Ma i chierici non vanno nei bassi di Domenico Rea

Ma i chierici non vanno nei bassi LA SCOMMESSA SULLA CULTURA RISVEGLIA NAPOLI RASSEGNATA? Ma i chierici non vanno nei bassi Cè un netto divorzio tra classe dirigente e intellettuali, che temono di «sporcarsi le mani» facendo politica - Domenico Rea: «Il lievito culturale non può far fermentare una plebe amorale» - Non sarà utilizzato per inerzia il finanziamento della Cee per gli scavi a Ercolano nella biblioteca della Vida dei Pisani? - «La città degli umanisti stia alla larga dalla città dei banditi» DAL NOSTRO INVIATO NAPOLI — / bassi? Vanno rasi al suolo, dice Domenico Rea. «Bisogna togliere l'Infezione del vicolo», dice l'autore di Spaccanapolt. Perché •il vicolo è sporco in se stesso». Né lo sfascio è limitato ai bassi. Rea è indignato, furente: indica l paraggi della sua casa, sulla collina di Posilttpo un tempo così verdeggiante e negli Anni Cinquanta, gli anni delle •mani sulla città», sommersa da una colata di cemento: «Qui intorno lei non troverà un fiore». Parla di una metropoli mostruosamente enfiata, di una umanità degradata, di un popolo che cerca nelle facili Illusioni fornite dalla camorra la sua riscossa dopo una secolare miseria. La diagnosi è infausta: «Se continua a andare avanti cosi, Napoli esce fuori dalla storia». E la cultura? E i successi intellettuali di centri come l'Istituto per gli studi filosofici? E la caparbia volontà promozionale di gruppi come quello che anima la Fondazione Napoli Novantanove? •Tutte balle», dice Rea. Lo scrittore non ci crede affatto, alla possibilità che il lievito della cultura possa far fermentare questa massa inerte e amorfa, questa plebe che lui definisce «popolo amorale: proprio cosi, a-morale, con l'alfa privativo, un popolo che la morale non sa nemmeno dove stia di casa». Questa è una città, dice Rea, tradita dai Borboni, dal Savoia, dal fascismo, dalla Repubblica: e soprattutto da se stessa. Parole dure, sconsolate, di speratone da amante Ingannato. Rea corregge appena la drastica ricetta di Ceronetti (radere al suolo Napoli), e proclama la necessità di distruggere (isolate i monumenti, se credete...) il centro Infetto della città. Questa ricognizione fra gli intellettuali .di: fronte, allo, sfascio parte dunque dal pessimismo ■più estremo e più amaro. E' dunque Irrecuperabile questa Napoli scontraffatta, come l'ha definita in un libro recente Glovannt Artieri, mutuando l'espressione da un poeta barocco che cantò la città dopo la peste di metà Seicento? Ma no: nella città del chiaroscuri c'è una vasta gamma di opinioni. Certo, bisognerebbe che Napoli credesse di più In se stessa. E' quanto dice Ciro Ruju, che presiede all'Istìtu- to d'Arte e propone la creazione di una scuola superiore per la formazione dei tecnici del restauro e della conservazione. C'è grande abbondanza di talenti in città, dice.. Bisogna organizzare,educare, formare. Per esempio!' ni ^proprio* necessario, fidi restaurare II chiostro di Santa Chiara, far venire gli specialisti da fuori? La verità è che In questa città è evidente, molto più che altrove, una netta dissociazione fra la classe intellettuale e la classe dirigente. •E' una vera e propria lacerazione», dice nel suo ufficio a Capodimonte Nicola Spinosa, soprintendente al Beni storici e artistici. Richiama per contrasto ti caso Y della Lombardia illuminista, In cui è tradizionale l'identità fra le due classi. Ricorda, tasto fisso fra gli intellettuali napoletani, la decapitazione dell'aristocrazia culturale nel '99: «Una drammatica frattura che non si è mai YttcompoìitW.'PàrlB'Mlétm'- ' sioni che si accompagnarono, nel 75, all'avvento dell'amministrazione di sinistra: illusioni presto cadute. La lacerazione è rimasta, sortisce ancora i suol effetti perversi. Colpa della classe dirigente, «In grado di sollecitare Roma, di fare arrivare fondi ma non di utilizzarli. Incapace di trasformare un progetto culturale In progetto politico». Ma colpa anche degli Intellettuali, del loro di- sprezzo per la politica, dell'aristocratico distacco dalle cure profane della gestione. Della torre d'avorio insomma, priva di comunicazione con la torre del potere. Il risultato è una incomprensione a volte persine jsaradossale. Un'esempio: Ta questiona' degli scavi alla villa ercolanese dei Pisont. C'è le certezza, manifestata da un filologo del prestigio di Marcello Gigante, che nella villa di Ercolano, da cui uscì fortuitamente in passato una ricchissima collezione di papiri In lingua greca, giaccia un patrimonio inestimabile di opere letterarie della latinità classica. C'è un progetto, elaborato dal soprintendente archeologico Baldassarre Conticello, per raggiungere quel tesori nascosti. C'è un finanziamento, deciso dalla Comunità europea, che deve essere utilizzato entro ti prossimo giugno, pena la decadenza. Tutto questo viene illustrato al ministro dei Beni culturali, al quale spetta la decisione che può attivare. In tempo utile per l'utilizzazione dei fondi comunitari, il meccanismo degli scavi di Ercolano. Ma il ministro Gullotti resta nel vago, non si impegna, non promette altro che un benevolo interessamento. L'atmosfera si riscalda, qualcuno ricorda al ministro che Napoli è stanca di belle parole. E a poche settimane dalla scadenza del finanziamento europeo, commenta sconsolato Gigante, eccoci di