Marton, una Turandot senza dubbi di Massimo Mila

Marion, una Turando! senza dubbi La cantante protagonista al Regio dell'opera di Puccini diretta da Zoltan Pesko Marion, una Turando! senza dubbi Giusta l'esecuzione, ottimo il cast -, L'altro soprano, Yoko Watanabe, è più brava che commovente nel ruolo di Liù TORINO — E' ritornata al Regio, In una buona esecuzione, l'ultima opera di Puccini, la problematica murando £, condotta avanti, ma non fino al termine, tra alternative continue d'entusiasmo e di dubbio, («forse restituisco i soldi a Ricordi e mi libero; scrisse una volta al librettista Adami). L'algida natura del soggetto tratto da una fiaba di Carlo Gozzi non giovava alla sua Ispirazione, sempre mossa dai casi di personaggi comuni In carne e ossa, e d'altra parte il proposito del librettisti, di «umanizzare» la frigida fiaba gozziana, era il peggior partito che si potesse prendere, dando via Ubera al sentimentalismo e producendo un dualismo insanabile nella figura della protagonista. Di qui la ricerca disperata del duetto risolutivo, quello del disgelo della protagonista, ■ la melodia tipica vaga insolita* che Puccini andò invano cercando durante 1 quattro anni che durarono le alterne vicende della composizione. Che l'opera sia rimasta incompiuta, non ne è tanto causa la morte crudele che colse l'autore nell'ospedale di Bruxelles, quanto l'Impossibilità di cucire addosso alla protagonista panni diversi, anzi antitetici, far cantare una buona volta come Munì, come Manon, come Butterfly, un personaggio che comincia in un modo e finisce in un altro. L'intelligente protagonista di questo spettacolo, l'ungherese Eva Martori, che abbia' mo tanto ammirato 11 mese scorso nella Donna senz'ora ora alla Scala, l'ha detto come meglio non si potrebbe In un'intervista accordata pochi giorni fa a La Stampa: «Cerco di dare un po' di spessore al personaggio, di interpretarne la psicologia, che pure sembra disegnata in modo cosi sommario. Turandot passa troppo in fretta dall'inflessibilità nei confron ti dei pretendenti all'amore per Calaf». I SI accompagnava a questa impostazione sbagliata del personaggio principale la crisi di linguaggio che il compositore andava attraversando, o perché si stesse esaurendo la vena melodica che aveva fatto le sue fortune passate, o che veramente se ne sentisse sazio e fosse sempre più tentato dalle proposte della nuova musica. Ciò si manifesta vantaggiosamente nella ricca scrittura corale (che non avrà certamente Insegnato nulla a Schoenberg, ma qualche cosa a Orff si) e nella forza, specialmente percusslva, dell'orchestra (in tutte le dieci opere precedenti di Puccini non ci sono tante stamburate quante ce ne sono in Turandot). Non giovava per niente, invece, al canto solistico, che entrava in crisi per una specie di crescente 'ritegno verso il canto spiegato; come lo chiama D'Amico. Effettivamente, le grandi melodie di conio pucciniano in Turandot sono spese con parsimonia e collegate accortamente nel tessuto del declamato come gli acini dell'uva passa nel panettone. L'esecuzione che ne fornisce il Regio è giusta, e non cerca di dare freschezza con 11 rossetto alle guance di un'opera che fresca proprio non è. Le scene di Swoboda sono severe ma funzionali, perché mantengono l'impianto consueto: evitano tanto giù eccessi di color locale (i soliti palloncini di carta colorata) quanto le sbandate in un liberty floreale. La regia di Grisella Asagaroff ha quindi buon gioco a sottilineare il carattere solenne di cerimoniale cui l'opera è improntata, e il direttore Zoltan Peskó sottolinea, com'era facile prevedere, il carattere moderno della partitura, poco concedendo al sentimentalismo e al colore di Estremo Oriente. Lo seguono bene in questa impostazione l'orchestra e 11 coro. Istruito dal maestro Fogliazza. Il cast in scena è ottimo. Di Eva Marton abbiamo già elo¬ giato l'Intelligenza critica, adesso è ora di elogiare la voce, poderosa, precisa, un po' fredda come la parte richiede. Anche l'altro soprano, Yoko Watanabe Grimaldi, è più brava che commovente in quella parte di LiU dove si condensa il meglio del Puccini vecchia maniera. Tutti soddisfacenti anche gli interpreti maschili, dallo squillante tenore Martlnuccl al flebile imperatore Altoum di Walter Cullino, dal basso Zanazzo, che prima del terzo atto ha voluto fare annunciare un'Improvvisa indisposizione (ed effettivamente il 'LiU bontà! LiU dolcezza!* è riuscito un po' sfocato), al terzetto comico dei ministri, Orazio Mori, Mario Ferrara e Florindl Andreolll, sul quali cade il maggior peso del più operettistico color locale. Effettivamente, si può anche non amare Turandot, ma nemmeno in quest'opera si può mettere in dubbio la sapienza vocale — o piuttosto l'istinto — di Puccini. Cantanti che in opere di Verdi spesso non ci soddisfano appieno, nelle opere di Puccini, Turandot compresa, vanno ch'è un piacere. Sergio Bensì, Giovanna Di Rocco, Donatella Gobbi e Aurelio Faedda i personaggi minori. Coro di voci bianche dei Piccoli Cantori di Torino, diretto dal maestro Mauro Bouvet. Costumi non sfarzosi, salvo la bianco-argentea protagonista, di Jarmila Konecna Ditrichova; direttore dell'allestimento tecnico Aulo Brasaola. Pubblico molto numeroso e più del solito largo d'applausi, anche a scena aperta. (La cleque un po' disorientata: ci vorrebbe un maestro rammentatore). Dopo il 'Nessun dorma* qualcuno chiedeva il bis, e si vide chiaro che Martinucci ne aveva una voglia matta, ma 11 direttore, giustamente, tirò avanti. Massimo Mila Una scena di Turandot, l'opera incompiuta di Puccini che è andata in scena l'altra sera al Regio

Luoghi citati: Estremo Oriente, Torino