Noi siamo senza parole

Noi siamo senza parole COLPI DI TACCO Perché i messicani non ci amano Noi siamo senza parole MESSICO — C'è anche la geografia speciale delle nazioni amate dai messicani oppure no, cioè di quelle che godono di un fattore campo di secondo tipo. Il Brasile piace da matti nonostante alcune gaglioffaggini dei suoi tifosi a Guadalajara. L'Argentina è odiatisslma, l'argentino è per il messicano un sudamericano che si pretende europeo, un italiano che parla spagnolo e si comporta da inglese. Una delle più brutte parole messicane è quasi una delle calcisticamente più amate parole argentine. Diciamo di una parola di gergo pesante, per definire una donna facile: «maranona». Poco amati gli uruguaiani. Criticati, però con attenzione morbosetta, gli «animales» Inglesi e nessuna solidarietà con quelli del Terzo mondo. Il messicano non si sente abitatore di questa povertà, non è neppure terzomondista teorico. Non è amata l'Italia: eliminò il Messico qua nel '70, ha commesso la gaffe della maleducazione ufficiale al suo arrivo, quando venne rifiutata la conferenza-stampa, si permette di avere una bandiera con gli stessi colori del Messico, è la Nazionale di una comunità che qui ha fatto e fa molti soldi senza farsi venire calli alle mani. E poi gli italiani sono stati sinora i soli tifosi del Mundial incapaci di arruffianarsi almeno un po' i locali mettendosi a gridare, in un paio dei novanta minuti di ogni partita, «Mexico-Mexico». Lo hanno fatto persino «los animales» inglesi. Come diceva la filastrocca per bambini quando i bambini c'erano ancora e non erano tutti stati mangiati dai videogames: «Ci vuole cosi poco a farsi voler bene / una parola buona / detta quando conviene». • Interessante, qui, nel lessico del Mundial e forse non solo, l'uso della parola, dell'aggettivo «latino». Ogni tanto, per spiegare qualcosa di una partita, di un giocatore, si segnala che è latino. E' latino anche Stopyra, il polacco della Francia, in un suo balzo di gioia. Sono latini gli indlos della squadra messicana, i negri di quella brasiliana. O i bianchi brasiliani figli di tedeschi. Latini non si nasce, si diventa. Si diventa latini se si nasce o si opera entro un certo spazio. Latini i paraguayani, di una nazione dove il ceppo tedesco è quello più presente (a proposito, pare che Rumerò, anzi Romerito, e compagni contestino a parole il loro dittatore Stroessner, e questa è una grossa novità, per quella gente. Stroessner è, dicono, anche un apostolo della emoperfusione, ma invece di ridarsi il proprio sangue, come certi atleti, prende quello di bellissime e giovanissime indie, latine anche loro, si capisce). La Danimarca, si dice, gioca con allegria latina». Aspettiamo la latinizzazione di qualche sovietico, l'ucraino «bianco» Blochin, per esempio, o l'altro ucraino Protasov. g. p. O.

Persone citate: Blochin, Protasov, Stroessner

Luoghi citati: Argentina, Brasile, Danimarca, Francia, Guadalajara, Italia, Messico