Moreau dei fantasmi d'amore

Moreau dei fantasmi d'amore a ogni simbolismo da B6cklin al primo De Chirico, frammenti cadaverici, un piede, una mano aggrappata alla roccia, sono dipinti con macabro iperrealismo da atlante anatomico. A lato, si erge il Kitsch integrale di una colonna d'alabastro reggente un vaso fra classico e barbarico, un motivo che Moreau ripeterà infinite volte. Amore e morte, onirismo romantico della natura e •filosofia dell'arredamentocome mostruoso magazzino di ogni esotismo e snobismo (per Praz, che la sapeva lunga in proposito, Moreau non è un pittore, ma un decoratore che adora ogni voluttuoso e insanguinato esotismo): il «lato d'ombra- del capitalismo di Napoleone III, evocato dal fantasma sociale del '48, e il suo •gusto- come complesso d'inferiorità nei confronti degli antichi fasti aristocratici, avevano trovato in Moreau l'immagine e l'immaginario compositi e lussuriosi da contrapporre alla materialità quotidiana di Courbet e di Manet. V caricaturista Gilbert litografò A ZURIGO CENTOCINQUANTA DIPINTI RACCONTANO UN MITO Moreau dei fantasmi d'amore In mostra il meglio dell'atelier-museo di Parigi accanto a invìi da tutto il mondo: da «Edipo e la Sfinge» a «Orfeo alla tomba di Euridice» - Un irripetibile impasto di perbenismo borghese e di sogni lussuriosi - Fra occhio e psiche, un repertorio di forme, linguaggi e modelli da Occidente a Oriente, dal '400 all'800 protoromantico - Furbizia o intuizione? ZURIGO — André Breton sognava di entrare, di notte, con un'arcaica lanterna, nel Museo Moreau di Parigi, per ritrovarvi il •purissimo incantesimo» che, a sedici anni, aveva impresso un marchio indelebile al suo modo di amare, attraverso un mito unico e monoforme, personificato in più immagini-attrici: Salomé. Elena, Dalila, la Chimera, Semele (e Andromeda, la Peri, Saffo, Desdemona, Messalina, Pasifae. Leda, la dama del Liocorno, Galateo, le Erinni; nonché, dati i tempi e la cultura di Moreau, Maria Mistico Fiore). E' probabile che Breton sapesse che Freud, nel suo gabinetto di lavoro viennese in Berggasse, sopra il prototipo di ogni lettino psicoanalitico, tenesse fianco fianco un calco del bassorilievo della Oradiva e una riproduzione della prima versione di Edipo e la Sfinge di Ingres, del 1808. Sessant'anni dopo, nel Salo n del 1864, il vecchio maestro laureato espose una nuova versione, o meglio una variante speculare, fra l'indifferema di un pubblico e di una critica già adusi da un ventennio al realismo di Courbet e che un anno prima, ai Refusés, avevano visto Napoleone III soffermarsi davanti al Déjeuner sur l'herbe di Manet. Pubblico e critica, da non molto reduci dal processo ai Fleurs du mal di Baudelaire e da solo due anni lettori della Salammbo di Flaubert, non rimasero invece per nulla indifferenti di fronte a un altro Edipo e la Sfinge, presentato da un quasi quarantenne ancora poco noto (anche se esponeva al Salon da più di un decennio), Gustave Moreau. L'enorme tela — Moreau ha sempre tradotto i suoi fantasmi erotici, i suoi mondi surreali in formati imponenti o in quelli minimi e preziosi dell'acquerello e guazzo —, premiata e acquistata dal principe Gerolamo Bonaparte, modernamente pervenuta al Metropolitan di New York, campeggia ora al Kunsthaus di Zurigo (fino al 25 maggio), dopo il primo gruppo di opere dedicato agli esordii, nell'imponente rassegna di quasi 150 dipinti. Essa abbina il meglio dell'ateliermuseo di Parigi (-Io amo la mia arte al punto che sarei felice solo se potessi esercitarla solamente per me stesso ■) a invii da tutto il mondo, da Chicago a Ottawa, da Francoforte al Giappone. A differenza del pensoso mite di Ingres (a cui Moreau rende esplicito omaggio nel profilo da cammeo della Sfinge), il sogno di Moreau assume su di sé ed esprime le vocazioni più segrete e trasgressive della borghesia trionfante: la Sfinge si aggrappa e artiglia il petto statuario dell'apollineo Edipo, mimando un esplicito atto d'amore. Ai piedi del fosco paesaggio rupestre, modello Gustave