Nella nuova partita libanese solo Assad ha un asso vincente

Nella nuova partita libanese solo Assad ha un asso vincente Nella nuova partita libanese solo Assad ha un asso vincente (li tentativo di Arafat di tornare in forze rimette in gioco i fragili equilibri nella regione) Il risorgere della violenza in quel Libano che fu già la «Svizzera del Medio Oriente» (sono ormai tre settimane che fedayn e sciiti di Amai si combattono) è forse il preludio di un nuovo conflitto — o mini-conflitto — prossimo venturo tra Siria e Israele. S'è più volte detto e scritto, non sempre a torto, che l'annosa guerra civile libanese, avvitandosi in una spirale perversa, aveva finito col distruggere ogni logica trasformandosi in una sorta di moto perpetuo della violenza fine a se stessa. Questa volta è diverso. Il 6 aprile A'nfat dichiarò a un giornale del Golfo: «Stiamo tornando nel Libano per regolare i conti e ridisegnare la carta politica della regione». La dichiarazione passò inosservata; la grande stampa occidentale puntava, in quei giorni, i suoi titoli sulla Libia. L'altro ieri Abu Jihad, «ministro della Difesa» dell'Olp, in una lunga intervista al Los Angeles Times ha detto che i fedayn tornati in Libano «sono in numero superiore a quelli là presenti prima dell'attacco israeliano del giugno 1982». (A quel tempo i reparti operativi palestinesi contavano 17 mila uomini). Ed ha aggiunto di avere impartito ordini ai guerriglieri che hanno parenti in Libano e che si trovano in Iraq, nel Sudan, nello Yemen del Nord di rientrare a Beirut nel più breve tempo possibile. n ritomo in forze dei fedayn nel Libano nasce dal matrimonio di interesse tra Amiri Gemayel e Yassir Arafat Il primo, nel dicembre scorso, rifiutò la pax siriana dettata a Damasco da Assad ai signori della guerra libane- si: Walid Jumblatt per i drusi, Nabih Bcrry per gli sciiti di Amai, Rashid Karame per sunniti, Elie Hobeika per le milizie cristiane. Quest'ultimo fu costretto alla fuga e rimpiazzato dall'animoso Shamir Geagea che, però, da solo non avrebbe potuto, alla lunga, resistere alle spallate delle forze al servizio di Assad. Ed ecco, il'7 maggio, Amin Gemayel recarsi a Tunisi per suggellare con Abu Yad, capo dei servizi segreti dell'Olp e braccio destro di Arafat, un accordo già abbozzato con l'intramontabile Abu Ammar. In forza di questo accordo, i fedayn possono rientrare in Libano sbarcando nel porto di Junieh controllato dalle milizie cristiane. In cambio del sostegno a Gemayel contro la Siria e contro Amai, il governo libanese assicura ai fedayn, dovunque essi si trovino, il rinnovo dei passaporti libanesi scaduti, (Non avendo una patria i palestinesi hanno sempre dovuto mendicare passaporti ai fratelli arabi). Assicura altresì piena autonomia operativa ai palestinesi. Arafat, dopo il raid americano sulla Libia, s'è visto costretto a subire l'invito di Burghiba a liberare la Tunisia dalla presenza dei fedayn. A Tunisi rimarrà il quartier generale politico dell'Olp e un ristrettissimo numero di guardie del corpo (dal 24 maggio non ci sono più guerriglieri a Tunisi). Dalla Giordania, dopo il fallimento dell'accordo Hussein-Arafat per una trattativa con Israele, i fedayn se ne stanno andando via alla chetichella. Sicché, piuttosto che disperdere i suoi armati ai quattro venti, Arafat preferisce, con tutti i rischi che ciò comporta, tornare in Libano. Il ritorno dei fedayn di Arafat nel Libano mette in imbarazzo Damasco, non fosse altro perché Gorbaciov ha detto chiaro che vuole la riunificazione dell'Olp (spaccata proprio da Assad nel 1982) ma sotto la leadership di Arafat. D'altra parte, il presidente siriano sa bene che prima o poi gli israeliani lo attaccheranno. Si tratta solo, per Gerusalemme che non può ammettere l'equilibrio delle forze cui sta giungendo la Siria, di trovare un pretesto valido. Quando ciò accadrà, i palestinesi, ancora una volta, saranno i primi ad assorbire l'ondata d'urto delle forze israeliane dando cosi un tempo di respiro ai siriani. (Ed ecco che molti fedayn rientrano in Libano via Damasco). Arafat, che ha visto ieri l'ambasciatore sovietico, combattendo in Libano contro gli sciiti di Amai (rei di aver stretto un patto segreto con Israele che in cambio della liquidazione dei palestinesi garantirebbe loro Beirut Ovest e mano libera nel Libano del Sud) guadagna l'approvazione di un po' tutti i leaders arabi e, sul terreno, trova l'aiuto dei sunniti libanesi i quali dispongono delle milizie dei Morabitun e del neonato «movimento del 6 febbraio» che gli sciiti proclamano di avere sconfitto, in quanto ai drusi, osservano una stretta neutralità che isola Amai dalla quale, in virtù degli abili giuochi di Arafat, sta prendendo le distanze lo sciita «partito di Dio», tlezbollah. Gli sciiti di Amai, da soli, pur disponendo di SO tanks T-54 (regalo della Siria) non potranno mai aver ragione dei fedayn. Formalmente questi ultimi sono inquadrati dai frazionisti di Abu Mussa ma, in fatto, si riconoscono in Arafat. Guerriglieri a parte, i palestinesi del Libano sono mezzo milione: un quinto della popolazione. Solo Assad potrebbe annientare i palestinesi. Se non volesse (o non potesse) farlo è ovvio che gli israeliani si muoveranno per liquidare quei fedayn che, buttati fuori dal Libano nel 1982 (e a caro prezzo), rientrano ora nel già felice Paese dei cedri. E sarà, appunto, la nuova guerra, o mini-guerra. del Medio Oriente. Dopo della quale si ricomincerà a parlare della «necessità» di un regolamento pacifico. Come prima, pegj £Ìo di prima. Igor Ma„. Beni, Arafat, Jumblatt: un tempo alleati ora nemici