Dietro i sentimenti per Schnitzler c'è sempre l'inganno

In scena per la prima volta in Italia la «Commedia delle parole»mentre arrivano due nuovi romanzi In scena per la prima volta in Italia la «Commedia delle parole»mentre arrivano due nuovi romanzi Dietro i sentimenti per Schnitzler 'è l'i pc'è sempre l'inganno DOPO le messinscene di Ronconi e di Krejca negli anni scorsi, Arthur Schnitzler ritorna sui nostri palcoscenici, stavolta con un testo in prima assoluta per l'Italia, Commedia delle parole, che Giuseppe Forese ha egregiamente tradotto per la compagnia 'Il carro» guidata dal regista Lorenzo Salveti. Nel romano Teatro due, dove è andato in scena lo spettacolo (lo rivedremo a Bari e Milano), il palcoscenico sembra dapprima respingere come una compatta parete lo sguardo, poi lo cattura verso una fessura, un'apertura ovale nel sipario: dietro si dipana la vicenda, si sfilacciano destini in un arido gioco di inganni. La scenografia riassume cosi la cifra esatta di questo ciclo di tre atti unici indipendenti fra di loro ma collegati, come ebbe a dire il critico danese Georg Brandes, grande amico di Schnitzler, dalla rappresentazione del tessuto labirintico delle tendenze erotiche e dal modo come i vincoli matrimoniali inibiscano e avvincano i cuori. L'ovale nel sipario disegna i confini di un vecchio dagherrotipo, l'immagine di una crisi iscritta in un album di ingialliti ricordi; ma essa richiama anche la sagoma di un occhio che sembra ghermire le inquiete coscienze dei personaggi, scendere nel loro inferno per carpire il segreto di cosi grevi infelicità. Sappiamo che Schnitzler ha colto l'esistenza come gioco e mascheramento, inganno ed illusione: sentimenti che egli trasferisce nella crisi del matrimonio, nella vita di coppia borghese pervasa da insofferenze e sadismi. La Commedia delle parole, rappresentata per la prima volta nel 1915, si sofferma sul momento della verità (o della menzogna) di tre coppie appartenenti alla borghesia intellettuale dell'epoca: un medico affermato che ha cinicamente sepolto in sé per ben dieci anni la coscienza del tradimento ..della.moglie;.un istrionico attore, che coltiva la menzogna ma ama recitare la commedia della fedeltà, e un narcisistico scrittore che per maschile orgoglio riguadagna con protervo esibizionismo la moglie infedele. Come si vede, si tratta di temi un po' consunti, che risplendono di luce nuova attraverso lo sfavillio del dialogo, il gioco incalzante delle tensioni, l'eco d'un vuoto assoluto pronto a stanare ed abbattere ogni resistenza. Il matrimonio è la scuola della solitudine», scrisse l'autore in un aforisma che ben anticipa l'epilogo di tali crisi. In spazi da Kammerspiel (stanza da pranzo o camera d'albergo), veri carceri d'invenzione per anime alienate, ogni destino è condannato all'isolamento: sia chi fugge come Klara, la moglie del medico, o chi invece resta come Sophie, moglie dell'attore Konrad Herbot, o ritorna all'ovile come la consorte dello scrittore. Ma per tutti il sipario scende sull'inanità della vita, sulle parole svilite dalla menzogna. La solitudine non dilania solo la coppia, essa serpeggia anche nella Maddalena Grippa e Warner Bentivegna in una scena della «Commedia delia seduzione» di Arthur Schnitzler vita della giovane vedova Beate Heinold che trascorre con il figlio diciassettenne le vacanze su un lago non lontano da Vienna. Beate e suo figlio, uno splendido racconto del 1913 uscito in questi giorni da Adelphi nella squisita traduzione di Magda Olivetti, evoca i fantasmi dell'inganno e della menzogna attraverso una sottile, perturbante trama erotica che afferra ambiente e personaggi: sotto di loro il vortice si dilata fino a racchiudere ombre e presagi, vite e seduzioni. Beate è ammirata e corteggiata, ma non pensa a nuovi affetttiosi sodalizi. La sostiene e guida invece la certezza che il grande amore, il suo unico uomo, resterà per sempre il marito scomparso cinque anni prima, un attore famoso interprete di grandi ruoli. Poi, come non di rado in Schnitzler, la Vicenda povera di fatti si cala nel turbinio interiore, fra i chiaroscuri dell'anima. Le sicurezze vacillano, la realtà si sdoppia e rifrange. La donna cede casualmente