In aula i capi storici Br di Roberto Martinelli

In aula i capi storici Br Accusati di concorso morale nel rapimento del giudice D'Urso In aula i capi storici Br Nella stessa gabbia un Moretti dall'aspetto distinto e un Curcio con i capelli grìgi - Di fronte alla corte del processo «Moro-Ter» due generazioni di terroristi della colonna brigatista romana ROMA — I capelli grigi di Renato Curcio, rinchiuso nella stessa gabbia di Mario Moretti, sono 11 segno dei tempi del nuovo processo alle Brigate rosse cominciato ieri mattina nell'aula bunker di Rebibbia. Il processo — chiamato «Moro-Ter» — ripropone per esigenze di giustizia una realtà che la gente comune ha dimenticato e che gli addetti ai lavori rivivono in uno scenarlo consumato e ripetitivo. La pubblica accusa ha portato davanti ad una corte di assise due generazioni di terroristi, dal capo storico, quasi mitizzato da un pizzico di romanticismo, al freddi e sanguinari esecutori di sentenze di morte degli Anni 80; ai pentiti, al dissociati, agli irriducibili. • Una folla variegata di personaggi legata insieme da due circostanze: l'aver militato nella colonna romana e -la complicità morale, e assai ."discutibile, nel sequestro del -giudice D'Urso. Sono in cen.tosettantacinque, imputati di spezzoni di grandi delitti, come via Fani, Moro, Varisco. già giudicati da altre corti; e omicidi che per la prima volta passano all'esame di una giuria popolare: a cominciare dall'omicidio del generale Enrico Oalvaligi. Un meccanismo procedurale complesso ha costruito un «maxiprocesso» contro il quale la difesa punterà, a partire da oggi, le sue armi Tutto ha però il sapore del copione antico già visto, già letto, già raccontato. Dal documento tirato fuori a metà ma non reso noto per un difetto del microfono e che forse sarà riproposto ad una delle prossime udienze, alla revoca degli avvocati air ch'essa rinviata per opportu nlsmo processuale, alla divisione degli imputati nelle gabbie imposte dall'emergenza. Segno tangibile di un pas sato di terrore e paura; attenuato solo dai colori sgargianti delle magliette di alcu ni detenuti: giallo ocra con un disegno sul petto per Renato Curdo, turchese in tinta unita per un saltellante Moretti e il nuovo look di Prospero Gali ma ri, il carnefice di Moro, dimagrito, compassato, quasi distinto. Un'ottantina i presenti: tutti nomi che hanno fatto storia durante gli anni di piombo. Da una parte loro, gli imputati, e, dall'altra, stanche e sfiduciate le «vedove» del terrore. Alcune sono venute di persona a testimoniare il loro coraggio e la forza d'animo: la sorella di Antonio Varisco, le mogli dell'appuntato Ricci e del maresciallo Leonardi, uccisi in via Fani. Eleonora Moro e due dei suoi figli si sono fatti rappresentare da un avvocato. Maria Fida, la primogenita che ha perdonato i carnefici del padre, non si è voluta costituire parte civile. Presence lo Stato, enti pubblici e privati colpiti dalle Br ed anche una corte di assise di riserva, come vuole la nuova legge. Il processo si annuncia lungo e difficile. Un grande assente: Domenico Pittella, già senatore psi della Repubblica e medico, accusato di aver ospitato nella sua clinica Natalia Li gas, una terrorista ferite. L'udienza è senza storia: appello degli imputati, costituzione delle parti, preannuncio delle eccezioni di nullità. L'anticamera obbligata di ogni processo di dimensioni elefantiache. Su due aspetti processuali si attende il responso della Corte Suprema. Ma qualunque sarà il destino del dibattimento, esso non aggiungerà nulla di nuovo a quello che già le tante inchieste giudiziarie hanno consacrato nei verbali istruttori. Di Moro, di via Fani, si parlerà in sedicesimo. Il processo porte il suo nome ma è solo ritaglio marginale e comunque non sembra destinato a colmare 1 vuoti lasciati dai silenzi dei tre imputati principali: 'Moretti. Oallinari e Anna Laura Braghetti, 1 tre brigatisti che gestirono la vita di Moro nella prigione di via Montalclni e la sua morte. Sono in aula tutti e tre, schierati tra l'esercito degli «irriducibili», intenzionati a tacere. La loro ostinazione ha dato origine a un dibattito complesso, difficile. C'è chi, come Enrico Fenzi, definisce il loro comportamento -rassegnazione ad un ruolo' nel quale non credono più. Ma anche chi insinua il sospetto che il loro silenzio nasconda verità scomode per tutti. Essi sostengono invece che un'aula di giustizia non è 11 luogo adatto ad una ricostruzione storica di un dibattito politico. ' Come dire che. se mai parleranno, non sarà davanti ad un magistrato per strappar qualche attenuante, ma in un'altra sede. Può darsi che sia cosi: e cosi comunque va interpreta¬ ta la volontà di Curcio e Moretti di essere rinchiusi nella stessa gabbia. Era la prima volta che accadeva. Moretti ha rivendicato il ruolo di capo storico, come quello di Curcio. Ma la loro storia è diversa e non basta 11 casuale accostamento di una ribalta processuale e cambiare U corso degli avvenimenti. Curdo è in quella gabbia per la complicità morale nel sequestro del giudice D'Urso. Era già in carcere a quel tempo e per la pubblica accusa aver condiviso il rapimento costituisce reato. Non sarà un compito facile per il pm dimostrarlo. □ discorso vale per tutti gli altri, imputati già detenuti all'epoca del fatti ed incriminati perché condivisero ed accettarono le ideologie degli esecutori materiali del crimine. Colpevoli per essere stati «cattivi maestri»? Roberto Martinelli

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