Episodio di una lotta gigantesca di Filippo Burzio

Episodio di una lotta gigantesca Episodio di una lotta gigantesca POCHI forse, fra quanti così ardentemente combattono oggi in Italia la lotta fra monarchia e repubblica, si rendono conto che — al disopra della contingente posta in giuoco, e come caso particolare di un fatto generale— questa è un episodio di una lotta gigantesca fra due grandi principi opposti, in cui si dilacera l'umanità occidentale: e cioè fra l'umbratile, pregnante, consolatore senso mistico-religioso, e poeticomagico, della vita e dell'universo, del mistero che la circonda, del divino impulso che, forse, l'anima e la dirige, e lo squallido senso razionalistico-matericlistico della « terrestrità, senza sfondi, di cui sono forme ed aspetti sia il laicismo borghese, che il marxismo proletario. Ora, noi siamo vieppiù persuasi che la felicità della vita umana sia affidata al primo senso, in cui ci sembra risiedere l'intuizione più profonda della realtà cosmica; e che il diffondersi del razionalismo materialistico in questi ultimi secoli sia la causa precipua della crescente infelicità degli uomini, e della crisi di civiltà cui essa dà luogo. Di questo primo modo, poettco-mistico, d'intuire la realtà e di viver la vita, il culto delle tradizioni, la pietà del passato, il senso detta continuità storica, l'amore dei simboli secolari in cui quasi s'incarna lo Stato, la gioia di operare nel solco e nella casa dei padri, piena di care e sacre memorie, sono, a nostro avvito, un aspetto importante, e forse essenziale: vitamine mistiche e vitamine storiche (le quali insieme resero ossigenata e serena e vivificante l'atmosfera spirituale in cui vissero i nostri avi) ci sembrano difficilmente dissociabili, e non senza danno reciproco. Riconosciamo però che si può essere di diverso avviso: e l'atteggiamento democristiano nei riguardi della questione istituzionale ne è prova. I democristiani italiani hanno ritenuto, a maggioranza, che la causa monarchica potesse venire senza difficoltà separata da quella religiosa, che è la loro. La tesi, ripeto, sia storicamente che in astratto è difendibile: basta pensare alle repubbliche medioevali, che eleggevano Cristo a loro re. Ma già quelle antiche repubbliche (e non lo dimentichi Umberto Calosso, che un po' troppo facilmente se ne fa difensore) finirono presto nell'impotenza e nell'anarchia, evocando irresistibilmente, a conclusione e rimedio delle feroci e sterili lotte intestine, la monarchia; sia nazionale, sia, purtroppo, straniera. Sicché, la risoluta opposizione della forte minoranza monarchica democristiana, e anche qualche esitazione del loro uomo migliore, il De Gasperi, ci sembrano assai significative al riguardo: non solo per gli interessi conservatori che vi confluiscono, non solo per l'istinto della prudenza politica, che teme — soprattutto in un popolo come l'italiano, e in un momento come questo — ii salto nel buio, ma anche per i motivi etico-sentimentali che li ispirano, e che formano l'argomento dell'attuale nostro discorso. Arduo e lungo e forse anacronistico è, oltre tutto, il salto aliindietro fino alle religiose e mistiche repubbliche medioevali, scavalcando secoli di vita e di tradizione monarchica, a cui il senso della continuità storica è ormai spontaneamente connesso: e i modelli più vicini e tentanti sono invece ben diversi modelli di repubbliche laiche, quando non anticlericali e irreligiose: repubblica francese, repubblica sovietica. Forse hanno anche giocato, nella grave decisione democristiana, il senso e l'orgoglio della grande tradizione cattolica che dovrebbe bastare da sola (essi pensano) a nutrire le linfe vitali del popolo nostro: si può persino pensare che in qualche zona quasi inconsciamente abbia influito l'avversione a una tradizione sabauda recente che — dalla legge Siccardi alla breccia di Porta Pia — della tradizione cattolica apparve antagonista; sicché potrebbe essere venuto il momento della rivincita (..J. Quello che è certo è un'altra cosa: è che — se la decisione democristiana dovesse il 2 giugno far traboccare la bilancia — sarebbe decisa la dissociazione, in Italia, fra vitamine mistiche e vitamine storiche, le quali in Inghilterra rimangono felicemente congiunte; e la nostra tradizione nazionale verrebbe privata di un secolare e prestigioso elemento. Noi stiamo forse per abbattere un grande albero secolare, alla cui ombra, noi generazioni piemontesi da 1000 anni, noi generazioni italiane da 100 anni, eravamo abituati (...). Davanti a questa vecchia dinastia, a questo miracolo storico che durava da dieci secoli, io — e chi sa quanti altri con me — sono nella disposizion d'animo del Guicciardini, quando diceva di sentirsi spinto a levare il cappello davanti a una quercia robusta, a un uomo vecchio; tanta mirabile somma di sforzi riusciti, di ostacoli vinti, di circostanze piegate, di memorie accumulate rappresentava per lui quella durata. Ed è con profonda spontaneità, anzi con certezza di affinità vitale, che sono tratto a paragonare la ingenerosa frenesia di distruggere, di cui danno prova oggi molti popoli continentali, alla trista voluttà del disboscare Un albero dopo l'altro, un faggeto dopo un querceto, uno per uno sembra niente, ciascuna distruzione invoca la sua ragione particolare; poi alla fine ci si accorge che la terra è diventata calva e inaridita, che i fianchi dei monti franano, che il regime delle acque si è fatto pericolosamente torrentizio, che il clima è peggiorato e la stessa fibra umana alterata. Distruggete, distruggete i vecchi alberi nella foresta della storia, vi accorgerete un giorno, quando sarà troppo tardi, di aver fatto un pessimo affare. Il bivio a cui l'umanità si trova oggi dinnanzi è tremendo: solo se sapremo dominare, e volgere a fini spirituali, l dèmoni della rivoluzione industriale, noi potremo fare del pianeta una reggia non eccessivamente popolata, ricca di piante, d'acque e di verde, abitata da animali compagni e amici dell'uomo, in cui gli uomini — artigiani o ministri — abbiano la loro casa fra le pinete e si sentano tanti piccoli re. Di questo destino che da noi dipende, anche la decisione che il 2 giugno gl'Italiani dovranno prendere è un elemento; il quale dirà se noi siamo per il senso religioso del vivere o per quello profano. Perché ancora una volta, o repubblicani, la repubblica che ci proponete, che la fatalità stessa delle cose propone ed impone, sarà tutto fuor che un corpo mistico, come mistica comunione è la Chiesa; sarà invece una sorta di casa .novecento; una .macchina per abitare., come diceva Le Corbusier: ora in questi dadi razionalizzati, e tutti eguali, l'uomo alla lunga, credetelo, non ci vive bene. La vita oggi, sopra la terra, è già fin troppo dissacrata ed atomizzata; gli uomini d'oggi, nelle metropoli, sono un pulviscolo umano senza radici. senza continuità, senza ricordi che vadano oltre il limite di una generazione: ora sulla sabbia e con la polvere non si costruisce nulla di buono, né di stabile; senza l'humus storico ricco di succhi, di legami e di intrichi, di memorie ancestrali non si danno uomini integri e veri, belle piante radicate nel suolo ed erette nel cielo. Filippo Burzio

Persone citate: De Gasperi, Guicciardini, Le Corbusier, Siccardi, Umberto Calosso

Luoghi citati: Inghilterra, Italia