Moreau: «Sansone e Dalila» (1882. particolare) e, sorto, «Autoritratto» (1885 - 1890), due tra le opere in mostra al Kunsthaus di Zurìgo fino al 25 maggio la Sfinge con la testa di Moreau che turba i sonni di Courbet. Già da dieci anni Moreau lavorava ai Pretendenti, Grand Opera che le dimensioni confinano fra le mura del Museo Moreau, in cui, sulla base pittorica di Géricault e di Delacroix, è apprestato ogni pullulante repertorio per il futuro. Da allora il pittore, irripetibile impasto nel •privato- di sogni lussuriosi e proibiti e di perbenismo borgliese, vivente con la madre nella propria casa-studio, futuro museo, e per quasi trent'anni con l'amante tenuta segreta in una casa vicina, riveste di grumi e colature, graffiture e trasparenze e acidità oppiacee, di preziosità soffocate e soffocanti, ogni sogno decadente mistico-esotico. E' indubbiamente, con tutta la laboriosa artificialità del suo antinaturalismo, la fonte prima di molti linguaggi simbolizzanti e surreali del nostro secolo, da Denis e Rouault fino a Max Ernst: dal lato pittorico, nelle ultime scansioni della mostra, egli arriva a certi piccoli acquerelli e olii su tela, cartone, legno, impropriamente definiti •astratti-, ma certe attingenti alla pura visionarietà cromatica. L'operazione di Moreau è densa di succhi letterari e misteriosofici, con la componente d'epoca del misticismo sincretistico; basti rilevare nella celebre Apparizione, in cui Huysmans vedeva l'evocazione della «divinità dell'indistruttibile voluttà», della -Dea dell'immortale isteria., la compresenza fantasmatica, a graffito, di un simulacro fra la Dea Kali e Diana Efesia e di un Dìo Padre circondato dal tetramorfo degli Evangelisti. Ma ciò che più colpisce, passando da un'opera all'altra, con una sorta di oppressivo e pur affascinante senso di drogatura fra occhio e psiche, è anche, in questa operazione, il repertorio di forme e linguaggi e modelli, vagabondante da Occidente a Oriente, dal '400 all'800 protoromantico e preraffaellita. Anche da questo lato, Moreau sembra precorrere, per furbizia o intuizione, tante mode critiche e rivalutative del nostro secolo, fra metafisica e surrealismo. Risale addirittura ai maestri tedeschi e svizzeri del primo '500, si ricorda di Elsheimer e Feti in certe piccole scene con S. Sebastiano, interpreta in modo alquanto perverso Rembrandt come visionario rosacrociano: ma soprattutto, con assoluta coerenza, nel momento dell'esaltazione delle stampe giapponesi da parte di Impressionisti e Postimpressionisti, contrappone da perfetto dandy, quale era, le sue squisite variazioni sulla miniatura persiana, le sue dee ed eroine classiche e bibliche e apparizioni angeliche dal volto indù e dagli attributi di baiadere: fra architetture rimescolanti la Ionia con Bisanzio e quella che allora si chiamava la Cocincina, o in scenari di fantanatura dove, assai presuntuosamente, Leonardo dà la mano a Turner e Bonington. Fra le dita di queste baiadere decadentistiche, il Cantico dei Cantici o le Mille e Una Notte fanno uniformemente vibrare l'arpa di Orfeo e di Saffo. Morta l'amica nel 1890. sulla tomba nel cimitero di Montmartre, vicina e simile a quella di famiglia, fa incidere solo l'iniziale del suo nome, Adelaide, e quella del proprio, Gustave. Un anno dopo, dipinge -ad memoriam- Orfeo alla tomba di Euridice. // terragno, concretissimo Renoir lo giudicava •un poltrone», che voleva ingraziar¬ si i clienti ebrei dipingendo con l'oro: ma, assieme a Redon e Rouault, anche i suoi allievi all'Académie e futuri fauves, Matisse, Marquet, Camoin, Manguin, lo ammiravano e amavano. Quanto a lui, nella sua casa-museo, che Breton definisce insieme tempio e luogo del Maligno, riceveva volentieri un giovane pittore amante dei trucchi magici, delle invenzioni fantastiche e. di lì a poco, di una nuovissima fabbrica di fantasmi in movimento, George Mélìès. Marco Rosei

Luoghi citati: Chicago, Francoforte, Giappone, New York, Ottawa, Parigi, Zurigo, Zurigo Centocinquanta Dipinti