Abbado e la London miracolo con Ligeti di Giorgio Pestelli

Abbado e la London miracolo con Ligeti A Firenze: la Mullova, violinista «rivelazione» Abbado e la London miracolo con Ligeti FIRENZE — Fra le rare città toccate nella sua tournée italiana, la London Symphony Orchestra è approdata al Maggio Fiorentino con il suo direttore Claudio Abbado e la rivelazione di una giovane violinista russa, Viktoria Mullova. La serata ha avuto un avvio singolare per la concentrazione immediatamente esatta dal pubblico sul filiforme Lontano di Ligeti: partitura straordinaria, che incarna la situazione tipicamente novecentesca del rifiuto di ogni plasticità, della sfiducia nel segno espressivo; ma non c'è più traccia di sconfòrto e nemmeno di turbamento in questo grado zero dell'articolazione linguistica: quei suoni prolungati che si staccano a fatica dal silenzio delineano un universo magico, dove non dico ogni nota, ma(ogni variazione timbrica, ogni screziatura, ogni condensazione diventano un evento miracoloso, da seguire caso per caso, senza preoccupazioni discorsive. La perfezione sonora dell'orchestra inglese, il celebre dosaggio millimetrico di Abbado hanno realizzato con impressionante consistenza i circa dieci minuti del lavoro. Il pubblico, ritrovandosi in sala dopo il frastuono cittadino e un inopinato temporale, è rimasto un po' sorpreso di quella musica minima; in effeti, Lontano è il contrario della quotidianità, della fretta, dell'assillo organizzativo, e se le abitudini concertistiche lo consentissero è una di quelle partiture che andrebbero ripetute almeno una volta nel corso della stessa sera. Mi il pubblico che ha affollato il Comunale ha poi trovato un abbondante banchetto nel Concerto per violino di Ciaikovski, dove è brillata l'abilità di Viktoria Mullova, uscita dalla scuola di Kogan con una tecnica sicurissima e una grande finezza di sentire. Rispetto alla normale esecuzione gladiatoria del Concerto ciaikovskiano, il suono della Mullova è talvolta magro; ma compensano la qualirà parlante del timbro, la commossa velatura delle mezze tinte: facile intuire la beatitudine sprigionata dalla «canzonetta» centrale, che per la discreta, felpata, ma nitida presenza dell'orchestra guidata da Abbado (il mesto esalare dei clarinetti), ricordava da vicino i momenti più lirici dell'Eugenio Onieghin, acquistano cosi una inedita robustezza di tono. Sorprese anche per l'Ottava Sinfonia di Dvorak, considerata (a ragione) musica minore. Ma suonata cosi! Abbado tira fuori dalla grossa partitura lo spirito della musica da camera il più adatto a Dvorak, caro uomo tranquillo dell'Ottocento. Ovazioni e bis: la Mullova ha suonato con spavalderia un Capriccio di Paganini, Abbado ha lanciato la macchina perfetta della London Symphony in una delle Danze popolari slave di Dvorak (l'unico campo in cui Dvorak è riuscito a superare l'adorato Brahms); esecuzione vorticosa, rutilante, dionisiaca si vorrebbe dire, se Dioniso potesse convivere con la tinta bonaria di fondo, paga di pennacchi e stendardi al vento. Giorgio Pestelli ìbado: al «Maggio» un'altra grande interpretazione

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