Suicidio terrorista

Suicidio terrorista RAYMOND ARON: IL SECOLO FERITO Suicidio terrorista Fino a pochi anni fa il terrorismo era inserito in una classificazione' di prevalente, per non dire esclusiva, politica «interna». Presupponeva la competenza congiunta dei ministri dell'Interno e della Giustizia (quando poi, come in certi Stati dell'Occidente, le due funzioni non siano addirittura identificate). Era equivalente, o prcss'a poco, a delinquenza e criminalità (in certi casi, come l'Italia, investiva anche sfere attigue come la mafia, singolare variante nazionale del terrorismo, intrecciata alla droga). Assumeva colori politici definiti solo quando si identificava con la riscossa delle etnìe minoritarie, gli irlandesi nell'Ulster, i baschi, i corsi, o coi sussulti di popoli dispersi o smembrati come gli armeni (sul piano delle suggestioni della memoria, il terrorismo si era immedesimato nella storia di una parte ben definita d'Europa, con l'anarchismo: pagina sotto ogni aspetto chiusa). Tutte categorie, destinate a essere sconvolte dalle espcrien^ ze degli ultimi anni o decenni 11 terrorismo internazionale — con cui l'Europa vive ormai in un drammatico contatto pressoché quotidiano — ha lacera to quegli schemi, ha liquidato quelle facili e sommarie catalogazioni. Lo intuì, con la consueta lucida e disincantata penetrazione, Raymond Aron. Nelle pagine, pagine singolarmente e suggestivamente incomplete del suo volume La dentièra anne'a du siede, di cui esce in questi giorni la traduzione italiana da Mondadori, curata da Oreste del Buono, il grande pensatore, che si proclamava «equidistante fra Machiavelli e Marx», ha osservato che «i Paesi industrializzati più avan zati si guardano dallo scontrarsi direttamente, per evitare la scalata agli estremi della guerra nucleare. Ma la violenza — quella dei rivoluzionari, quella dei terroristi — occupa un gran posto nella rivalità delle due superpotenze, anche quando queste non impegnano le proprie forze arma- Più di trentanni dopo, e nel tramonto della sua giornata di spectateur engagé (prove niente dal marxismo e poi sci smatico in nome della ragione tutta intera, critico severo del la contestazione e poi invocato da Althusser, sempre estraneo alle stanze del potere e mai «confidente nella provvidenza» come egli amava sottolineare) Aron tornava alla sua formul del saggio del '47 sul «grande scisma'): «pace impossibile, guerra improbabile». «Le due potenze che sole potrebbero fare scoppiare la grande guerra sono insieme sature e sicure, per quanto possa essere sicuro uno Stato in un'epoca in cui a un missile basta una mezz'ora per coprire la distanza fra la base e New York (o Mosca)». Sono parole dell'ultimo libro ma potrebbero essere, con le necessarie varianti sulla distanza, parole del 1947. Aron non credette mai ali; perennità della guerra fredda, e ai conscguenti schematismi e manicheismi. Ma non ere dette mai neppure alle illusioni e ai fantasmi di una disten sione permanente o garantita. Non fu mai né filosovietico (neanche ai tempi delle sue esperienze marxiste: fra i pochi a capire ante litteram l'uragano hitleriano e a non condì viderc gli inganni del '39 sull'appeasement nazi-sovietico) né filo-americano (neanche quando considerò come «test» del residuo coraggio europeo l'adesione italo-anglo-tedesca agi euromissili del '79, che condi vise). Sentì sempre la politica come forza, appena frenata dalla ragione (Machiavelli è lo scrittore più citato nei suoi Mémoires), ma non gli sfuggì nessuna delle componenti in separabili dalla decadenza del l'Europa: o meglio dalla sua «impotenza», come egli la chiamò a proposito dell'incapacità ad elaborare una difesa comune. Aron non