Pochi doc in un mare di uva

Pochi doc ira ynmqre eli uva La riscossa del vino buono dopo la tragedia del metanolo: che si fa al Sud Pochi doc ira ynmqre eli uva La Puglia ha il primato della produzione di vino: 12 milioni di ettolitri - Le enormi rese dei vitigni da tavola inducono nella tentazione di vinificare fuorilegge - Ma nel Meridione resistono isole di alta qualità: dal Greco di Tufo al Fiano in Campania, al marsala del Trapanese in Sicilia □ AL NOSTRO INVIATO LECCE — -Mi sento un predicatore nel deserto. Uno che guarda ancora alla luna per imbottigliare. Da queste parti troppi ormai fanno i conti soltanto in termini di navi cisterna e migliaia di ettolitri. Lo scandalo del metanolo è nato anche per questa mentalità che si credeva vincente e ha consentito rapidi arricchimenti-. Salvatore Leone De Castris, presidente della Camera di commercio di Lecce e titolare di una delle più antiche case vinicole del Salento (7 miliardi di fatturato. 35% dall'export), spiega cosi l'evoluzione della viticoltura pugliese: «Siamo sempre stati i grandi donatori di sangue dei vini anemici del Nord. Le fortune di molti celebri nomi si sono basate sui nostri vini da taglio. Una volta gli emissari dei grandi inbottigliatori arrivavano prima della vendemmia, comperavano l'uva ancora sulla vite e ne curavano la vinificazione. Oggi invece ci sono le cantine sociali e i grandi commercianti, chi compera rischia meno, trova il vino già pronto, discute solo sul prezzo e spesso non sa o non vuol sapere da dove arriva'. La Puglia con oltre 12 milioni di ettolitri è la prima regione vinicola italiana. Un primato destinato a consolidarsi: nel Foggiano, nell'entroterra di Barletta e Trani, tra Ostuni, Martina Franca e Manduria i tradizionali vigneti ad alberello di Negro Amaro. Primitivo, Malvasia nera stanno lasciando il posto al tendone con nuovi vitigni (Sauvignon e Pinot). Le rese sono aumentate a dismisura. In certe zone irrigate si raccolgono tra i 500 e i 600 quintali di uva da tavola per ettaro. Quella che non riesce ad essere assorbita dal mercato come primizia, finisce in cantina. La legge ne proibisce la vinificazione ma i controlli, ammette Leone De Castris: -sono praticamente inesistenti*. Se ne ricava un mosto di 6/7 gradi che per avere il diritto di essere chiamato vino ha bisogno di .sostegni»: zucchero o alcolizzazione. E la Puglia dei primati ha anche quello della minor presenza di vini a doc: solo 200 mila ettolitri l'anno, meno del 2 per cento. E' purtroppo una costante negativa di tutto il Sud. Troviamo infatti il 59 per cento dei doc al Nord, il 33% al Centro e solo l'8% al Meridione. Il viaggio nelle cantine italiane alla scoperta del «vino buono alla riscossa, sì conclude quindi tra le poche isole di qualità di vitivinicolture ancora troppo condizionate dalla quantità. In Campania emerge il nome dei fratelli Walter e Antonio Mastroberardino con azienda ad Atripalda in provincia di Avellino,. sulle falde dell'Appennino irpino a oriente del Vesuvio. «Ci chiamano i vignaioli archeologi perché abbiamo riscoperto alcuni vitigni che venivano coltivati nelle nostre zone in epoca romana — spiegano i Mastroberardino che producono 850 mila bottiglie l'anno. 40 per cento all'estero —, il delicato Fiano già citato da Plinio e il Greco di Tufo-, Dall'uva Aglianico nasce il Taurasi, un rosso di nerbo da grande invecchiamento. -Stiamo ricevendo più ordini di prima — ammettono nell'azienda di Atripalda. fondata nel 1878 —; entro pochi mesi esauriremo le scorte. Gli Stati Uniti da soli assorbono duecentomila bottiglie. Per scelta mandiamo i nostri vini soltanto nei ristoranti di buona categoria, abbiamo preferito restar fuori dalle vendite nei supermercati-. Sui terrazzamenti di Salina, un'isola delle Eolie, Carlo Hauner. un architetto bresciano, ha costruito da vent'anni un piccolo regno enologico. -Accanto