a un amico del figlio; la sua debolezza la porta a scompaginare il passato: anche il marito l'ha probabilmente ingannata, e lei del resto si avvede di non aver amato che le sue maschere, i personaggi e ruoli ideali: «Eroi e ribaldi, vincitori e uomini votati alla morte». Tutto si frammischia, incerto e labile, in un torbido gioco di rifrazioni che travolge ogni barriera e ogni tabù. Beate vuole proteggere e riconquistare il figlio insidiato da una donna più anziana: ma quel ragazzo non è il marito, non ha ormai le fattezze del suo primo amore? Impigliata in un inganno sema fine, essa s'inoltra col proprio figlio-amante in una notte che non conoscerà risveglio. UNA vedova ricompare nel racconto La signora Berta Garlan (1901) proposto ultimamente da Rizzoli con una vivace introduzione di I. Alighiero Chiusano, e con la vedova una nuova variazione del tema del disinganno. Berta è giovane, aperta alla vita; si dedica a tempo pieno all'educazione del figlioletto, ma den¬ tro di sé sente crescere l'angustia verso un'esistenza di provincia senza spiragli né prospettive. I rimpianti la tormentano, ne accrescono l'inquietitdine. Vorrebbe riprendere gli stildi musicali interrotti, ripensa con nostalgia a un compagno di conservatorio, Emil Lindbach, al quale l'univa un sincero e profondo amore. Ora egli è un violinista affermato: come potrà mai lei, anonima provinciale, ricostituire un rapporto con un uomo coccolato e idolatrato dal bel mondo? Ma l'occasione si ripresenta: basta un breve messaggio e i due si rivedono a Vienna. E' di nuovo l'amore, totale e indissolubile: così almeno pensa Berta, che sente riaccendersi un entusiasmo scomparso da anni, un appagamento che il matrimonio le aveva negato. Ma Berta non scende tutta la china di Emma Bovary: manca nel racconto la complessa fenomenologia della passione, l'intero ciclo dell'annichilimento. Schnitzler è grande nel delineare gli attimi, il sottile e malizioso gioco dei segreti furori. La sua esplicita intenzione è il dispiegamento della disillusione che si stende sulla realtà come un velo da lutto. Berta riconosce ben presto di essere per Emil solo un piacevole passatempo: la felicità si è dunque incagliata nell'egoismo e nella sopraffazione dell'uomo, nella miseria dei rapporti umani. Le resta da ultimo questa consapevolezza e l'eco di tante frasi e speranze dissolte nel vento: la commedia delle parole inscena anche qui l'eterno rito dell'inganno. Luigi Forte I libri di cui si parla sono: Arthur Schnitzler, «Commedia delle parole», a cura di Giuseppe Farese, ed. SE, Milano, pp. 124, L. 13.000. Arthur Schnitzler, «Beate e suo figlio», trad. di Magda Olivetti, Adelphi, pp. 123, L. 7500. Arthur Schnitzler, «La signora Berta Garlan», trad. di Lydia Magnano, nitrosi, di Italo Alighiero Chiusano, Rizzoli, pp. 183, L. 7000. onestamente ci ho provato». Formato da pezzi composti nelle occasioni più diverse (articoli scritti per giornali, considerazioni sparse net suoi monologhi pensieri appuntati durante la giornata), il libro di Pino Caruso nasce come un delitto preterintenzionale. «Non c'era la volontà di compiere 11 crimine: sono le circostanze che ne hanno favorito la realizzazione» sostiene. £ Caruso le elenca, queste circostanze. L'antico complesso di inferiorità-culturale che gli viene dall'aver fatto solo la scuola elementare. Una insaziabile curiosità intellettuale appagata attraverso letture dissennate e furiose. Il bisogno di misurarsi con la parola scritta dopo anni di frequentazione con la parola parlata. «Negli anni del mio successo rampante, quando facevo cabaret al Bagaglino, recitando i testi di Castellacci e Pingitore, credevo che Moravia fosse un cardinale e Ferrai-otti la marca di un amaro. Dopo ne ho provato vergogna». .L'uomo comune» nasce da tutto questo. Fortunoso perfino l'incontro con Dominila Alessi, proprietaria della casa editrice •Novecento». Avviene un anno fa all'ambasciata argentina, durante una festa in onore di Borges. Pino Caruso che ne aveva letto l'opera voleva incontrare il grande maestro. E come l'è parso Borges visto da vicino? «Niente più che un nome di sei lettere». Simonetta Bobiony

Luoghi citati: Bari, Italia, Milano, Vienna