De Mita, la grinta e il dubbio

De Mita, la grinta e il dubbio De Mita, la grinta e il dubbio Ciriaco De Mita, classe 1928, partecipò per la prima volta a un congresso della de nel 1954; nel 1969 era vicesegretario del partito; nel 1973 era ministro. Eppure, quando nel 1982 fu eletto segretario, molti parlarono di un uomo nuovo, e quasi di un ricambio generazionale. Che cosa rendeva De Mita diverso dai suoi predecessori (l'ultimo dei quali era stato Flaminio Piccoli) e comunque dai suoi colleglli della direzione de? Qualcuno disse la «grinta», quel modo italiano di definire qualcosa di positivo, ma anche di ambiguo, nel carattere di una persona: insieme sicurezza e arroganza, consapevolezza delle proprie buone ragioni e prevaricazione su quelle altrui. Forse era quello che ci voleva, per ridare slancio al partito democristiano, logorato da un troppo lungo potere e sfidato, non più tanto dai comunisti, quanto dagli alleati-rivali del psi di Craxi. Altri sottolinearono piuttosto un fondo d'inquietudini culturali e politiche, o anche d'incertezze, coltivate non senza un qualche compiacimento intellettuale nei lunghi anni dell'attesa, o della «partecipazione al dibattito», e infine messe alla prova dall'assunzione diretta della leadership. Paradossalmente, le due interpretazioni non si escludevano a vicenda. Ma allora chi era, chi è, Ciriaco De Mita? L'uomo del rilancio della de o il gestore tormentato del suo declino storico? Un nuovo De Gasperi o un erede, nonostante tutto, del fatalismo di Moro? Interrogativi Quattro anni dopo la sua elezione a segretario, e alla vi gilia di un nuovo congresso dcmocri.itiano, che lo vede ancora protagonista, questi interrogativi restano aperti. Perciò si legge con particolare interesse la lunga e densa intervista che Arrigo Levi gli ha dedicato nella ormai classica serie di Laterza (Intervista sulla de). Levi porta avanti, in tal modo, un suo studio sui cambiamenti della realtà italiana che è giunto al quarto volume e nel quale la riflessione sugli orientamenti di fondo del «sistema» si accompagna a una particolare, specifica attenzione alla «questione democristiana». Fra le opposte caratteristiche che vengono attribuite a De Mita, quella che a me pare emerga con maggior nettezza è la problematicità. Lui stesso usa molto spesso la parola «ricerca». La politica come «ricerca». Naturalmente è il contrario esatto della politica come certezza o dogma e, più ancora, della politica come potere. E va da sé che tutto ciò è positivo: qui sta anche la radice della «laicità» di De Mita, ciò che ne fa indubbiamente il più «laico» fra i leader democristiani, dopo De Gasperi. Ma resta da vedere come tutto questo cercare poi si traduca in una strategia operativa, che è pur sempre il traguardo necessario dell'attività politica. Ancorché incalzato dalle domande di Levi, in un'intervista che assume spesso l'aspetto di un contraddittorio intellettuale. De Mita stenta, a mio avviso, a far emergere una proposta globale che sia davvero concreta, per il suo partito e per il Paese. Anche se d, a volte, molto deciso nel sostenere le sue tesi (ecco l'impasto paradossale tra una certa durezza di atteggiamenti un fondo pensoso, anche troppo). Il ragionamento politico di De Mita, sintetizzando più che si può, e grosso modo il seguente. Non esiste una crisi della de, ma una crisi del sistema, cioè di tutti i partiti, nella loro capacità di rappresentanza della domanda popolare. Da questa crisi si esce istituendo nuove «regole». Se il partito comunista partecipa con convinzione e coerenza alla rifondazione del sistema, esso diventa, non solo nelle intenzioni, ma nella realtà politica italiana, una forza potenziale di governo, in alternativa alla de. E' la famosa «democrazia compiuta». Tra psi e pei Le nuove «regole» dovrebbero consistere non tanto in una riforma istituzionale o della legge elettorale, ma nel fatto, par di capire, che la de e il pei dovrebbero presentarsi agli elettori con un preciso programma e, più ancora, con una precisa indicazione di quelli che sarebbero i loro alleati di governo. E' chiaro che questo è un grosso nodo. I socialisti e i laici dovrebbero dire, in via preventiva, se pensano di stare con i democristiani o con i comunisti. Naturalmente essi si riservano anche di non stare con nessuno, e soprattutto di modificare, se gli riesce, un quadro complessivo che li rende subalterni d<.gii uni o degli altri. E infatti questa proposta di De Mita, apparentemente ovvia ma in realtà astratta, è stata completamente disattesa da Craxi, che si accinge a compiere tre anni alla guida del governo. Non senza, occorre dire, un'onesta collaborazione della de. tante che Forlani. vice di Craxi al governo e già antagonista di De Mita nel partito, può dire che la sua politica e quella del segretario, di fatto, s'identificano. Ma su questo e altro leggeremo cronache e commenti nell'ormai imminente congresso. Circa il libro, va detto ancora che esso è molto interessante anche sul piano biografico. C'è il ragazzo di Nusco, in provincia di Avellino; ci sono i ricordi, molto vivi, dei primi approcci con la politica: ci sono pezzi di vita di un uomo complesso, a cui non fanno difetto la buona fede e la forza del carattere. A|do RJM0 LIBRO-INTERVISTA DI ARRIGO LEVI ALLA VIGILIA DEL CONGRESSO DC

Luoghi citati: Avellino, Nusco