Torna il fantasma degli aeroporti di Livio Zanetti

Torna il fantasma degli aeroporti Lo sciopero dei trasporti, incubo stagionale degli italiani Torna il fantasma degli aeroporti ROMA — Come chiamarlo: tic professionale, sindrome stagionale, coazione a ripetere, revival, feticcio, scelta obbligata o tutto quanto insieme? Sta di fatto che anche questa estate come in quelle scorse, il fantasma dello sciopero si aggira per stazioni ferroviarie e ambulacri d'aeroporto gettando il panico ira la smarrita popolazione degli utenti. Attualmente è l'incubo notturno di chi aspira a usare il treno come mezzo di trasporto collettivo sul territorio nazionale anche dopo le nove di sera, un incubo reso ancora più sgradevole dal fatto che nel frattempo risultano bloccati anche i viaggi aerei e si preannuncia il fermo dei traghetti per e dalle isola. Come sempre, questo genere di scioperi non procura alcun fastidio alla controparte legale ma solo all'utenza reale, vale a dire agli incolpevoli viaggiatori o scolari o ammalati e cosi via, tutta gente estranea alla controversia e vittima indifesa d'una sorta di «vendetta trasversale». A chi faccia loro osservare quanto sopra i promotori delle agitazioni rispondono per lo più appellandosi al diritto di sciopero («sacrosanta conquista della democrazia/) e invocando lo stato di necessità («non abbiamo altro modo per funi ascoltare da chi si ostina a fare il sordo» ). Ma allo stato di necessità del pubblico dipendente in attesa di rinnovo del contratto si contrappone subito quello dell'ammalato in attesa di cure urgenti, mentre non manca chi fa notare che se il diritto del lavoratore allo sciopero è sacrosanto, altrettanto è da considerarsi il diritto del cittadino a non venire sequestrato per nove ore in una hall dell'aeroporto di Fiumicino. Per rompere in qualche modo un circolo vizioso che vede il cittadino-lavoratore in conflitto permanente col cittadino-fruitore, era stato escogitato il cosiddetto codice di autoregolamentazione il quale però funziona sempre meno, anzitutto perché esiste solo nel settore dei trasporti, poi perché non contempla sanzioni efficaci, inoltre perché è quasi privo di valore legale trattandosi d'una specie di gemlemen-agreemem fra le parti, che ogni parte può trasgredire quando vuole, e infine perché cambia da sindacalo a sindacato, quello dei confederali non e uguale a quello degli autonomi e così via e insomma c'è una giungla dei codici di autoregolamentazione pari soltanto alla giungla retributiva. Esistono anche, da imni. tre progetti di legge — uno del pri, uno della de e uno del pli — per una regolamentazione tout-court nei servizi pubblici essenziali ma riposano lutti e tre negli archivi delle commissioni parlamenta ri e decadono puntualmente con lo scadere delle legislature. Che resta da fare? Mentre continua la polemi ca fra regolamentatoti a oltranza e fanatici dello status quo. e forse consentito azzardarsi alla ricerca di un qualche parziale rimedio. Per esempio, perché non provare col referendum? Dopo che é stata usata con successo nei dibattiti sulle nuove piattaforme contrattuali, la formula del referendum gode di grande prestigio, fa molto innovativo, moderno e perfino postmoderno, tanto che rischia di diventare un simbolo del sindacal-chic. La si potrebbe applicare, oltre che ai contratti, anche agli scioperi generali di categoria nel campo dei pubblici servizi: prima di proclamare lo sciopero, verificarne l'indice di gradimento presso i lavoratori del settore. Ma chissà che cosa ne pensa Pizzinato. e soprattutto Marini. Oppure: perché il governo durante i periodi di emergenza non organizza dei servizi alternativi appaltandoli a compagnie di navigazione private, gruppi aerei privati, cliniche private eccetera? Non sarebbe deregulation ma legittima difesa, esercitata in nome di un contribuente che contribuisce moltissimo e non usufruisce quasi nulla. Ma chissà cosa ne pensa Craxi, e soprattutto De Michelis. Livio Zanetti

Persone citate: Craxi, De Michelis, Pizzinato

Luoghi citati: Roma