Da Furtwaengler un monumento per Beethoven

Da Fuitwaengler un monumento per Beethoven Da Fuitwaengler un monumento per Beethoven TRA i dischi (non molti) d'importanza capitale in una discoteca che si rispetti stanno al posto d'onore le Nove Sinfonie di Beethoven dirette da Wilhelm Furtwaengler. Ne esistono esecuzioni diverse, parecchie delle quali registrate in modi talvolta anche avventurosi, durante i concerti pubblici del grande direttore: queste, ripubblicate ora dalla Emi in occasione del centenario della nascita di Furtwaengler, sono state riprese in studio, a Vienna, tra il 1952 e il 1954, anno della scomparsa di Furtwaengler che non potè completare il ciclo con l'Orchestra Filarmonica di Vienna. La raccolta è quindi integrata con la Seconda registrata a Londra nel 1948 (Wiener Philarmoniker); lottava incisa a Stoccolma nello stesso anno (Stockolmer Philarmoniker) e la Nona ripresa pure dal vivo il 29 luglio 1951 in occasione della riapertura del Festival di Bayreuth dopo la guèrra (Coro e Orchestra del festival di Bayreuth, con i cantanti Schwarzkopf, Hóngen, Hopf, Edelmann). Completano i sei dischi l'incisione delle Ouvertures del Coriolano, del Fidelio, della Leonora n.2en. 3. Che l'ascolto di queste incisioni offra un'esperienza esaltante non c'è bisogno di ribadirlo un'ennesima volta. Chi non ha mai potuto ascoltare Furtwaengler dal vivo ne ha qui una immagine resa abbastanza nitida e precisa da un eccellente lavoro di ripulitura del suono, e può immaginarsi quello che doveva essere l'effetto trascinante dei suoi concerti. Inutile tentar di elencare qui i momenti sensazionali di queste esecuzioni: a parte il fatto che non si finirebbe più, non si riuscirebbe a rendere neppure lontanamente l'idea di totalità che informa la concezione beethoveniana di Furtwaengler, e che affiora chiaramente in uno scritto beethoveniana contenuto nel suo volume Suono e parola (trad. it, Fogola 1977): «Non soltanto questo suppósto dio della tempesta e della burrasca e anche il creatore della più profonda e benefica pace, della più abissale religiosità, della più innocente e rasserenante armonia che siano mai state espresse in musica. Anche nel pieno della tempesta della tumultuosa passione, quale ferrea calma e chiarezza, quale inesorabile volontà di dominare e modellare fino all'estremo la materia. Quale Inaudita autodisciplina. Mai un artista, in questo ardente anelito verso l'assoluto, ha vissuto posi intensamente la "legge" quanto lui». Questa »Legge» della composizione che si costruisce in base ad un principio di ferrea necessità, Furtwaengler la evidenziava come nessun altro e qui sta forse il segreto del magnetismo irresistibile che si sprigiona dalle sue esecuzioni beethoveniane: nòmos in greco significava legge e, insieme, melodia. Paolo GallaraU Beethoven: «Le 9 Sinfonie», 6 Ip Emi. cinque e più con affliggente monotonia. In Che vita ha fatto si gravita attorno all'idea dello sbriciolamento del senso della vita, ma qui più che altro è uno sbriciolamento del senso della canzonetta. Nell'ultima (17 diluvio) si toma all'ironia pesante, tagliata a tette grosse. La frase «dopo di noi li il diluvio» detta in un certo modo è già ironica di per sé, non si capisce perché esasperarla in infinite traduzioni demenziali («chili di liquidi dopo di noi», «piove, piove, piove, siamo annaffiatoi»). Ma non bisogna dare la colpa a Panella (ha già un nome che lo predestina a capro espiatorio, anche se con una enne sola). Qui l'operazione è pensata, voluta, diretta e cellophanata da Lucio Battisti ed è questo, solo questo che la rende totalmente incongrua e autolesionista. Perché se di divertimento si tratta é certo masochismo puro. Tre sono stati gli autori-interpreti che hanno rivoluzionato la canzone italiana: Domenico Modugno, Adriano Celentano e Lucio Battisti. Sono stati questi tre cantanti, popolari per origine e per destinazione, che hanno aperto nuovi spazi di mercato anche per i colleghi più raffinati e «signorini»: gli intelligentoni, i rocchettari dissacratori, i gruppi melodico-beat. La via del rinnovamento E' cosi frustrante essere un autore popolare, saper comporre canzoni che tutti possono cantare. Io l'ho già fatto, dirà Battisti, sentitevi Eros Ramazzotti se proprio lo volete. Decisione nobile, da rispettare. Ma resta il dubbio che non sia in questa direzione che Lucio Battisti debba cercare il rinnovamento. E se invece che sui testi di Panella avesse lavorato su quelli di Apollinaire il risultato non sarebbe cambiato. E' dalla musica che bisogna ricominciare, e qui non c'è la musica nera non c'è la tradizione anglosassone, solo agli autori autenticamente popolari è dato il dono dell'invenzione. Se anche loro lo rinnegano vuol dire allora che la canzone boccheggia, e la famosa spinta propulsiva capace di aprire nuove stagioni alla musica leggera nazionale ormai non funziona neanche in discesa. Gianfranco Manfredi Lncio Battisti: «Don Giovanni», Numero Uno. lle espressioni vocali

Luoghi citati: Londra, Stoccolma, Vienna