ha fatto in tem po a vedere gli sviluppi, e le drammatiche minacce, del terrorismo internazionale. Ebreo con una lunga esperienza dell Germania di Weimar e in quella del primo nazismo, ma ebreo razionale, non chiesasti co, non messianico, seguace d: una morale integralmente kan tiana, ultimo dei grandi illuministi di questo secolo, Aron è riuscito appena a salutare 3 Camp David, una delle poche grandi date nella storia di questo secolo. «Sono uno dei milioni di spettatori che avvertirono la grandezza dell'evento, nel momento stesso in cui Soda! scese dal suo aereo e mise piede sulla terra degli ebrei. Nel 1982 possiamo dire che la sua visita a Gerusalemme costò la vita a Sudai, il primo a osare». E l'assassinio di Sadat, cui applaudì sia Ghcddafi sia Arafat, apparve ad Aron come "'inizio di quella fase di destabilizzazione terroristica che si protende oggi sull'Europa con una forza che è poco definire nquietante. Raymond Aron in una ca(Copyright N.Y. Revtew of Books OpeTerrorismo che alimenta, esaspera, ritma la «rivalità» fra le superpotenze: anche quando non e direttamente incoraggiato o favorito da nessuna di esse. La guerra Iran-Iralc, per esempio, sfugge — e Aron lo sottolinea — a qualsiasi interesse dei blocchi. E il fondamentalismo islamico, che è certamente la radice della svolta terroristica, si muove su un piano che non ha niente a che fare né con l'irredentismo palestinese (in precedenza sfruttato dall'Unione Sovietica) né con i filoni di rivolta alimentati dalla Siria, il solo alleato dell'Urss in Medio Oriente che Aron giudichi «relativamente sicuro» (per Mosca). La verità è che il «sistema interstatale», come lo chiama Aron, cioè la logica di potenza, contraddice la «società internazionale» e le sue regole. Pace e guerra (il tema fondamentale di tanta parte della speculazione di Aron, il titolo di vari suoi libri) non passa più attraverso i confini fra le nazioni, e gli Stati, ma dentro le nazioni e gli Stati. «In mancanza di sanzioni, le leggi del diritto delle genti sono aricatura di David lavine pera Mundi e per l'Italia .La Stampa*) solo chimere ancora più delle leggi naturali». La dissoluzione di un diritto internazionale, capace di frenare la concorrenza e la lotta fra i blocchi, appare ad Aron come la più grave minaccia alla civiltà nel tramonto di questo secolo (egli, anti-Spengler su tutto, non ama parlare di «fine del secolo»: come razionalista, rifiuta ogni millenarismo). E il punto di partenza di questo crollo del diritto internazionale — che aveva resistito anche alla guerra fredda e anche a Stalin — può essere identificato nel sequestro dei diplomatici americani a Teheran (fine '79) e nell'inizio di una spirale terroristica, sufficiente a far cadere un Presidente americano e a innescare il nuovo ciclo dell'orgogliosa e perentoria iniziativa «imperiale» di Rcagan. Vidi Aron l'ultima volta, all'ambasciata d'Italia a Parigi, nel febbraio '82 (ero presidente del Consiglio). L'avevo conosciuto, sempre a Parigi, press'a poco vent'anni prima. Era venuto perfino alla Sorbona, lui tutt'altto che crociano, per un mio ricordo di Croce nel '66. Era pessimista su tutto, anche sul domani della politica americana. Scartava l'ipotesi di una guerra fra le superpotenze, ma vedeva sempre più potenti i tischi di una destabilizzazione completa del mondo, tale da tendere inutili gli stessi sforzi di equilibrio militare. Anche senza conflitto nucleare non escludeva l'ipotesi di quello che egli amava chiamare «un suicidio comune». La rinuncia a nuove norme di diritto internazionale, anche contro il terrorismo, gli appariva come un invito al suicidio: suicidio comune, appunto, all'Est e all'Ovest. Giovanni Spadolini