Amendola 60 anni dopo

Amendola 60 anni dopo Amendola 60 anni dopo Il 7 aprile 1926 si spense in esilio, a Cannes, Giovanni Amendola, uno dei protagonisti della battaglia antifascista. L'impegno morale di Amendola nell'opporsi al fascismo ha contribuito a creare una sorta di armatura mitica attorno alla sua figura, che fino a non molti anni fa ha impedito una lettura non deformata della sua opera. Una sorte analoga è toccata a molti antifascisti che pagarono di persona l'opposizione alla dittatura, ma il caso di Amendola è forse il più evidente. La crìtica gobettiana, ingiusta ed affrettata, intesa a ridurre ad «opposizione morale» l'antifascismo di Amendola, ha pesato come un'ipoteca per troppi anni, perché di fatto ha contribuito a rinchiudere l'opera di Amendola entro uno schematismo storiografico assai discutibile. Per molto tempo la cultura marxista ha respinto Amendola, pur ripudiando l'infelice e non veritiero giudizio di Gramsci sul «semifascismo» di Amendola, accomunato, per l'occasione, a Turati e a Sturzo. La stessa cultura laica, salvo casi particolari (pensiamo La Malfa, ad esempio), non ha sufficientemente riflettuto su Amendola politico, forse perché per troppo tempo il liberalismo italiano del dopoguerra si è identificato in posizioni conservatrici che nulla hanno a che vedere con il pensiero libe rale di Amendola. Anzi, potremmo dire che il liberalismo giunge ad una maturazione realmente democratica solo con Amendola. Giolitti, se aveva portato l'Italia al suffragio universale, era tuttavia ancora pienamente espressione del vecchio trasformismo. Amendola ha chiara coscienza che i meccanismi politici del gioii ttismo ri du cono la vita democratica allo scontro di pochi notabili e che lo stesso modo di far politica in base alle alleanze dei gruppi e dei sottogruppi è irrimediabilmente superato. Amendola comprende la necessità di innescare un nuovo meccanismo di partecipazione democratica a ranzia di quelle libertà civili che il fascismo stava calpestando, uscendo definitivamente dalla logica angusta del giolittismo che — come scrive Romeo — presupponeva l'esclusione di gran parte della società italiana dalla partecipazione politica attiva. Amendola giunse gradualmente a questo tipo di conclusioni, partendo da un iniziale conservatorismo Per comprenderne il pensiero politico, è necessario tener conto delle principali tappe della sua vita: il matrimonio con la giovane russa Eva Kuhn, l'esperienza fiorentina de «La Voce» e della Rivista «L'Anima», i rapporti con Croce e con Albertini al «Corriere», l'iniziale interventismo e la I Guerra Mondiale, infine, la politica attiva con l'elezione a deputato, la nomina a sot¬ cz a tosegretario con Nitti e a Ministro con Facta, la vicenda giornalistica de «Il Mondo» e le battaglie dell'opposizione antifascista. Amendola compendia un travaglio ideale intensissimo. Il suo antifascismo a volte ci appare — come scrive Galante Garrone — con alcuni limiti: pensò ad una possibile «normalizzazione» del fascismo, dopo l'assassinio Matteotti si illuse sull'Aventino, infine ebbe eccessiva fiducia in una eventuale iniziativa del re in difesa delle libertà statutarie calpestate da Mussolini. Il suo antifascismo maturò nella lotta e forse tardivamente Amendola si rese conto delle vie che occorreva imboccare contro Mussolini. Va anche aggiunto, però, che tutti sbagliarono di fronte al fascismo: partiti, sindacati, classe dirigente, quasi tutti gli intellettuali. Amendola rappresentò in questo intricato groviglio di responsabilità, ambizioni personali e opportunismi, la lucida coscienza della crisi dello Stato liberale e delle sue strutture che non seppero reggere all'urto del fascismo, quando non lo agevolarono. Certo, quello di Amendola non fu solo una testimonianza morale, ma un preciso impegno politico. Egli pose con chiarezza il problema di una nuova democrazia italiana, superando l'antitesi semplicemente di un Risorgimento realizzato e di uno tradito, attraverso l'idea di un Risorgimento come processo da portare a compimento, perché lo Stato, «dopo oltre 70 anni — come scrisse Amendola — è in via di lenta e faticosa trasformazione e ciò che si chiama comunemente Stato tra noi, nient'altro che il potere esecutivo». Oltre che per la sua intransigenza antifascista, Amendola va ricordato soprattutto perché capi che la battaglia contro il fascismo si sarebbe potuta vincere o perdere sul terreno dei ceti medi e non su quello di altre classi. L'Unione Nazionale di Amendola nacque, certo in ritardo, con lo scopo di «creare contro il fascismo — come dice De Felice — un partito nuovo» per quei ceti medi emergenti cui il fascismo dava l'illusione di poter contare, dopo che la Grande Guerra li aveva mobilitati e il dopoguerra delusi. Interpretato al di là di certe schematizzazioni, Amendola si rivela uno dei pochissimi antifascisti con le idee chiare: forse i moralisti, più o meno intransigenti, andrebbero davvero cercati altrove. Anzi, si potrebbe aggiungere, come sostiene Spadolini, che «l'eredità di Amendola è oggi più viva e valida che mai, nell'intuizione di un grande partito laico di democrazia riformatrice, tale da respingere (...) il vecchio liberalismo e tale da non sconfinare nell'ambito delle utopie collettivistiche». Pier Franco Quaglienti

Luoghi citati: Cannes, Italia