Regina di Palermo e della Belle Epoque

Regina di Palermo e della Belle Epoque A PALAZZO PITTI GLI ABITI DI FRANCA FLORIO NARRANO UNA MODA Regina di Palermo e della Belle Epoque FIRENZE — Il rischio della mostra attuale alla Gallerìa del Costume di Palazzo Pitti, la quinta dalla sua creazione, grazie all'infaticabile direttrice Kirsten Aschengreen Piacenti, era che l'immagine di Franca Florio, protagonista della vita mondana del suo tempo e regina di Palermo tra la fine dell'Ottocento e l'epoca del charleston, prevaricasse la lettura d'un materiale importante per lo studio delle coeve case di moda, dalla celebre Worth di Parigi a quelle del Napoletano e della Sicilia. La mostra, aperta fino a tutto agosto, ha indubbiamente la sua singolarità nel fatto che i sedici abiti, la biancheria, gli accessori, gli abiti infantili, acquistati e donati dalla Cassa di Risparmio di Firenze alla Galleria del Costume, appartennero tutti a una stessa persona. Franca Florio, e ai suoi bambini. E basterebbero le compiaciute cronache mondane dell'Ora, il quotidiano fondato nel 1900 dal marito Ignazio, ultimo rampollo dell'antica famiglia Florio, a restituirci nel parallelo vita-abbtgliamento il clima di un'epoca che scivolava con agitato fasto nella decadenza. Ma avvicinandosi nel 1987 i trent'anni dalla morte di Ignazio, ben tre libri e ora la mostra fiorentina, han fatto dire che questo potrebbe esser chiamato l'anno del Flo¬ rio. La loro storia possiede ogni elemento per convertirsi in tele-novela, anche a limitarsi all'ultima generazione. Lei bellissima, lui debole e dedito alle donne, lei al centro dell'altolocata società di Palermo, comprese le illustri casate degli oriundi anglosassoni, a sostenere l'immagine della famiglia, lui poco dotato di quella capacità imprenditoriale cosi viva dal nonno al padre; la morte quasi Improvvisa della figlia Giovanna per un morbo non definito con certezza, quella a pochi mesi di distanza, e in circostanze misteriose, del piccolo Ignazio, détto Baby Boy, quattro anni. E Giuliana Chesne Dauphlné Griffo ha scritto per il catalogo una viva quanto commossa biografia di Franca Florio partendo dal suoi vestiti. Ma si guardano dunque questi vestiti e la primadonna che 11 indossò si allontana: c'è appena la sensazione che il suo portamento, la sua enigmatica personalità contarono certo più del suo guardaroba, di gusto ma non splendido, a meno che questi abiti accuratamente serbati dall'ultima figlia Giulia, non siano stati quelli più amati, portati quindi di più e allora spariti. Come i gioielli famosi, il celebrato plastron di brillanti, il lungo fUo di perle minute, tutti venduti all'asta a tamponare le falle alla fine del 1925; come il ritratto che al tempo del massimo fulgore di Franca Florio, nel 1901, le fece Giovanni Soldini e di cui oggi non si conosce nemmeno la collocazione. Sul finire dell'Ottocento un abito da sposa doveva essere di manifattura francese, come l'abito di lana da pomeriggio con guarnizioni di merletto e velluto color beige e avorio; ma è la prestigiosa Maison Durand di Palermo a firmare uno dei più affascinanti abiti alla mostra, in velluto rosso, acceso di panie ttes; non manca la presen¬ za torinese (Isnardon) per l'abito in tre pezzi, di vago sapore rinascimentale. Velluto sontuoso agli inizi del secolo, come nell'abito nero ad intaglio guarnito di ciniglia, quello del ritratto di Soldini, e raso di seta per l'abito incrostato di merlettò, con ricami in filo laminato e Strass, firmato Worth. Ancora di Worth uno dei due manti da cerimoniale (l'altro è della Casa milanese Ventura), in velluto di seta damascato. 11 bianco splendente di ricami in Strass fin sullo strascico: a vederlo non eccezionale, ma se merito gli elogi di un'esigente diarista come PJna Whitaker. nel momento in cui la signora siciliana lo indossa per il pranzo al Quirinale, capodanno 1905, certo rese palpabile la febbrile bellezza di Franca Florio, dama di corte della regina Elena, nella disperata corsa mondana fra le corti d'Europa, i teatri, gli yacht, i palazzi gentilizi, che segue la tragedia della perdita dei bambini, le prime crepe nella fortuna familiare. Nelle vetrine, a sancire la supremazia delle manifatture italiane nella biancheria fine Ottocento, 1 copribusto, le sottogonne, le vestaglie, unica eccezione una robe dinterieur, venuta di Francia. In una bacheca gli oggetti che le foto dell'epoca ci hanno consegnato come indispensabili all'eleganza, e all'inquietudine femminili: i ventagli, gli ombrellini «marquise» a manico pieghevole, i fazzolettlni di Bruxelles. Ma anche le scarpe firmate Hellstern & Boa di Parigi: sono da odalisca ed evocano la memorabile festa persiana di Polret, quando, sulla scia del Balletti Russi, l'estroso •couturier» lanciò 1 pantaloni femminili per il suo harem ideato in giardino, tra sfolgorio di luci e zampilli fosforescenti, una notte di giugno del 1911. Lucia Sollazzo Franca Florio a ventisette anni in un'immagine datata 1900

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