Otto cavalieri della nuova pittura

Otto cavalieri della nuova pittura MILANO: DA AFRO A VEDOVA, EST 56 OPERE L'AVVENTURA DI UN GRUPPO Otto cavalieri della nuova pittura MILANO — Nell'attuale cultura della Nostalgia all'italiana, fatta di evocazioni, memorie, resurrezioni, qualcuno potrebbe far rientrare anche la mostra, a cura di Luisa Somainl, al Padiglione d'Arte Contemporanea (fino al 7 luglio; catalogo, di ottima filologia storica e di alta qualità grafica. De Luca-Arnoldo Mondadori), dedicata con 56 opere agli «Otto pittori italiani» (Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato, Vedova), presentatisi come tali alla XXVI Biennale di Venezia del 1952 con il viatico di un libro firmato da Lionello Venturi Certo è che in questo caso 11 risultato non ha alcun sentore di polvere,, ripostiglio o soffitta, per più ragioni. Innanzitutto, la qualità di molte opere, rispondente alla piena felicità creativa in quel momento (la scelta è rigorosamente storica: 1940-56) di alcuni degli Otto, è aita, vitale, aggressiva. Moreni, forse la voce, qui, di più ampia estensione dal basso all'acuto, passa dal vellutati incastri ritmici del mirabile Porto di Antibes della Galleria d'Arte Moderna di Torino — il suo luogo di partenza — alla violenza lancinante di gesto espressionistico dell' Urlo del sole; rivaleggia, per analoghe scelte di linguaggio, con 11 percorso di Vedova, dal secchi, irti Incastri a raggiera neofuturistl alle prime esplosioni gestuali aprenti una strada che dura fino ad oggi con due tappe del Ciclo della protesta e del Ciclo della natura. Su versanti diversi un capolavoro cupamente assoluto come La Siesta di Morlotti (una sorta di Slronl democratizzato dall'acido picassiano) giustifica, con il suo pe&simijsmo esistenziale, le reazioni di rifiuto del tempo, sia «da destra» che «da sinistra», mentre la serie raffinatissima di Afro, uno scomparso sempre più grande nel tempo, sta a rappresentare precocemente l'apertura di discorso Europa-Espresslonlsmo astratto statunitense. Birolli ha tutta la nobiltà del freno posto a una prorompente; natura pittorica dalla sofferenza e intelligenza della ricerca di organizzazione dell'immagine, fino allo sbocco stupendo della Luna nella roggia; altri (Santomaso, Turcato) godono e si compiacciono di una felicità di flusso e di fantasia pittoricostruttiva che potrebbe (dovrebbe) suscitare invidia in tanti d'oggi | ''Inoltre la mostra si contrappone ad altre nostalgie davvero polverose, neonovecentesche e neometafisiche. Infine, attingendo agli archivi (Birolli Afro), mettendo in luce i tratti interni di una società artistica non certo fatta di cavalieri dell'Ideale, ma Incomparabilmente (con l'oggi) più ricca di idee, di Impegnati travagli creativi e culturali di contenuti umani insomma di profilo più alto, l'Iniziativa milanese ha anche il merito di riportare al livello della storia, maggiore o minore non importa, cronache non prive di deformazioni mitiche. Quelle cronache narravano che, nella, casa o casetta dell'arte dell'Italia liberata, che aveva spalancato porte e finestre prima solo,socchiuse ai già anziani Picasso e Mantisse, Chagall e Mirò e — con troppe illusioni sul merito — al loro giovani seguaci di tradizione francese, una generazione dai quarantenni In giù aveva messo in soffitta (ma per taluni con qualche nascosta nostalgia) Carri e Slronl Casorati e De Chirico — non Morandl però —: per «ricostruire», in nome ancora solo dell'Europa, ovvero Parigi. La rivoluzione americana (In realtà anch'essa in gran parte opera di immigrati) era ancora di là dall'orizzonte. Da Milano a