fronte alla possibilità che tutto, gli studi, ti progetto, la persuasione degli uffici comunitari, sia sta to vano. Senza amici Il fatto è, dice Gerardo Marotta, che la cultura a Napoli soffre troppo spesso di solitudine. Presidente dell'Istituto per gli studi filosofici, una delle creature più vitali dell'Intelligenza in questa città, Marotta ricorda che •nel '99 gli Intellettuali napoletani ebbero l'alleanza della Francia rivoluzionaria nell'era del processo unitario ebbero amici il Piemonte e l'Inghilterra: ma oggi rischiamo di rimanere soli». Il ministro dell'Interno Scalfaro, cita Marotta, ha detto che mafia e camorra non si sconfiggono con la polizia, ma con la cultura. E allora lo Stalo si comporti di conseguenza, ci dia -aria, per respirare». La cultura può vincere a Napoli, dice, se lo Sta to si allea alla cultura. Utopia? Balle, secondo la desolata espressione di Rea? Antonio Villani, rettore all'Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, mostra di condividere l'ottimismo metodologico di Marotta. «Una volta accertata la non-iden- tità fra Industrializzazione e progresso, dice, appare chiaro che soltanto la cultura è In grado di creare mutamento sociale». Ci sono due pregiudiziali, spiega, alla radice della diffidenza dei politici per l'intelletto. La pregiudiziale antidealistica: l'eironea convinzione che da Vico a Croce la cultura fosse contro la scienza. La pregiudiziale veteromarxistica: l'idea piuttosto stantia ma tenace che solo l'evolversi dei rapporti di produzione sia alla base del mutamento sociale. Parlando di colpe dei politici si rischia, del resto, di trascurare il fatto che i politici sono, in ogni caso, espressione della città. Il guato è, dice Clotilde Izzo, che la città sceglie i suoi.rappresentanti allintemo di una casta che non si cura dei suoi problemi. Quanto agli Intellettuali, è tradizionale il loro disdegno per il fare: la loro «paura di sporcarsi le mani». Il nuovo si esprime proprio in questo, dice, con un dinamismo a volte perfino eccessivo. Clotilde Izzo è direttrice editoriale della Guida, la casa che di recente ha lanciato le sue nuove collane. Saggi e Fiore Azzurro, da quella che proclama senz'altro «capitale culturale di apertura europea». Naturalmente non si può ridurre il problema all'auspicio di una riconversione degli intellettuali napoletani, per quanto volonterosi siano alcuni di loro, verso la con creta attualità di problemi quali, che so, la nettezza urbana che non netta un bel niente o il traffico folle vanamente contemplato da vigili urbani sema divisa. Né pare attuale a Napoli il sogno di una Repubblica platonica. C'è anche chi sostiene che proprio isolandosi dallo sfascio la cultura si mantiene vitale, e che se si piegasse sul caos rischlerebbe- di esserne assorbita-come da un buco,nero a _ . Cosi'mi si parla di divisione del ruoli: «La città degli umanisti stia alla larga dalla città del banditi». Soltanto In questo modo, sento dire, lintellettualìtà napoletana può difendere il suo sofisticato livello. .Credi forse che qui da noi sarebbe pensabile, un fenomeno Verdiglione?». Inoltre qui non c'è da creare una classe dirigente: c'è da formare una società. Bene, con tanta intelligenza a disposizione, non può esse¬ re proprio questo l'obbiettivo? Non è stata proprio questa, in fondo, l'ambizione dei repubblicani nel 1799?. Certo vivere a NapM non può non essere sentita come sfida, per chi creda in una cultura non ristretta nella torre d'avorio. Una sfida difficile, perché «questa città è scettica, non si entusiasma più per niente, è abituata ai fuochi di paglia». Cosi dice Mirella Barracco. animatrice della Fondazione Napoli Novantanove. Lei insiste sulla necessità di una riscoperta della città da parte di se stessa: «Non è vero che fa tutto schifo qui, Firenze, Venezia sono considerate città doc per l'arte, ma Napoli non è da meno». Registra un Inceritene di tendenza, ma è molto lenta: «CI sono voluti quarantanni per distruggere Napoli, forse ce ne vorranno altrettanti per ricostruirla». Città vitale E già le prime iniziative sembrano ricostituire il ruolo antico di capitale del Mezzogiorno. «Ci scrivono dalla Calabria, da Palermo: da dove non c'erano più speranze», dice Mirella Barracco. Ai fermenti culturali di Napoli vanno affiancati i fermenti civili che si registrano facilmente altrove, nel vecchio reame. Mi si invita a considerare certi poli di impetuoso sviluppo produttivo, come l'asse adriatico Pescara-Bari. Lo stesso Rea, cosi amaramente scettico nei riguardi della metropoli, trova che in provincia la qualità umana è migliore. Così che a qualcuno è balenata, come in sogno, una soluzione khmera: Il popolo del bassi deportato In campagna. Tanto per diluire nel territorio t molti e cancerosi mali di Napoli. Come si vede : c'È esuberanza, di idee, di b passioni e -di paradossi in questà-citta cne festa, nonostante tutto, fra le più vitali del mondo. Una esuberanza che si manifesta non soltanto nei trionfi della cultura, nel pullulare delle idee e perfino nello spessore del male, ma anche in una frenetica natalità. Come si conviene a quella che Guido Pioverle descrisse, trenf'anni fa, come •una città allattante e poppante, perpetuamente gravida». Alfredo Venturi Napoli. Giochi di bimbi in un quartiere popolare. Domenico Rea vorrebbe eliminare «il centro infetto»