Amendola alla porta

Amendola alla porta FOGLI DI BLOC-NOTES Amendola alla porta SCORRENDO le seicento pagine del primo volume del Carteggio di Giovanni Amendola, uscito da Laterza — volume che abbraccia il periodo 1897-1909 — trovo una sola citazione di Giolitti, l'uomo politico che pure dominò, nel bene e nel male, un'intera stagione della vita italiana (e per Amendola più nel male che nel bene). E quella citazione si riferisce a un articolo della Voce, del dicembre 1909, su.«Giolitti e Sennino». Tutto Sonnino, niente Giolitti. Articolo che finiva con un richiamo vigoroso alla «evangelizzazione laica del Mezzogiorno», cioè della «metà d'Italia sistematicamente mantenuta corrotta per mantenere la corruzione di Roma e l'affarismo di tutta Italia». Giudizio che non manca di una qualche drammatica attualità. PERCHE' una volta sola Giolitti? Il perché è nella storia segreta di anime che questo carteggio mette in luce: completando la scelta di lettere, già così significativa illuminante, che la vedova Eva Khiin aveva realizzato oltre venticinque anni fa. Aniendo'a era in primo luogo un intellettuale. Non laureato (per la povertà della famiglia); più tardi libero docente solo in virtù della propria testardaggine, della propria caparbietà. Indifferente all'azione poli tica nei primi anni, anzi sprez zante di essa. E con una vena di riluttanza, quasi di ripugnanza, a toccare il gioco politico, a tuffarsi nelle manovre parlamentari. «Questa Italia non mi piace». UN'ALTRA notazione, Era quella un'Italia estremamente povera. L'uomo di cultura — e soprattutto l'autodidatta (thè tale fu Amendola) — doveva compiere sforzi terribili per sopravvivere. Il carteggio è, in qualche momento, angoscioso. Amen 'doli batte a tutte le porte per ottenere qualche, compenso. Ha messo su famiglia, Giorgio nasce nel 1907. Si rivolge invano a Ugo Ojetti perché gli siano dischiuse le strade del Corriere (ci vorranno sette anni, ed entrerà da una via di versa). Quando propone Croce di tradurre per i «classi ci della filosofia» Schopcn hauer riceve una risposta ne gativa con una punta di ram pogna: «Schopenhauer non è un filosofo di prim'ordine». Deve aspettare il suo turno, almeno sette-otto anni. Collabora alle riviste di Papini, come il Leonardo, che non pagano (e Papini lo rimprovera di fare troppi omaggi). Sogna di diventare nel 1907, a venticinque anni, direttore di Prose: ma proprio Papini gli taglia la strada (Amendola commenterà: «Quello lì non ama e stima altri che se stesso»). Con pazienza e con umiltà vince un modesto concorso nel 1906 di segretario alle Belle arti (un impiegatino, insomma). Ma non è uomo inquadrabile in nessuna burocrazia. E' percorso da vibrazioni ed evasioni teosofiche (in comune con la moglie che diventerà poi futurista, marinettiana accanita); frequenta gli ambienti esoterici e massonici. Condivide passioni e illusioni del modernismo. E il tutto lo rende, più che mai, «controcorrente». QUESTO volume si ferma al 1909. Ma c'è una lettera dell'agosto 1910 ad Alessandro Casati, il grande patrizio-umanista amico di Croce (resa nota molti anni fa da uno storico), che ci permette di fare i conti in tasca allo studioso di quegli anni, «l'età favolosa» della nazione, tante volte ingrandita dalla re torica o dall'elegia. Amendola prospetta una ri vista trimestrale; vorrebbe che Casati — generoso fino alla prodigalità — la finanziasse. Ma deve coprire le spese. Per venire stabilmente a Firenze — dove già si trova da un anno direttore della «Bibliote ca filosofica» ma senza aver mai lasciato del rutto Roma — ha bisogno di trecento lire mensili (precisa: trcmilaseicento in un anno). Lo stipendio di direttore della «Biblioteca filosofica» di centoventi lire. Gli restano da reperirne ccntottanta. Propone novanta lire al mese per la direzione (compresi gli arti coli). Ma siamo solo a duecen ILp L'ir todieci. Allora, fa il gran salto: le altre novanta lire potrebbero essergli anticipate per i corsi sulla Riforma da tenere nel 1912 nella «Biblioteca filosofica»: egli le restituirebbe nell'anno. Un prestito di sei' cento lire gli occorre comun que per trasferire i mobili da Roma (burocrate dimezzato com'è). progetto non si realizzò, niziale «sì» di Casati si trasformò in una dilazione di tempi, che ferì l'orgoglio di Amendola. Nacque invece L'Anima: una piccola rivisra di vita reli giosa con due direttori (due uomini così diversi, dai destini così diversi), Amendola e Papini, e un anno di vita o poco più, l'ultimo anno fiorentino ; part-time di Amendola, il 1911 Finanziamento, occulto, di Casati. Senza redazione: la casa fiorentina di Papini, quella del\'«uomo finito» in via dei Bardi 6, sede del nucleo di collaboratori. Copcrrina bianca; e* stità tipografica assoluta Niente fregi alla De Carolis (come nel Leonardo). Una nea integralmente antidannunziana. Neanche l'eclettismo della Voce: alla cui fondazione Amendola .aveva contribuito, ma avrebbe preferito che chiamasse 11 Commento, meno eclettica, meno aperta e meno disponibile a tutto. E perché il titolo, «un po arcaico»! E' «una confessione di riappropriamento della realtà in teriore, e un segno di distinzione dalla società in cui viviamo» Quasi una forma di predesti nazione. T: UTTI da studiare, ancora, i rapporti fra Amendola e Gobetti. G vorrebbe uno studioso, una ricerca accurata: due nature così diverse, un destino comune. Polemiche, sotto la cenere. Divergenze interpretative nell'azione politica e nei retroterra del pensiero. «Rivoluzione beralc» contrapposta a «Unione democratica nazionae». Il Piemonte di Alfieri contrapposto alla Napoli di Silvio Spaventa. In comune: la povertà delle origini. La lotta per la vita. Tutti e due, pur appartenenti a generazioni diverse (l'uno era nato nel 1882, l'altro nel 1901), figli della piccola borghesia che esauriva le proprie giornate in un lavoro snervante, alla ricerca disperata del decoro. Il padre di Amendola, Pietro, ex garibaldino ed ex carabiniere; poi modestissimo impiegato presso il ministero della Pubblica Istruzione. Giorgio ricorderà, testimoniata dal padre, la fame, «l'uovo sodo spaccato in quattro parti, l'olio versato a gocce sull'insalata». Il padre di Piero, Giovanni con una piccola drogheria : Torino. «Padre e madre lavora vano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro primissi ma pensiero». Tanto sacrificio per consentire la laurea del figlio. Amendola non aveva potuto frequentare né il liceo classico (come Gobetti) né otte nere la laurea. I suoi srudi era no stati tecnici. Ma aveva riparato l'avversa sorte con la li bera docenza. Con libri come Maine de Biran o La volontà è il bene. G OBETTI e Amendola moriranno, sessantanni fa, a distanza di un mese e mezzo. Entrambi fuori d'Italia, esuli in terra di Francia. E senza incontrarsi saranno ricoverati nella stessa clinica a Parigi, nei, ptOTÙ.'^WdeMj&bisdó 1926. Ma_ con un viricòlò.di jikhà'ó.^ 'tassativo per tutti gli amici — che rivelava intero il carattere di entrambi gli uomini. E che sarà rispettato anche da chi conosceva la convivenza dei due malati sotto le stesse mura. Giovanni Spadolini