Venezia a Roma, un grande confrontarsi partecipare, anche scontrarsi; poi tutti a Parigi; solo Afro Basaldella nel 1950 a New York (scoperta di |_Gorky, De Kooning), con il felice «piazzamento» nella galleria di Catherine Viviano e la chiamata di opere di pochi amici privilegiati. Ma ciò avveniva quando già nella casa o casetta, decorata e arricchita con piena responsabilità e autonomia da artisti che solo vi accoglieva¬ no, su un piano di parità, qualche crìtico-amico, si era affacciato nel 1948 un orco estraneo e cattivo, Stalin-Roderìgo da Castiglia. ovvero Palmiro Togliatti gridando Realismo! Realismo!, arte per il proletariato contro il •formalismo borghese'. Degli abitanti della casetta, alcuni con poco o nulla entusiasmo, Outtuso, Pizzinato. accettarono un compromesso neotradizionalistico fra linguaggio, ideologia, nascente realtà — nel mondo, in Italia — dei blocchi contrapposti. Altri, Birolli innanzitutto, anche Turcato, mantennero e difesero, nel politico, la stessa fede dell'orco, ma rifiutarono 11 compromesso. Birolli ad Afro, 17 novembre 1954: 'Ho chiesto se la mia netta divergenza ideologica sulla questione del realismo era compatibile con la mia, appartenenza al Partito. Luposta: è compatibile. Quando, a proposito della libertà d'interpretazione formale, hanno deciso che era lecita la "deformazione", mi sono arrabbiato del tutto. Ho avvertito che esisteva in gestazione fra gli artisti del mondo un nuovo linguaggio che non aveva più bisogno di deformare e che cosi stando le cose avrebbero rifatto a ritroso tutte quelle esperienze che avevano condannato, restando sempre in ritardo e anche fuori del fenomeno vivente e dialettico dell'arte, che non vuole che si faccia dopo ciò che si doveva fare prima». Ma anche, a livelli assai più squallidi: •£ quando mi son sentito dire, ad esempio, che il mio andare verso il mercato d'America è andare verso il diavolo, non Ho tenuto piti». (Birolli a Santomaso, 28 ottobre 1952). A questo punto, la cronacamito narrava che gli abitanti della casetta, per difendersi dall'orco-realismo, avevano chiamato un Parsifal un saggio, annoso, glorioso criticocavaliere che aveva combattuto per l'arte moderna in Italia, poi in esilio in Francia e negli Stati Uniti Lionello Venturi, che 11 aveva raccolti in otto sotto un'insegna. In realtà abbastanza fumosa, chiamata «astratto-concreto». Questa mostra al Pac non tanto ridimensiona e smitizza, quanto arricchisce di storia e concretezza: con scale di valori nei distinti e complessi linguaggi dei singoli in una determinata fase delie loro vicende artistiche con dati «interni» di un interpersonale, 11 cui livello è più «povero» e quotidiano rispetto ad anni e decenni successivi (ci si dibatte e ci si arrabbia ancora per 1 metri di parete alla Biennale, per il costo di una riproduzione a colorì a carico dell'artista), ma in cui le ragioni dell'arte, del fare e pensare arte, sono sempre e comunque prevalenti sofferte, vissute. Tutt'altro che angeli nell'empireo (al momento dei definitivi contatti c'è l'«aut aut», da Roma, di Afro; «O me, o Cagli»), ma artisti che costruiscono prima di tutto da se stessi la propria posizione nel confront! della cultura, della società, anche delle strutture e delle lotte politiche del loro tempo. Oli Otto, prima si sono identificati cercati (ben consci di disparità fra di loro di storte, di forme, di linguaggi; ma anche di essere tutti nel vivo della cultura d'immagine di quegli anni), poi hanno chiesto a Lionello Venturi le paginette» per il libro 1 cui caratteri di copertina ritornano oggi sul catalogo di Milano. Marco Rosei