agli arbusti di capperi ho pensato di reintrodurre la Malvasia: non sono un tecnico ma leggo i poeti greci e so di quanto queste isole fossero apprezzate per i loro vini-. Oggi della sua aromatica Malvasia delle Lipari, Hauner produce 24 mila bottiglie, tutte prenotate anno per anno a circa 12 mila lire l'una. -Ne mando il 60 per cento all'estero. Le mie bottiglie sono finite anche a un pranzo ufficiale del Congresso degli Stati Uniti-, Nel podere di 16 ettari lavorano 15 persone. -All'inizio tentai una cooperativa ma da queste parti è difficile mettere d'ac¬ cordo più teste-. Sempre in Sicilia, ma più a Sud. nel cuore del Trapanese -predica il suo verbo enologico- Mario De Bartoli, discendente della famiglia Pellegrino, che si autodefinisce: «rifondatore del Marsala vergine sema aggiunte di alcol e mosto cotto come hanno imposto gli inglesi agli inizi dell'SOO-. Il suo giudizio sull'enologia siciliana è schietto: -Troppo spesso le cantine sociali funzionano da poli di attrazione dei contributi statali e della Cee. Non si guarda alla produzione ma ai risultati burocratici-assistenziali. La mia azienda non ha mai preso soldi dallo Stato, rischio in proprio e per questo c'è chi mi considera un po'pazzo-. Mario De Bartoli produce un «Vecchio Samperl. e il Marsala superiore doc, rispettivamente invecchiati 10 e 20 anni. Vini che hanno trovato un mercato in Europa e negli Stati Uniti a prezzi da amatore: 14 e 24 mila lire a bottiglia. -Ho anche un Cent'anni riserva a 18 gradi naturali che vendo, ma non corrisponde a un calcolo economico, a 34 mila lire-. Esempi di enologia di qualità in una Sicilia che produce oltre 10 milioni di ettolitri di vino con sole 12 doc (circa 300 mila ettolitri). Alcune delle etichette più famose non hanno però utilizzato la normativa delle denominazioni di origine controllata, preferendo puntare sul vino da tavola garantito dal nome della casa. Tra queste: il Regalealì del Conte Tasca d'Almerita. il Donnafugata della Tenuta Contessa Entellina, il Feudo dei Fiori della cantina Settesoli di Menfi. Anche la società Corvo di Salaparuta con stabilimento a Casteldaccia. nel Palermitano, non ha vini a doc: -Abbiamo il prestigio storico della marca — spiega Franco Manca, direttore marketing —. Nell'ultima campagna pubblicitaria il nostro Corvo è abbinato al biscione dell'Alfa Romeeo e al leone di Venezia. Comperia¬ mo uva dalle migliori zone dell'isola e produciamo 9 milioni di bottiglie: Corvo bianco, rosso, Colomba platino e Spumante brut, che per quasi la metà vanno all'estero-. La Corvo del Duca di Salaparuta è controllata dall'Espi. un ente regionale di promozione industriale. -Pensiamo di essere l'unica azienda pubblica siciliana in attivodicono con orgoglio alla Corvo che ha chiuso il bilancio '85 con un utile di 2 miliardi. Il ruolo dei capitali pubblici nell'isola è preponderante. Ci sono 150 cooperative che controllano il 95 per cento della produzione. La Sicilia fu anche tra le prime regioni a dotarsi negli Anni Cinquanta di un Istituto della vite e del vino con compiti di promozione, controllo e guida della viticoltura. L'ente però si è ben presto arenato diventando un dispensatore di contributi e agevolazioni. Dal luglio '85. dopo anni di commissariamento, è stato nominato un nuovo Consiglio di amministrazione. Lo presiede il barone Diego Pianeta, imprenditore con interessi in vari campi. -Siamo decisi a riprendere i ruoli originari. Abbiamo 70 dipendenti e un bilancio di 3,5 miliardi. Ho chiesto altri 6 miliardi per la promozione del vino siciliano e due anni per attivare la sperimentazione di nuovi vitigni. Lo scandalo del metanolo non ci ha toccati ma, non per questo, possiamo dire di essere fuori dalla piaga della sofisticazione. La mia formula? Produrre con un occhio al mercato, ridurre le eccedenze e quindi le distillazioni-, Sergio Miravano