Non è più giungla il fisco americano di Mario Deaglio

Non è più giungla il fisco americano PERCHE' NON IMITARLO? Non è più giungla il fisco americano Sta per prendere il via negli Stati Uniti una vera e propria rivoluzione fiscale. Con il voto pressoché unanime del Senato di Washington è entrata nella fase finale l'approvazione di una legge che cambierà la faccia del sistema americano di tassazione e che in Italia faremmo bene a esaminare con molta attenzione. Nella sua essenza questa rivoluzione è semplicissima: vibra un vero e proprio colpo d'accetta alla giungla delle aliquote, che da IS vengono ridotte a due, del 14 e del 27 per cento rispettivamente, assai più basse delle attuali. Contemporaneamente, però, vengono eliminate esenzioni, deduzioni, detrazioni Tradotto in termini italiani ciò significherebbe abbassare le aliquote Irpef e ridurre il numero degli scaglioni tariffari ma anche dire addio agli oneri deducibili, alle quote esenti, alla possibilità di sottrarre dall'imponibile le spese mediche, i mutui fondiari, le assicurazioni private e simili. Al limite, la dichiarazione comporterebbe l'effettuazione di una semplice percentuale sul reddito. A dolersene sarebbero, prima di tutto, i consulenti fiscali. Le aliquote americane sono state calcolate in modo da permettere al fisco di incassare all'incirca la stessa cifra di prima. Il nuovo sistema c quindi fiscalmente neutrale; non e certo, però, fiscalmente (e politicamente) neutro. Ridistribuisce infatti il carico fiscale svantaggiando chi gode attualmente della possibilità di effettuare molte deduzioni (numerose categorie professionali negli Stati Uniti sono in questa situazione) e favorendo invece chi non si trova in tale condizione (si tratta soprattutto di contribuenti dai redditi mediobassi il cui favore politico i repubblicani cercano di conquistare). Si tratta in ogni caso di una riforma squisitamente liberista, anche se ha riscosso l'approvazione di gran parte della sinistra americana: abolire le esenzioni, spesso ottenute con pressioni corporative, significa, in quest'ottica, rimettere i cittadini sullo stesso piano. Lo Stato, poi, non si comporta più come un «grande fratello», che consiglia pesantemente, accompagnandoli con un premio fiscale, detcrminati impieghi del reddito. Vengono inoltre apertamente favorite l'iniziativa individuale e il gusto del guadagno: su cento lire in più di reddito, il contribuente americano oggi arriva a pagarne fino a 50 al fisco. Dall'anno prossimo saranno solo 27. Infine, lo Stato, quando riduce il numero delle aliquote, rinuncia a far pagare l'imposta occulta dell'inflazione: un aumento solo monetario dei redditi, infatti, non comporterà il passaggio a scaglioni di imposta più elevali. Scompare cosi il famigerato fiscul-drag che, in Italia come negli Stati Uniti, c percepito come una palese iniquità e incoraggia le evasioni. Perché non facciamo lo stesso anche noi'.' Le soluzioni americane non possono essere trasferite tali e quali in una società più complessa come la nostra, ma sarebbe opportuno muoversi in questa direzione. Una certa semplificazione del sistema fiscale è già stata operata in Italia in questi anni ma le aliquote marginali rimangono chiaramente troppo elevate, l'apparato fiscale resta troppo macchinoso. Una riforma in questo senso non basterebbe certo a risolvere il problema del deficit pubblico ma maggiore semplicità, minore iniquità, minori furberie del fisco (che portano con sé le inevitabili furberie dei contribuenti) sono un punto di partenza per qualsiasi discorso fiscale di lungo periodo. Mario Deaglio

Luoghi citati: Is, Italia, Stati Uniti, Washington