La droga nel libro nero del komsomol di Emanuele Novazio

La droga nel libro nero del komsomol Campi d'oppio saccheggiati, amare confessioni di ragazzi: dopo l'alcol nuovo problema per l'Urss La droga nel libro nero del komsomol DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — I contadini dei kolkoz, nella regione di Kuibischev, li chiamano «turisti». Arrivano in auto o in moto, a gruppi: da Oreburg, Krasnodar, perfino dal Baltico. Come un flagello: 1 campi di papaveri non riescono a fiorire, li saccheggiano. Quando se ne.vanno, lasciano siringhe e lacci dappertutto. La denuncia della Komsomolskaja Pravda è amara, una delle più allarmate e franche mai apparse sulla stampa sovietica. A devastare 1 raccolti di papaveri, coltivati per fini alimentari e medici, sono bande di drogati, scrive il giornale: dei fiori, usano i pistilli, li schiacciano fino a cavarne la polvere «che dà l'ebbrezza*. I «turisti» sono loro, e le difese sono poche: •Come potremmo sorvegliare trecento ettari di piantagione?*, lamenta il presidente di uno del più grandi kolkoz della regione. «Non abbiamo elicotteri, e c'è una sola guardia, con noi; che per di più pattuglia soltanto a cavallo*, Il comando della milizia ha proposto la costruzione di torri di osservazione, lungo tutto il terreno coltivato: «Ma quante ne servirebbero? E di quanta gente avrei bisogno, perché la sorveglianza fosse davvero efficace?* Se lo chiedono in molti, a Kuibishev. Ma, riconoscono, siamo di fronte a un flagello difficile da controllare. Per mancanza di mezzi, a volte; o perché ci ha aggredito di sorpresa, senza che potessimo prevederne tutta l'ampiezza, tutta la violenza. Per darne un'idea, citano il caso di un autista di camion, Rais Bugitdino: l'estate dell'anno scorso qualcuno gli offri cento rubli (duecentotrenta mila lire, pressapoco) per ogni sacco di papaveri raccolto lungo la strada che percorreva abitualmente. Ne raccolse sei, li consegnò in una città vicina, intascò seicento rubli ma qualcosa andò storto: Bugitdino sta scontando sei anni di carcere per smercio di sostanze stupefacenti, anche chi aspettava la merce è stato arrestato. O, ancora, raccontano una storia recente, avvenuta nella regione: quella di un giovane fermato da un miliziano nella sala d'aspetto di una stazione. Fu chiamato un medico; ma quando arrivò, confessò che quello era il primo drogato che vedeva, e disse che, dunque, non sapeva che dire o che fare. Il caso del campi di Kuibishev, lo spazio dedicato a questa vicenda dal quotidiano dei giovani comunisti, è l'ultimo segno, l'ultimo esempio di una preoccupazione diffusa; un altro piccolo spiraglio, un altro inedito squarcio aperto su un problema che da tempo, ormai, allarma lo Stato. Da quando, dieci anni fa, la Corte Suprema lanciò il primo allarme (dopo l'adozione di una nuova legislazione, con pene fino a quindici anni per gli spacciatori e multe di cinquanta rubli, ottantamila lire, per chi ne la uso) la parola «droga» è entrata nel discorso pubblico, è stata ammessa, nel linguaggio ufficiale. Con qualche cautela, naturalmente: «Le statistiche dimostrano che i casi di tossicodipendenza non sono numerosi*, ripetono i giornali ogni volta che toccano l'argomento. E le sole cifre abitualmente citate sono quelle rivelate tempo fa da Eduard Babajan, rappresentante permanente sovietico nella Commissione narcotici delle Nazioni Unite: 2500 tossicodipendenti appena, e su una popolazione di duecentosettanta milioni di persone. Ma il moltiplicarsi di segnali, negli ultimi mesi, dà al tema un nuovo rilievo; e, se rivela un allarme crescente, mostra pure aperture spregiudicate, impensabili anche nel recente passato. Per esempio, l'appello «a non chiudere gli occhi* lanciato dall'accademico Georghi Morozov su Sovietskaja Kultura: «Da noi non può succedere come nei Paesi capitalisti, dove il fenomeno droga ha assunto le dimensioni di un'epidemia. Ma tacere può finire per alimentare la tragedia... E' giunto il momento di richiamare l'attenzione su quella terribile piaga che è la tossicodipendenza; una piaga che conduce alla degradazione e alla distruzione della personalità ... Non possiamo commettere l'errore che a suo tempo venne fatto per l'alcol, quando a lungo ci vergognammo, letteralmente, di proclamare à gran voce quali sciagure l'alcolismo porta al Paese, alla sua economia, alla sua moralità*. Per esempio: la notizia, ancora su Sovietskaja Kultura, che il Comitato del partito di Mosca «ha esortato gli organi giudiziari e le istituzioni sanitarie della capitale a superare le insufficienze della lotta alla tossicodipendenza*. E ancora: la pubblicazione, su Moskovski Komsomoletz (il giornale dei giovani comunisti di Mosca) delle confessioni di persone drogate, mezza pagina e più dedicata alle loro «sofferenze*, alle loro «voci disperate*. O ancora: la storia amara. ma emblematica, raccontata da Svieta M., studentessa di istituto tecnico. Di recente, e con gran risalto, la Moskovskaja Pravda ha pubblicato una sua lettera: «Sono terrorizzata. Terrorizzata da me stessa e dai miei amici. Fumiamo roba dura. Perché? La ragione principale, naturalmente, è perché va di moda. Abbiamo seguito anche in questo l'Occidente, dai jeans di marca alle musicassette siamo passati a giocattoli del genere. Ma c'è un'altra cosa: quando si va a ballare ci si vuol sentire su di giri. Vino non se ne può bere, ti scoprono subito. La roba non puzza ... Forse sono già perduta: non dico mai no, quando qualcuno mi offre qualcosa... Proprio davanti ai miei occhi, un ragazzo, uno giovane, è diventato tossicodipendente. Ha cominciato come me, poi ha cominciato a rubare farmaci allo zio, uno psichiatra che li teneva in casa. Adesso, passa le giornate in cerca di droga. Come un pazzo... Que¬ sto nostro passatempo alla moda, questo gioco pericoloso, attrae sempre più gente. Anche tra i miei amici*. Non sono ammissioni da poco: al di là del loro impatto immediato, del loro valore per la definizione del «problema droga», parole come quelle dell'accademico Morozov, confessioni come quelle di Svieta o come quelle raccolte da Moskovski Komsomoletz, sottintendono un approccio nuovo: meno rituale, meno liturgico. Come sempre avviene con vicende estranee ai rigori della «morale socialista», è presente l'intonazione un po' consolatoria, del confronto con l'Occidente; del suo contagio, del suo pericoloso, subdolo potere d'attrazione e corruzione. Ma da un po' di tempo, le storie come quelle di Svieta sono correnti, sulla stampa sovietica. L'intonazione moralistica si attenua, si rafforzano l'intento pedagogico e le preoccupazioni sociali. Diceva un giudice, in risposta a Svieta: «Chiedete aiuto, andate da un medico. Nessuno vi riterrà colpevoli, non ci saranno procedimenti penali contro di voi*. Emanuele Novazio

Persone citate: Eduard Babajan, Morozov, Rais Bugitdino

Luoghi citati: Mosca, Urss