani. «Sono un po' ipocriti», così avrebbe confidato il Cancelliere ai suoi collaboratori, «nella sostanza sono d'accordo con noi ma non volevano sporcarsi le manì'>. Il che in parte è vero: Craxi ha disertato dopo poche ore il vertice, per motivi di politica interna comprensibi li ma poco coerenti con le sue velleità diplomatiche. Mitterrand ha messo a tacere iniziale slancio anticolonialista, persuaso in extremis dalle argomentazioni anglotedesche. E dalla prudenza di Lisbona, condizionata dai 600 mila portoghesi che vivono in Sud Africa. Resta da vedere se la filosofia inglese rappresenta una conquista per l'Europa. Certamente è la strategia più oculata. E' meno dominata dal desiderio immediato di far buona figura» in patria, e più attenta al futuro geostrategico di Pretoria. Ma è una filosofia timida anch'essa: non ha il coraggio di prefigurare sanzioni automatiche, qualora Botha si irrigidisse, non ha il coraggio di privilegiare esplicitamente l'opposizione non violenta in Sud Africa, e si guarda bene dal mettere in guardia i fautori della lotta armata a oltranza, nei partiti neri corteggiati da Mosca. E' la stessa prudenza intimorita che si nota nella dichiarazione Cee sul Libano: un sermone religioso-pacifista dove si evita accuratamente di nominare Siria o Iran. Come mai l'Europa e arrivata a questo punto? Probabilmente paga le vigliaccherie dimostrate sulla Libia, e per questo segue oggi l'Inghilterra. Solo che, assieme ad essa, si rimette interamente alla buona volontà statunitense. Toccherà ancora una volta a Reagan di sporcarsi le mani, di far politica. Di affrontare un problema che gli americani dominano diffi cilmentc — le rivoluzioni nel Terzo Mondo, come l'Iran insegna — e sul quale l'Europa avrebbe cosa interes santi da dire e da fare, se solo ricominciasse a pensare. Barbara Spinelli