Platone passeggia tra gigli e lattuga

Platone passeggia tra gigli e lattuga Platone passeggia tra gigli e lattuga DICEVA Platone nel Fedro (in sintesi): chi ha cose serie da dire non le scriva; le incida nel prorpio cuore, le pensi, le confidi se mai a un amico; la scrittura è fatta per le cose lievi, imprecise, futili. Non è chiaro se Alfredo Cattabiani, giornalista e scrittore, autore di un Bestiario (1984) e ora di un Erbario, platonico di stretta osservanza, condivida interamente la tesi di Platone. Certo è che mettendola in epigrafe al suo libro se ne appriopria come di una scusa rivolta al lettore: sappia il lettore che qui non troverà molto più che sciocchezze, divertimenti, divagazioni; e se ho osato scrivere di tali sciocchezze — sembra dire Cattabiani — è perché Platone stesso me ne ha dato, al di là dei circa 24 secoli che ci separano, autorizzazione e legittimità. Ma che cosa è allora questo Erbario? E' innanzi tutto la storia di un gruppo di amici, afflitti da una forma incurabile di estetismo (il quale come è noto è la malattia senile del platonismo), che per curarsi si riuniscono periodicamente in una specie di sanatorio sacro e incantevole; un'isola al centro di un lago rigogliosa di piante e fiori, adorna di edifici rinascimentali. Gli accademici in questione (tutti, pare, personaggi reali) decidono di intrattenersi con un gioco: ogni riunione sarà dedicata a una pianta, e di ogni pianta verranno discussi valori simbolici e proprietà reali, storia e leggende, miti, etimologie fantastiche e filologiche. Alle riunioni partecipano un senatore, un filosofo, un imprecisato professore, un conte e uno psicologo, un vescovo e un botanico, un poeta, un gesuita, un pittore, anche un misteroso doctor subtilis, che cita continuamente Elémire Zolla (oppure è Elémire Zolla stesso?). Le donne (più rare) sono indicate con impossibili nomi propri; Rumilia e Palmira, Iris e Gigliola, Biancarosa ed Edvige. Tutti costoro, uniti da un insopprimibile disprezzo per il presente ^«Mi sento estraneo a una cultura che ha sconsacrato il cosmo», si lamenta il professore) raccontano leggende e miti sul lauro e il prezzemolo, il giglio e la lattuga. Chiacchierando, saccheggiando il Graves e la Teogonia di Esiodo, le Metamorfosi di Ovidio e gli Inni omerici, Dionigi l'Arcopagita, Plotino, Jung, Dumézil, San Gregorio Nisseno e San Juan de la Cruz, Frazer, la Bibbia e il Vangelo. A parte il clima di platonismo snob che pervade ogni pagina, il libro di Cattabiani si segnala per questo uso disinvolto e indiscriminato della tradizione. I protagonisti dei dialoghi accolgono con la stessa persuasa fiducia tanto i simbolismi pagani quanto quelli canonizzati dalla tradizione cristiana, credendo altrettanto fermamente igli uni e agli altri: tra foglie, aromi, fiori, inventano una religiosità contaminata ed eclettica, disposta a venerare il frutto del melograno perché simbolo della Grande Madre e perché raffigurazione dei misteri divini, pronta a onorare la vite come emblema di Dioniso, e come simbolo della Chiesa e dell'ani-o. Franca d'Agostini Alfredo Cattabiani, «Erbario», Rusconi, 231 pagine, 20.000 lire.

Luoghi citati: San Juan