Falstaff degli equivoci di Massimo Mila

Falstaff degli equivoci GINEVRA: GRANDE RAIMONDI PER LA PRIMA VOLTA NEL PERSONAGGIO, REGISTA PROIETTI Falstaff degli equivoci Spettacolo ragguardevole, ma persuade poco l'intuizione che l'eroe verdiano sia nobile e non comico DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA — Pur senza condividere 11 feticismo per gli esecutori che sempre più dilaga nel giornali, il fatto che un artista come Ruggero Raimondi si cimenti per la prima volta con una parte come quella di Falstaff non può lasciare indifferente nessuno, e certamente è stato un buon colpo del Grand Theatre di Ginevra avere provocato questo Incontro. L'ancor giovane età dell'artista e il momento di piena forma vocale ch'egli sta attraversando determinano 11 carattere di freschezza, si vorrebbe dire di giovinezza, che distingue questo spettacolo. Raimondi ha detto che lui è un basso e invece Falstaff ha voce di baritono. Ma nessuno se ne accorge, la parte gli sta perfettamente. Fin troppo, in un certo senso, che una voce delabrata, come quella dell'ultimo Stabile, è diventata una specie di contrassegno del personaggio, di quella sua fisionomia d'uomo in declino ormai avanzato sul viale del tramonto fisico. Invece la voce di Raimondi è giovane; a occhi chiusi nessuno s'immaginerebbe che Falstaff è quel rottame che è, e del resto, anche a occhi aperti, la prestanza fisica dell'attore presta talvolta al personaggio scatti e movenze di cui non lo si riterrebbe capace, Se il regista Luigi Proietti 11 regista Luigi Proietti | ha inteso l'opera come •gonfia' di vita», e ha cercato di far passare questa vita nello spettacolo, può darsi che il primo spunto, magari inconscio, gli sia venuto dalla disponibilità d'un slmile attore. Ma non a questa felicissima colpa d'essere giovani si deve attribuire quel tanto che nella concezione dello spettacolo persuade poco. Bensì all'opinione, sostenuta dal regista e condivisa dal cantante, che Falstaff non sia un personaggio comico, bensì un'anima nobile, di grandezza quasi faustiana. E' la solita solfa della ricerca di originalità a tutti i costi e della convinzione che il comico sia un fatto di minore dignità artistica che il tragico. C'è gente disposta a sostenere che perfino 11 Barbiere di Siviglia, a guardarci bene. non è affatto allegro, bensì, in fondo In fondo, una tragica denuncia della difficoltà di esistere, una dichiarazione di pessimismo cosmico e di rivolta socio-esistenziale. Unita ad una certa acerbità di preparazione, questa è la ragione principale del non perfetto risultato d'uno spettacolo per altro ragguardevolissimo. Anche 11 direttore d'orchestra Inglese Jeffrey Tate, un elemento in forte ascesa, attivo al Covent Garden, a Salisburgo, assistente di Boulez nel famoso Ring di Bayreuth, è al suo primo Falstaff. Non c'è dubbio che quando entrambi saranno al loro ventesimo o trentesimo, le cose scorreranno con maggiore fluidità, le voci saranno meglio tutelate contro la ricchissima orchestra, e certi particolari strumentali molto emergenti saranno di nuovo relegati nella loro posizione di sfondo. Anche il resto della compagnia sta sotto il segno della giovinezza, specialmente le comarelle, che sono Daniela Dessy (Alice). Barbara Bonney (Nannetta). Carmen Gonzales (Quickly) e Benedetta Pecchioli (Meg). Non nuovi alle loro parti, ma anzi vecchie volpi come Giuseppe Foiani e Tullio Pane per Pistola e Bardotto, e Alberto Rinaldi, sicurissimo e vigorosamente positivo nel difendere quella parte di Ford, che la regia vorrebbe intendere invece come gretta e abietta espressione dell'anima borghese, agli antipodi della nobiltà di sir John Falstaff cavaliere. Né inesperto della parte di Fenton è il tenore americano Robert Gambili. Il coro del Grand Théàtre (Maestro P.A. Gulllard) si è districato discretamente nel gran tafferuglio dell'ultima scena, mentre i vertiginosi assieme delle quattro comarelle e dei quattro antagonisti di Fastaff, proprio perfettamente riusciti non erano. L'orchestra, che è quella della radio Sulsse Romande, non è più cosi straordinaria com'era al tempi in cui la reggeva 11 grande Ansermet. La regia di Luigi Proletti è quella di un esperto uomo di teatro. Tutta la smania di originalità lui la mette nell'interpretazione fondamen¬ l'interpretazione fondamen-1 tale del personaggio e dell'opera, di cui vuol negare la comicità. Per il resto non Introduce stravaganze. Le scene di Quirino Conti lo alutano, che anche quando si scostano dai clichés . convenzionali, sono però ben studiate per consentire lo svolgimento dell'azione. Soltanto la prima scena, quella della camera di Falstaff all'Osteria della Giarrettiera, rispetta la topografia tradizionale, e del resto Ineliminabile. Le altre, belle da vedere e seducenti nella loro luminosità, sono spesso state applaudite, ma pongono qualche perplessità. Per esemplo, il cortile dì casa Ford, che Verdi s'immaginava come -un grande e vero giardino, con viali, massi di cespugli e piante qua e là., è invece una specie di terrazza d'istituto universitario, con scaloni e severe statue di otto metri d'altezza. Ma anche cosi la scena, sebbene Impropria, risponde alla necessità espressa da Verdi di -potersi, volendo, nascondere, comparire, scomparire, quando ■ il dramma e la musica lo esigeranno-. Ci si dice che Quirino Conti è, oltre che architetto, anche un grande stilista di moda. Lo si vede bene, naturalmente nei costumi delle donne, ma soprattutto nel bellissimo abito «elegante» di Falstaff, il meglio riuscito dei tanti sforzi profusi in questa rappresentazione per riscattare presentazione per riscattare I il personaggio da ogni sospetto di buffoneria. Le due scene dell'ultimo atto hanno una tinta diafana che fa pensare a una marina di Carrà. La prima sottolinea il serrato arco cronologico dell'azione, facendoci vedere Falstaff ancora tutto fradicio per il tuffo nel Tamigi, e avviluppato In un lenzuolo da bagno. L'altra è gradevolmente chiara, luminosa, e affronta con coraggio le diffi¬ fronta con coraggio le dlffi- coltà del pandemonio finale. DI solito i registi approfittano largamente del fatto che la scena è notturna per dissimulare tutto in un benevola oscurità. Un altro dei grandi problemi di regia del Falstaff è l'intollerabile durata dell'assedio che Ford e i suoi domestici pongono Intorno al paravento dove suppongono sia nascosto Falstaff. Qui l'enorme ampiezza del palcoscenico ampiezza del palcoscenico consente alla regia di pren dere l'azione molto alla larga si da distribuire in modo quasi accettabile la lunga marcia d'avvicinamento degli Inseguitori. Lo spettacolo ha avuto un bel successo, specialmente alla fine; tra un atto e l'altro, beh, l'elegante pubblico di Ginevra è alt'ettanto parco e parsimonioso quanto quello torinese. Massimo Mila Massimo Mili Ruggero Raimondi (Falstaff) mentre corteggia Daniela Dessi (Alice Ford) nello spettacolo di Ginevra

Luoghi citati: Ginevra, Salisburgo, Siviglia